‘CASETTE PATER’ L’ALIENAZIONE DEL COMUNE DI ROMA PER ESTINZIONE DEI PARTECIPANTI

labur pate4Tanta propaganda, zero fatti, anche con l’Amministrazione GUALTIERI. “Dobbiamo provare a rendere più dinamico il processo di acquisizione e alienazione degli immobili“, così l’Assessore al Patrimonio e Politiche Abitative del Comune di Roma, Tobia ZEVI, il 5 gennaio scorso.
A luglio 2022, LabUr aveva sollevato il caso delle Casette Pater di Acilia, il complesso di circa 300 lotti con abitazioni voluto da Mussolini negli anni ’40 presso i Monti di S.Paolo, lasciato in completo abbandono e ormai preda delle occupazioni abusive. L’Organo di Revisione, che controlla il bilancio capitolino, aveva rilevato infatti che il Comune non ha mai rispettato il piano di vendite (definito da decenni) secondo quanto previsto per legge. Un danno patrimoniale segnalato da LabUr anche al Municipio Roma X che dal 1951 avrebbe dovuto adempiere a tutti gli interventi di carattere tecnico attinenti alla gestione delle c.d. Casette Pater. Più di 60 anni di colpevole assenza di qualunque manutenzione ordinaria e straordinaria da parte del Comune e gestionale da parte del Municipio.
Per questa ragione LabUr aveva chiesto di verificare con la massima urgenza la completezza di tutti gli atti amministrativi necessari all’ alienazione delle “Casette” di Acilia agli aventi diritto che avevano già manifestato interesse all’acquisto.

L’INCONTRO CON IL DIPARTIMENTO

Solo il 2 dicembre 2022, dopo 5 mesi, c’è stato un incontro presso il Dipartimento con il Presidente della Commissione Patrimonio e Politiche abitative, Yuri TROMBETTI, alla presenza anche del Comitato “Casette Pater Acilia”.

LO STORICO

Da circa 30 anni, i cittadini a cui sono arrivate le lettere del Comune di Roma con un prezzo di vendita, per una ragione o per l’altra, non sono mai riusciti a concludere l’operazione di compravendita presso il notaio. Il cd “comprensorio Casette Pater Acilia” era stato infatti messo in vendita dal Comune di Roma come terreno perché le casette erano state realizzate nel 1936, senza fondamenta e in paglia, e dovevano durare 10 anni in attesa di un ricollocamento delle famiglie. Ad oggi quelle casette, dove il Comune non si è mai preoccupato di fare manutenzione, se stanno in piedi è perché chi ci sta dentro ha fatto manutenzione, realizzato gli impianti, portato i bagni all’interno delle case. Di fatto sono inabitabili.
Poi, negli ultimi anni, il Comune ha deciso di vendere non più i terreni, ma gli immobili. Dall’operazione di alienazione sono però rimasti fuori circa 70/80 lotti di coloro che non sono riusciti a vendere per tutta una serie di problematiche. Nel frattempo, su quel comprensorio, è accaduto di tutto, compresi abusi condonati dal Comune di Roma che hanno leso i diritti di chi attendeva di procedere all’acquisto del terreno lasciando inalterato il vecchio immobile.

LA MANCATA ALIENAZIONE

Da 10 anni le Casette Pater risultano in vendita nel DUP del Comune di Roma, ma il Dipartimento non riesce a risolvere due problematiche: la prima è il frazionamento, la seconda una serie di abusi edilizi (che però non sono mai stati certificati dagli enti competenti) che hanno condizionato la finalizzazione della vendita da parte del Comune di Roma. Il prezzo nel frattempo è risultato fuori mercato. Inoltre, tra i compratori ci sono diverse persone che avevano diritto, secondo la vecchia delibera del 1990, ma lo hanno perso nel corso degli anni.I l Comune ammette di non aver mai operato alcuna manutenzione perché considerava le ‘Case del Duce’ provvisorie e dunque andavano obbligatoriamente demolite essendo case in paglia e senza fondamenta.

Quindi gli inquilini potevano comprare, ma avevano l’obbligo della demolizione prima della ricostruzione. Le persone che in questi anni sono riuscite a farlo hanno ricostruito addirittura con premi di cubatura e abusi, mai certificati, che hanno addirittura danneggiato i confinanti in attesa di acquisto, che oltre al danno hanno subito la beffa di vedere i loro immobili, considerati inagibili, occupati dagli abusivi. Nonostante i solleciti dei notai, la compravendita non è andata avanti a causa del mancato frazionamento da parte del Comune.

IL DANNO ERARIALE

LabUr – Laboratorio di Urbanistica, il 1° luglio 2022, ha inviato un’istanza di verifica amministrativa con carattere di urgenza per la predisposizione delle deliberazione di Assemblea Capitolina per l’alienazione delle “Casette Pater Acilia” così come previsto dal DUP 2022 – 2024 (codice 1.a.LA.0105.19) non essendo stato rispettato il relativo piano di alienazione secondo quanto previsto ex art. 58 comma 1, L.n. 1112/2008. Durante la riunione, il Dipartimento il 2 dicembre ha ribadito che il Comune di Roma ha dei terreni da vendere su cui insistono delle pertinenze, le c.d. “casette”, che possono essere demolite e ricostruite. Il problema è che il Comune non vende a prescindere da cosa venda, terreno o casa che sia. Gli assegnatari dei terreni e i loro eredi sono ben individuati, essendo stati anche censiti, e ci sono delibere su delibere che sanciscono i loro diritti all’acquisto, ma il Comune non vende danneggiando di fatto un bene patrimoniale per mancata manutenzione.
Ancora oggi, incredibilmente, l’Amministrazione Capitolina non sa se “Casette Pater” siano da considerarsi ERP oppure Patrimonio, aspetto amministrativamente derimente. Se sono ERP i beni sono andati in tutti questi decenni in deperimento per mancata manutenzione da parte del Comune, se sono Patrimonio il Comune sta di fatto tardando a vendere creando un danno erariale, cosa per altro ribadita anche dall’ OREF (Organo di Revisione Economico-Finanziario) e dalla Procura di Roma.

L’ABUSIVISMO

Secondo quanto riferito in riunione dal Dipartimento sarebbero addirittura da considerarsi misti: ERP per quanto riguarda le “casette”, per tutto il resto Patrimonio disponibile, con il piccolo particolare che il Comune non ha mai operato alcuna manutenzione e addirittura ha posto in morosità chi si è sostituito a lui nella manutenzione ordinaria e straordinaria, dai tetti all’installazione dei termosifoni.
A causa del mancato frazionamento da parte del Comune sono stati compiuti degli abusi nel corso degli anni da parte di alcune persone che hanno comprato su invito del Comune, ma che hanno inglobato, con il permesso del Comune, porzioni di terreno assegnate ad altri che così hanno perso la possibilità di demolire e ricostruire le loro “casette” per insufficienza di metratura.
Dunque gli ultimi 70/80 aventi diritto non riescono a chiudere la questione della compravendita con il Comune di Roma.

CONCLUSIONI

Cambiano le Amministrazioni, ma i problemi no. Anzi si aggravano. Già ai tempi del Sindaco MARINO naufragò la proposta di delibera preparata dagli uffici con cui si delineavano le modalità e il prezzo di vendita, essendo la delibera del 1990 non più applicabile. Cadde la Giunta davanti al notaio, chissà se lo stesso che sollecitava il Comune al frazionamento delle Casette Pater.
Questo lassismo colpevole ha prodotto negli anni distorsioni senza fine. Nel 2006, ad esempio, a seguito di una lettera del Comune di Roma, coloro che hanno aderito all’offerta di vendita del lotto a 45 euro al mq avevano un certo indice di edificabilità che oggi però non esiste più.
I continui cambiamenti che vengono operati dal Comune hanno di fatto pregiudicato gli aventi diritto.
Il problema non è amministrativo, ma di volontà politica. Nulla si è più saputo circa la riunione del 5 dicembre scorso tra il Direttore del Dipartimento Patrimonio e Politiche Abitative, il Presidente TROMBETTI e l’Assessore ZEVI, così come di tutte le altre promesse, ma il Comune ha continuato a mettere a bilancio la vendita di queste “casette”. Evidentemente il Comune di Roma, a guida GUALTIERI, ha deciso di risolvere la questione per estinzione dei partecipanti.

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DOSSIER PASOLINI – LA MORTE NELLA NUOVA OSTIA COMUNISTA

dossier pasolini

Il corpo di Pier Paolo Pasolini fu trovato il 2 novembre 1975, giorno della ricorrenza dei morti, nella zona dove oggi sorge il Porto Turistico di Roma ad Ostia, attuale Municipio X (ex-XIII, già Circoscrizione XIII del Comune di Roma). Il luogo era vicino non all’abitato dell’Idroscalo di Ostia, ma ai famigerati palazzi Armellini di Nuova Ostia, una delle storie di speculazione edilizia più gravi della Roma post bellica.

Pasolini fu ucciso, ma chi e perché rimane ancora un mistero. E’ dei giorni scorsi la notizia battuta dall’ANSA che è stata depositata alla Procura di Roma una istanza per chiedere la riapertura delle indagini relative all’omicidio di Pier Paolo Pasolini. L’atto è stato redatto dall’avvocato Stefano Maccioni, a nome del regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti, e chiede di accertare a chi appartengano i tre Dna individuati dai Carabinieri del Ris nel 2010 sulla scena del crimine.
Quello che è certo è che il poeta fu aggredito da più persone e volutamente sfigurato, passando più volte con un’auto sul suo corpo esanime. Una morte volutamente archiviata, tra bugie, silenzi e depistaggi, come quella di un corruttore di minorenni omosessuale, “frocio e basta”.

Pasolini è stato condannato a morire come un omosessuale che paga i ragazzini, ammazzato da un minorenne mentre cerca di violentarlo. Una morte infamante, che azzera la verità scomoda, che nasconde il verbo pasoliniano.

E poi teorie su teorie, anche quella provocatoria, simbolica e potente (e forse nemmeno troppo peregrina) di un grande intellettuale che ha scelto il luogo, la data e il modo per morire: il suo lamento funebre.
LabUr vuole dare un contributo a questa violenta vicenda che ha segnato e continua a segnare la storia di questo Paese e del Municipio X, in particolare dell’Idroscalo. Perché al di là delle sentenze, delle inchieste, delle rivelazioni, dei teoremi, dei complotti, nessuno si è curato dei ragazzi sulla soglia del delitto. Silenti, allora, faranno rumore nella loro carriera criminale – senza cesura tra bene e male, innalzati ad eroi di fiction che scivolano nell’epica del banalità del male – testimoni che forse trovò solo Sergio Citti dieci giorni dopo il ritrovamento del corpo e rivelati solo nel 2005 pochi mesi prima di morire e che chissà se faranno parte di un prossimo processo.

La scena del crimine è tutto. Il luogo dove è stato compiuto un crimine è il punto di congiunzione tra la criminalistica e la criminologia. L’unico in grado di farci capire chi sia il colpevole. E di questo LabUr vuole narrare, della scena del crimine, un approccio diverso dai mille racconti non veritieri narrati da chi quei posti non li ha mai conosciuti.

IL CONTESTO STORICO

La morte di Pasolini avvenne un mese dopo l’orribile massacro del Circeo che scosse e indignò l’intera nazione.

Era la notte tra il 30 settembre e il ottobre 1975. Un Metronotte avvisa i Carabinieri che dal bagagliaio di una FIAT 127 si sentono dei lamenti. Quando viene aperto, i militari trovano due giovani ragazze avvolte in bustoni di plastica, nude, ferite, i volti ridotti a maschere di sangue. Una, è morta. I tre macellai sono giovani dei Parioli, quartiere dell’alta borghesia romana appartenenti al mondo della militanza politica armata di estrema destra. Un analogo fatto di cronaca, avvenuto pochi giorni dopo (l’8 ottobre 1975) nella periferia romana c.d. di ‘sinistra’, viene invece relegato dal quotidiano L’Unità nella cronaca locale.

In un prato ai margini della Circonvallazione Subaugusta (Cinecittà), sette ragazzi – il più grande 18 anni, il più piccolo 15 – prelevano da una FIAT 125 una giovane ragazza che si era appartata con il fidanzato. Lui viene bastonato e rinchiuso nel bagagliaio, lei violentata a turno. Un’azione preparata in un bar di piazza Don Bosco, con la stessa violenza del Circeo: «Bada che ti facciamo quello che hanno fatto a Rosaria Lopez», la ragazza uccisa dai pariolini. La violenza nelle periferie in quegli anni era impressionante.

LA CONDANNA DELLA SINISTRA

Erano gli anni dove tutto veniva confinato in un clima infuocato di una politicizzazione integrale del discorso pubblico.

Proprio l’8 ottobre del 1975, dalle colonne del Corriere della Sera, mentre L’Unità nasconde la violenza nella proletaria Cinecittà, Italo Calvino sferra un durissimo attacco alla società borghese prendendo spunto dal massacro del Circeo di una settimana prima. I carnefici erano «borghesi», «fascisti», «pariolini», violenti. Una efferatezza bestiale contro donne «proletarie», una propensione al sopruso «di classe» in una condizione di illegittimo privilegio.

Sarà solo Pasolini, il 30 ottobre, due giorni prima che trovassero il suo corpo ammazzato, a criticare Calvino sulle pagine de Il Mondo, una cruda denuncia al clima di violenza diffuso che in quel periodo esprimevano i giovani di Roma, una città appena uscita dal tentativo del colpo di Stato noto come «Golpe Borghese» (7-8 dicembre 1970), dal nome dell’ex comandante fascista Junio Valerio Borghese, a capo del Fronte Nazionale.
Erano gli anni di piombo, erano gli anni in cui si era passati dall’estremismo al terrorismo. Erano gli anni della fine della dittatura in Spagna di Francisco Franco, morto il 20 novembre 1975. Erano gli anni del colpo di Stato in Cile di Augusto Pinochet ai danni del governo democraticamente eletto di Salvador Allende.

Nella citata “Lettera luterana” rivolta a Calvino (“Tu dici”) Pasolini scrisse che anche se su livelli sociali diversi, i comportamenti dei giovani erano identici. Pariolini e borgatari erano contagiati dalla stessa brutalità.

«Tu hai privilegiato i neofascisti pariolini del tuo interesse e della tua indignazione, perché sono borghesi. La loro criminalità ti pare interessante perché riguarda i nuovi figli della borghesia… Se a fare le stesse cose fossero stati dei “poveri” immigrati a Milano o a Torino, non se ne sarebbe parlato tanto in quel modo. Per razzismo. Perché i “poveri” delle borgate o i “poveri” immigrati sono considerati delinquenti a priori. Ebbene i “poveri” delle borgate romane e i “poveri” immigrati, cioè i giovani del popolo, possono fare e fanno effettivamente (come dicono con spaventosa chiarezza le cronache) le stesse cose che hanno fatto i giovani dei Parioli… I giovani delle borgate di Roma fanno tutte le sere centinaia di orge (le chiamano batterie) simili a quelle del Circeo; e inoltre, anch’essi drogati… tutte le sere quelle centinaia di batterie implicano un rozzo cerimoniale sadico. L’impunità di tutti questi anni per i delinquenti borghesi e in specie neofascisti non ha niente da invidiare all’impunità dei criminali di borgata».

Una realtà vera e vissuta di persona da Pasolini, una realtà che si ritrova nelle parole di David Maria Turoldo dedicate alla madre del poeta e da lui lette al funerale a Casarsa, nella chiesa di Santa Croce, il 6 novembre 1975: «C’è troppa violenza su Roma. Non c’è un fiore più che sbocci e non un alito di vento che ne spanda il profumo; non un fanciullo con la faccia pura; non un prete che preghi».

Per Pasolini il mostro dell’omologazione consumistica aveva disintegrato le classi. La sua risposta a Calvino era una sferzata ai comodi clichés della cultura di sinistra e solo la morte all’Idroscalo di Ostia, quarantotto ore dopo, impedì il consueto profluvio di polemiche che negli ultimi anni aveva travolto ogni sua scorreria «corsara». Pasolini aveva colto la narcotizzante pigrizia intellettuale, l’aggrapparsi a certezze solide ma inaridite dall’uso e dall’abuso: l’antifascismo rituale, l’identificazione convenzionale tra borghesia italiana e fascismo, la pretesa di fissare una volta per tutte l’inferiorità antropologica e financo umana del «nemico».

IL PALCOSCENICO DI NUOVA OSTIA

Screenshot 2023-03-08 15.19.55Cosa abbia portato quel corpo ammazzato a giacere riverso sulla sporca sabbia di Nuova Ostia in una mattina di pioggia della Festa dei Morti, nessuno lo sa, nessuno lo dice evnessuno lo ricorda. Il corpo fu trovato il 2 novembre 1975 a neanche 500 metri in linea d’aria dalle palazzine Armellini di Nuova Ostia, terminate appena 6 anni prima, le così dette ‘case di ricotta’, edifici fatiscenti perché realizzati con le peggiori regole della speculazione edilizia di quei tempi.

La storia del degrado comincia nel 1968 quando 600 famiglie di senza tetto occuparono la gran parte di quelle palazzine, baraccati provenienti da ogni parte della città e guidati nella lotta dal SUNIA (Sindacato Unitario Nazionale Inquilini ed Assegnatari), dal PCI e dal PSI. In 4 anni occuparono tutto: appartamenti, negozi, scantinati. Un migliaio di sardi, interi gruppi di zingari, famiglie trapiantate dagli ex borghetti Tiburtino, Pietralata, Pigafetta, San Basilio, Trionfale e soprattutto Acquedotto Felice.

fotogrammi del film Ostia

fotogrammi del film Ostia

Palazzine che balzarono alla cronaca il 25 maggio 1969 sulle pagine de L’Unità: “Ostia: cemento sulla spiaggia. Centinaia di appartamenti a ridosso del mare e la speculazione continua – Un enorme cantiere che ha ingoiato chilometri di litorale, spiaggia, verde, spazi”. Proprio qui, su queste spiagge “ingoiate”, verrà girato nell’estate del 1969 il film Ostiauscito nelle sale a marzo del 1970, opera prima di Sergio Citti sotto l’egida di Pier Paolo Pasolini che ne curò il soggetto, la sceneggiatura e la «supervisione tecnica e artistica». Non è una mera suggestione che proprio nel luogo dove nel 1975 fu trovato il corpo del poeta si ambientino le scene più importanti del film, quasi che Pasolini avesse voluto crearsi un proprio palcoscenico. Nel degrado. Si chiude con le immagini del film, dopo 20 anni, la “gita ad Ostia” con cui si apriva Ragazzi di Vita nel 1955, continuato poi con il reportage della lunga estate del ’59 in cui Pasolini arrivò “a Ostia sotto un temporale blu come la morte” e dove “il grande formicaio” viene dipinto con parole crude e a tratti violente. Ostia che ritorna nei versi profetici di “Poesia in forma di rosa” sui “figli fascisti, avviati ai mondi della nuova Preistoria.

Non un caso neppure che tre anni dopo, nel 1972, il fallimento della lottizzazione di Armellini si trasformò in un grande affare (ancora oggi in essere, dopo 50 anni) grazie all’intervento del Comune di Roma che prese in locazione quelle migliaia di appartamenti («In condizioni pessime», scrissero i funzionari comunali) per la sistemazione alloggiativa dei senzatetto.

Fu così che avvenne la finale deportazione delle famiglie baraccate dell’Acquedotto Felice, una zona all’altro capo di Roma, conclusasi nel 1973. Un trasferimento doloroso, che si può cogliere dalle parole di don Roberto Sardelli.

Un’apparente conquista sociale veniva pagata a carissimo prezzo: «il tessuto umano che faticosamente avevamo organizzato si sfilacciava… abituati a dominare l’ambiente che avevamo costruito noi, giorno per giorno, ci trovavamo ora in un ambiente che ci dominava e che per di più ci si mostrava ostile». Arrivati a Nuova Ostia scoprirono di essere passati da una marginalità a un’altra. Tante cose erano rimaste le stesse: «ci trovammo senza le strade, senza le fogne, senza i servizi socio-sanitari, senza scuole, senza illuminazione pubblica».

Chi, politicamente, gestiva la zona, era la sezione del PCI di via Baffico, poi trasferitasi nella famigerata via Forni, che a Nuova Ostia rastrellava il 70% dei voti. Le migliaia di famiglie vennero suddivise nelle palazzine per provenienza regionale o per borgata di origine. Questa divisione non creò una amalgama, ma consolidò la separazione fatta di vere e proprie sparatorie da un palazzo all’altro. Una piccola città violenta nel cuore di Ostia, il quartiere che mai si è sentito parte di Roma.

A Nuova Ostia i bambini giocano in mezzo ai rifiuti, col liquame che fuoriesce dalle fosse biologiche quando c’è alta marea. Casi di tifo e di epatite virale. Un campo sportivo viene realizzato con l’occupazione di una zona destinata a verde pubblico attrezzato. I centri ricreativi e associativi sono limitati alla sezione del PCI e alla parrocchia, ricavata nei vani di un grosso negozio. Disoccupazione con percentuali bulgare. La gente si inventa i mestieri. In questo quadro di abbandono si propaga la degenerazione sociale: droga, prostituzione minorile, scippo organizzato, racket dei negozi. Le cronache di 50 anni fa non sono poi molto diverse da quelle di oggi: “delinquenza che tende a dividere la popolazione in gruppi, rivali, in piccole «mafie» impegnate, anche con la violenza e la sopraffazione, a risolvere il problema del pane. C’è quella dolorosa piaga che verrà definita «guerra tra poveri»”.

Un fatto di cronaca su tutti. In via delle Corazzate, il 18 gennaio 1975, Walter Bentini, 29 anni, muore dilaniato per l’esplosione di una bomba che stava cercando di collocare sotto l’auto di un rivale occupato nel settore del racket e delle bische clandestine.

NUOVA OSTIA E L’INTERVENTO DI PASOLINI

Racconta Giorgio Jorio (artista, padre del centro ‘Affabulazione’ di piazza Marco Vipsanio Agrippa, a Nuova Ostia) in un’intervista del 2015, 5 anni prima della sua scomparsaIl degrado culturale, etico e sociale era veramente preoccupante. Con tutti i compagni ci riunivamo per capire come si potesse fare. Veniva alle riunioni anche Don Sardelli, che con la sua esperienza nelle borgate si inventò la soluzione. “Chiamiamo Pasolini, che è un grande artista, scrittore illuminato che sa vedere le cose e sa indicare le soluzioni a problemi come questi”. Lo chiamo riferendogli il problema. In quell’epoca era impegnato a girare in Africa il film “Il fiore delle mille e una notte”. Ordinatissimo nella sua agenda, che si curava da solo, trovò gli spazi per venire e fissò un calendario di parecchi giorni. Nell’ottobre del 1974 cominciò a girare per ascoltare e capire quale fosse il problema e andò avanti fino a marzo del 1975: viaggio che io seguii, fatto di interviste con il suo metodo maieutico che conosciamo bene, di tirar fuori dal popolo quello che aveva dentro per scoprire quale fosse la sua necessità e dare una risposta e delle soluzioni. A Nuova Ostia esistevano dei luoghi proibiti a tutti, anche ai comunisti. Erano i luoghi della piccola malavita che si stava organizzando: Pier Paolo fu accolto anche lì e parlò e fece parlare i piccoli scippatori, i truffatori, gli iniziali strozzini. Dopodiché si fece un’assemblea pubblica dove lui tirò le conclusioni di questo viaggio. Egli disse ai comunisti ma anche al prete della chiesetta nei garage occupati: “Avete fatto un lavoro bellissimo perché qui non c’era nulla, siete riusciti ad avere i marciapiedi, l’asfalto, la scuola Guttuso, avete portato qui la seconda biblioteca comunale a via Forni, avete risposto ai beni primari, anche se manca ancora un punto di riferimento sanitario. Ma quello che manca sono dei luoghi di incontro, di cultura e di socialità”. Qualcuno di noi pensò ai centri sociali ma lui rispose che quel tipo di aggregazione aveva finito la sua funzione salvifica e storica, perché erano diventate delle isole felici di una certa parte del pensiero e della cittadinanza, ma parlandosi esclusivamente tra loro non servivano più a niente. Dovevano essere dei luoghi aperti alla città e a tutti, dei luoghi non diretti verticalmente ma autodiretti e autorganizzati. Disegnò quello che diventò 17 anni dopo il centro socio culturale di Piazza Agrippa, il cui statuto e i principi fondativi furono fatti sulla relazione di Pasolini, che io e altri compagni avevamo appuntato durante l’assemblea”.

LA MORTE DI PASOLINI A NUOVA OSTIA

pasolini e testimoniIn questo ambiente di degrado e violenza, lo stesso denunciato da Pasolini dopo il delitto del Circeo, dopo le polemiche con Calvino, dopo l’isolamento dal PCI, dopo lo scomodo interessamento del poeta che voleva portare cultura dove interessavano invece i voti e dove le mafie già proliferavano, dove Pasolini aveva già visto il suo palcoscenico finale, il racconto di Giorgio Jorio è emblematico: “Erano le 6.30 del mattino ed eravamo in sezione a preparare la diffusione straordinaria di quel giorno. Da sopra la sezione, Bellini mi chiamò urlando: “Hanno ammazzato il tuo amico, quello scrittore, quel frocio! Sta all’Idroscalo”. Io e Grottola ci muovemmo immediatamente: avevano già messo una recinzione molto, troppo ampia e non si vedeva nulla. Lui conosceva bene la zona e quindi riuscimmo, passando dietro le case dei pescatori, ad arrivare dove c’era il corpo, ancora scoperto. Eravamo a 6/7 metri da lui e purtroppo lo vidi: fu uno spettacolo orribile. Osservai anche le condizioni del campo in cui era stata assassinato: non era difficile capire che li c’era stato un branco di persone che l’avevano attaccato, inseguito e bastonato. Dissi questa cose anche in tv ma nessuno mi ha mai chiamato per fare una testimonianza”.

Pasolini era un frocio e doveva morire nel degrado, vittima della violenza delle periferie che il PCI, che lo aveva rinnegato, difendeva in contrasto alla borghesia di destra. Pasolini è morto come le ragazze del Circeo ma in una Nuova Ostia, comunista nelle urne, violenta nella realtà.
Non solo non venne sentito Giorgio Iorio, ma nemmeno i ragazzi ritratti nella famosa foto apparsa su tutti i quotidiani. Questo fu il luogo del delitto. Nessuno lo ha mai narrato.


RIFERIMENTI

Pasolini 1922 – 2022, un mistero italiano” di Lucia Visca (Ed. All Around)

Dalla parte degli ultimi. Una scuola popolare tra le baracche di Roma” di Roberto Sardelli, Massimiliano Fiorucci (Ed. Donzelli)

archivio L’Unità

https://www.lamiaostia.com/intervista_jorio/

http://schiavoneandrea.blogspot.com/2017/11/nuova-ostia-via-forni-la-ex-sede-del-pd.html

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INFERNETTO, LA MARATONA DELLA ‘MEZZA MARATONA’

falconi mezza maratonaIl 5 marzo 2023 sarà l’ennesimo calvario per gli oltre 35mila abitanti dell’Infernetto. Si correrà infatti, dall’EUR ad Ostia, percorrendo la via Cristoforo Colombo, la Quarantottesima Edizione della mezza maratona Roma-Ostia, nata il 31 marzo del 1974 come campionato italiano interbancario di “maratonina”.

Così, per l’ennesima volta, l’Infernetto rimarrà isolato dal resto del Municipio Roma X, costringendo i residenti a compiere giri assurdi per giungere alle proprie destinazioni. Soprattutto uscire dall’Infernetto per attraversare la via Cristoforo Colombo sarà un dramma, così come per raggiungere Ostia. Facile invece dirigersi a Roma perchè le corsie verso la Capitale rimarranno aperte, ma solo per gli automobilisti. Chi vorrà (o dovrà) invece utilizzare il trasporto pubblico potrà servirsi soltanto delle linee 070 e 06, così deviate:

– Lo 070 sarà del tutto deviato dall’Infernetto da inizio servizio fino alle 11.30 mantenendo il capolinea di EUR Fermi e impiegando come provvisorio quello di via della stazione di Castel Fusano (PALAFIJLKAM). Poi, dalle 11.30 alle 15.30, farà da EUR Fermi il regolare percorso fino al viale di Castel Porziano per poi prendere via del Lido di Castel Porziano, la via Litoranea e fare capolinea a piazza Amerigo Vespucci (e viceversa).

– Lo 06 avrà un percorso sdoppiato da inizio servizio fino alle 15:30. La tratta che servirà l’Infernetto sarà quella da piazza Amerigo Vespucci per via del Lido di Castel Porziano fino al capolinea temporaneo di via Wolf Ferrari presso il capolinea dello 065.

Dunque, fino alle 15:30, per andare con i mezzi a Roma (o ad Ostia) sarà disponibile solo lo 06 fino a piazza Amerigo Vespucci e da qui, la fatiscente Roma-Lido. I più coraggiosi potranno anche attendere il ripristino alle 11:30 dello 070, che già nelle giornate ordinarie, funziona a singhiozzo.

maratonina roma ostia 2023Per i conducenti di autoveicoli servirà molta pazienza, non solo per attraversare la via Cristoforo Colombo (alle varie intersezioni, compatibilmente con il passaggio degli atleti, sarà il personale operante presente sul posto a decidere), ma anche per capire, come si vede nella mappa, come mai ogni volta che c’è una manifestazione sportiva debba essere sempre l’Infernetto a pagare.

Scarsa e poco chiara l’informazione ai cittadini. Eppure di tempo ce ne è stato. Infatti il Gabinetto del Sindaco (Direzione Grandi Eventi) ha trasmesso il 10 gennaio la nota dell’ASD G.S. Bancari Romani alla Polizia Locale, per l’espressione del parere allo svolgimento della manifestazione. Dopo il parere favorevole del municipio, il 26 gennaio ed il 6 febbraio, si è svolta in Campidoglio una riunione operativa per la definizione degli aspetti organizzativi. Infine, il Gabinetto del Sindaco, con nota del 23 febbraio ha dato il via libera alla disciplina di traffico provvisorio sopra descritta.

Ora, una domanda sorge spontanea: considerata la crescita demografica del quartiere Infernetto negli ultimi 30 anni, non sarebbe il caso (dopo 48 anni) di rivedere il percorso della maratonina? Le alternative ci sono e sarebbe anche bello far passare gli atleti in contesti urbani e non lungo il rettifilo della Colombo, inospitale ad accogliere il pubblico.
C’è poi anche una questione economica, visto che sono i ‘bancari’ ad organizzare l’evento: quanto hanno pagato alle casse comunali? Ricordiamo che tra la tante spese che bisogna sostenere quando si organizza un evento privato ci sono anche i costi per la Polizia Locale. Lo prevede la legge 96/2017 con la quale è stato deciso che a partire dal 1° gennaio del 2018 è chi organizza un evento a doversi fare carico delle spese del personale di Polizia Locale, soprattutto se l’evento incide sulla sicurezza stradale oppure modifica la circolazione (ad esempio quando è necessaria la chiusura delle strade).

Il dubbio sorge leggendo le ultime dichiarazioni da propaganda africana del presidente del Municipio Roma X, Mario FALCONI che in un post su facebook ha affermato: “Il nostro Municipio torna ad accogliere eventi sportivi grazie agli organizzatori e all’amministrazione guidata dal Sindaco Roberto Gualtieri, in particolar modo grazie all’impegno dell’Assessore allo Sport, Alessandro Onorato che vuole valorizzare il grande potenziale del Municipio Roma X e dell’intera Capitale. Noi siamo pronti!“. Bene.

Siamo pronti anche noi di LabUr perché chiederemo chi ha pagato le spese per la maratonina e quanto. Se fossero stati alla fine solo gli abitanti dell’Infernetto, la propaganda africana diventerebbe un boomerang.

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MUNICIPIO X, COCCINIGLIA A CASTEL FUSANO: AI RAGGI X BANDI E APPALTI PER LA RIMOZIONE DEI TRONCHI

alberi castelfusanoIl Decreto del Ministero delle Politiche Forestali del 3 giugno 2021 dispone le misure fitosanitarie di emergenza da adottare a livello nazionale per contrastare la diffusione della c.d. Cocciniglia Tartaruga (Toumeyella parviconis), il parassita che sta facendo strage di pini. Si legge all’ART.4: “è fatto  obbligo a chiunque  viene a conoscenza della presenza effettiva o sospetta del parassita Toumeyella parviconis di dare immediata comunicazione al Servizio Fitosanitario Regionale, anche attraverso l’applicazione mobile MORGANA (Monitoraggio ORGanismi Nocivi in Agricoltura), del Servizio Fitosanitario Nazionale”.  Sulla base delle segnalazioni ricevute, il competente Servizio Fitosanitario Regionale istituisce sia la “zona infestata” sia “la zona cuscinetto”, zone che vengono comunicate “senza indugio” al Servizio Fitosanitario Nazionale, informando anche la cittadinanza e gli operatori, indicando le relative procedure stringenti per l’eradicazione e il contenimento della zona infestata. 

Tutto questo non sta accadendo all’interno del Comune di Roma e specialmente all’interno della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano, parte del Municipio Roma X, che include la pineta di Castel Fusano e che confina con le immense pinete della Tenuta Presidenziale di Castel Porziano: i tronchi dei pini abbattuti girano liberamente per il territorio infestando altre aree e causando la morte di altre decine di migliaia di pini.

Neppure l’applicativo MORGANA, citato nel decreto, funziona correttamente. Ad oggi l’unica mappa disponibile, relativa alla diffusione della cocciniglia nel Comune di Roma, è quella allegata alla Determinazione Dirigenziale della Regione Lazio n.G11997 del 13 settembre 2022, in cui è stata dipinta (non usiamo altro termine) tutta di rosso (perché zona infetta) l’area di Roma Metropolitana e gran parte della Provincia di Roma. La Regione Lazio si è limitata ad elencare alcuni Comuni come aree buffer (cioè cuscinetto) in azzurro, fornendo indicazioni superficiali circa le sostanze attive da impiegare per contrastare il parassita.

In realtà si dovrebbero applicare gli ARTT. 6 e 7 del Decreto Ministeriale, che regolano la movimentazione del materiale ligneo infetto (compreso il trasporto verso siti autorizzati), ma nel Municipio Roma X di fatto ciò non avviene e la legna e il cippato, cioè il materiale ligneo ridotto a scaglie, viaggiano indisturbati, senza alcun controllo, diffondendo il parassita anche lungo le alberature stradali e determinando di fatto la strage delle pinete e dei pini urbani.

Possiamo affermare, senza temere smentita, che esiste una tacita intesa tra le varie amministrazioni preposte alla tutela del verde, su cui il Municipio Roma X ha una precisa delega, a perdere tutti i pini e a fare della legna infetta un business milionario. A vantaggio di chi? Non certo della collettività.

Per questa ragione LabUr, anche a seguito di quanto sta accadendo all’interno della Tenuta Presidenziale di Castel Porziano (LINK 1 e LINK 2), ha presentato richiesta di Accesso Civico alla Regione Lazio per conoscere i risultati delle indagini ad oggi trasmesse al Servizio Fitosanitario Nazionale, le aree delimitate, le misure fitosanitarie di eradicazione e contenimento, le misure fitosanitarie di contenimento del parassita autorizzate, le azioni di informazione e comunicazione agli operatori interessati e alla cittadinanza.

Infine, ci domandiamo con che coraggio la Giunta del Municipio Roma X, con delibera n.33 del 24 ottobre 2022 relativa alla Valenza Turistica territoriale (strumento per definire l’importo dei canoni delle concessioni demaniali marittime), abbia potuto innalzare Ostia alla classe A, cioè la più alta. Il punteggio massimo determinato ha tenuto in considerazione la presenza proprio delle aree protette della Riserva che però, neanche un mese prima, la Regione Lazio aveva considerato infette perché colpite da un palese abbandono amministrativo, che coinvolge anche il Corpo Forestale di Castel Porziano e il locale distaccamento dei Carabinieri Forestali dentro la pineta di Castel Fusano.

Preoccupa pertanto che, in questo clima di negligenza, neppure sia considerato all’interno degli affidamenti per lo smaltimento dei pini infetti, il protocollo di intesa datato 21 luglio 2014 tra la Prefettura di Roma e il Comune di Roma voluto “ai fini della prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture” che, ironia della sorte, fu firmato da Giovanni ALEMANNO ed il Prefetto Giuseppe PECORARO, proprio all’indomani dello scoppio di Mafia Capitale e delle rivelazioni sulle infiltrazioni criminali nel settore del verde pubblico.

A conferma di quanto sopra, riportiamo l’intero testo dell’articolo comparso oggi su Il Messaggero – ed. Ostia a firma del giornalista Mirko POLISANO

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Screenshot 2023-03-02 11.53.37«Ora una mappatura delle aree più colpite»

LE POTATURE E I TAGLI EFFETTUATI NON HANNO OTTENUTO L’AUTORIZZAZIONE DALLA COMMISSIONE RISERVA DEL LITORALE

mirko.polisano@ilmessaggero.it

Giovedì 2 Marzo 2023

OSTIA

Sulla carta dovrebbero essere aree verdi protette, ma in realtà si sta consumando una vera strage per Castel Fusano e Castel Porziano. Sono migliaia i pini abbattuti e lasciati abbandonati all’interno delle pregiate zone boschive. Si tratta di alberature che – stando all’esame degli esperti – risultavano malati e affetti da “toumeyella parvicornis”, la più nota “cocciniglia tartaruga” ma questi interventi, autorizzati dagli uffici di Comune e X Municipio, non avrebbero ottenuto l’ok della commissione Riserva del Litorale Romano. E per questo, ora, associazioni e volontari che hanno a cuore le sorti del polmone verde della Capitale hanno inoltrato esposti e richieste di accesso agli atti per avere chiarimenti in base a quello che sta accadendo ai pini marittimi di Ostia e dintorni.

I FATTI

Il problema principale riguarderebbe proprio lo smaltimento dei fusti che restano abbandonati nel bosco. Essendo malati e, dunque, portatoti del parassita killer potrebbero aumentare il rischio di contagio dell’epidemia da cocciniglia se non vengono rimossi e smaltiti immediatamente. Una corsa contro il tempo, su cui aziende e società ora fanno a gara per accaparrarsi appalti e bandi su cui le istituzioni sono già al lavoro. E come su tutto ciò che riguarda verde e avvisi pubblici, l’allarme “business della legna” è in agguato. «In moltissime regioni d’Italia – spiegano i cittadini – si continuano a tagliare boschi per bruciare migliaia di tonnellate nelle centrali a biomasse che producono energia elettrica mentre si raccomanda di piantare alberi per arrestare il riscaldamento del clima. Si tratta per altro di tecnologia che per la scienza tutto è tranne che pulita, ma che rientra nella tassonomia verde Ue. Infatti il legno che viene “cippato” (legna ridotta in scaglie, ndr) e poi bruciato in centrale è ritenuto energia rinnovabile dalla Commissione Europea perché gli alberi hanno il potere di crescere di continuo e di rinnovarsi, ma i tempi di crescita di un albero non sono compatibili con le quantità necessarie per tenere accesa una centrale elettrica. Le biomasse legnose ricevono degli incentivi economici  in quanto fonti rinnovabili e senza questi incentivi non verrebbero utilizzate perché non economicamente convenienti. Tecnicamente si parla di utilizzo di “scarti derivanti manutenzione boschiva”. È uno dei crimini ambientali che paga di più».

GLI AFFARI

La produzione energetica da biomasse ricavate dai tagli boschivi prevede investimenti di poco conto e grandi ricavi: un business, insomma, che inizia a far gola a molti. «Nonostante ciò si insiste con incentivi pubblici in favore di una vera e propria sciagura ambientale spesso unita a una sciagura della legalità», concludono i cittadini. Il Municipio X è stato colpito pesantemente dall’emergenza cocciniglia: a parte la Pineta di Castel Fusano, si ricorda l’abbattimento di oltre 400 pini per la realizzazione di un camping e il caso di viale di Castel Porziano 409 pini a rischio. A questo, si aggiunge l’abbattimento di 27mila pini nel polmone verde della Capitale, la tenuta Presidenziale di Castel Porziano, e altri 400 di viale di Castel Fusano. Si tratta di una prima tranche, perché i pini sono quasi tutti ammalati. La classificazione e omologazione degli alberi che fu fatta circa dieci anni fa ed è ampiamente scaduta, considerato che aveva una validità di sei mesi. A completare il quadro, poi, la circostanza che nel Municipio X quasi tutti gli appalti sul verde siano in mano a una società, molto vicina agli ambienti politici di una delle passate amministrazioni.

Mirko Polisano

 

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OSTIA, IL DIPARTIMENTO CONFERMA: NESSUN CANTIERE ‘MEZZAROMA’

331269313_1380209706114580_4713218107707345790_nA fine febbraio si terrà l’udienza presso il Tribunale del Riesame per confermare o no le misure cautelari nei confronti di Paolo PAPAGNI, tornato agli onori della cronaca per aver evaso due volte i domiciliari (LINK 1). Si tratta del processo che lo vede coinvolto con il pregiudicato Roberto DE SANTIS (entrambi arrestati il 27 gennaio 2022) con l’imputazione di tentata estorsione nei confronti dell’imprenditrice Barbara MEZZAROMA, fatto avvenuto a fine 2021 e di cui abbiamo già ampiamente scritto (LINK 2 , LINK 3 e LINK 4).
Tutte le fonti aperte, che riportano stralci delle indagini della Procura di Roma, affidate al PM Mario PALAZZI (della Direzione Distrettuale Antimafia), indicano che il progetto è quello dell’IBIS (cioè MEZZAROMA), sui terreni a fianco del Borghetto dei Pescatori, un’area ancora libera dietro il Polo Natatorio di Ostia. Come rivelato da LabUr, nessun progetto su quell’area però è imminente. Lo conferma oggi anche il Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica del Comune di Roma  (nota QI/2023/0028795 del 16 febbraio 2023): non esiste ancora la Convenzione e neanche sono definiti i progetti delle opere di urbanizzazione primarie e secondarie perché è necessaria l’approvazione di vari enti, competenti in materia di ambiente, trasporti, etc. Il 1­° febbraio 2018 è stato proprio il soggetto proponente (IBIS) a chiedere la sospensione dei termini della succitata Conferenza dei Servizi per poter rispondere alle osservazioni avanzate dall’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Centrale riguardante il rischio allagamenti dell’area. La Conferenza è stata riaperta solo tre anni dopo, il 15 agosto 2021, cioè 14 giorni prima della famosa foto sul Lungomare di Ostia, in cui Roberto GUALTIERI viene immortalato, assieme al consigliere del PD Giovanni ZANNOLA, con il pregiudicato Roberto DE SANTIS, detto Er Nasca. In quell’occasione l’IBIS ha presentato dei nuovi elaborati progettuali, ma la conferenza dei servizi non si è ad oggi ancora conclusa in quanto alla data del 27 gennaio 2023 la stessa IBIS ancora non aveva presentato altri elaborati richiesti questa volta dal Dipartimento Mobilità Sostenibile e Trasporti del Comune di Roma. Inoltre, il 3 febbraio 2023 la Regione Lazio ha chiesto ulteriori nuovi chiarimenti sul progetto. Dunque sono inesistenti sia l’Atto di Convenzione sia i progetti delle opere di urbanizzazione, necessari per dare il via al cantiere definito dalla Mezzaroma “imminente”.

Tornano prepotenti alcune domande: perché a fine 2021 ci sarebbe stato un tentativo di estorsione su un cantiere inesistente? Perché Barbara MEZZAROMA ha sempre sostenuto che i lavori fossero imminenti quando ancora doveva essere completato l’iter autorizzativo? L’unico vero e importante cantiere in corso targato MEZZAROMA è quello di Piazza dei Navigatori, davanti alla sede della Regione Lazio, sulla via Cristoforo Colombo (zona Tor Marancia), sbloccato nel 2018 dall’ex Sindaco Virginia RAGGI, avviato a inizio ottobre 2022 e che sta sollevando forti contestazioni da parte dei residenti, evidentemente non rassicurati dalle parole di Barbara MEZZAROMA che definisce l’operazione “uno dei progetti più importanti per il Rinascimento di Roma” (LINK 5).
Sollecitiamo quindi con urgenza la convocazione della Commissione Urbanistica del Municipio X, presieduta da Marco BELMONTE (PD), visto che la delega all’Urbanistica è rimasta nelle mani del Presidente del Municipio X, Mario FALCONI, di cui purtroppo non abbiamo potuto apprezzare alcun intervento sotto il profilo urbanistico dopo 15 mesi. Dispiace infatti che ancora non sia stata convocata nonostante le promesse ai residenti di calendarizzarla a gennaio. Sarà l’occasione per portare una ventata di trasparenza su tale criminale questione e dove LabUr depositerà tutti gli atti in suo possesso.

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CASTELPORZIANO, LA SPIAGGIA NEGATA

castelporziano chioschiA meno di tre mesi dall’inizio della stagione balneare, il Municipio X brancola nel buio: nessuna novità sul sequestro dei chioschi, i cui ricorsi dei titolari sono stati tutti respinti dal Tribunale del Riesame. La rigida posizione della magistratura inciderà con estrema pesantezza sull’attività amministrativa del Comune di Roma mettendo a rischio la spiaggia libera dei romani, aperta dal 1965 per volontà di Saragat.
Il sequestro non è dovuto a reati edilizi ma all’occupazione senza titolo di area demaniale marittima per l’esercizio di somministrazione di cibi e alimenti. Da tale ipotesi di reato (le indagini e gli accertamenti documentali sono ancora in corso) discende un quesito al quale ancora la magistratura inquirente non ha risposto: qual è la perimetrazione del demanio marittimo a Castelporziano? Si estende dal mare fino all’inizio delle dune o termina a ridosso della via Litoranea? Nel primo caso i chioschi sarebbero salvi, nel secondo, no.
Molte altre questioni sono comunque coinvolte dalla individuazione della c.d. dividente demaniale, che separa il demanio marittimo dal demanio dello Stato.

Una cosa è certa, la competenza amministrativa sull’arenile di Castelporziano non è della Regione Lazio, che più volte ha ribadito che quel tratto di arenile non rientra nelle deleghe, ricevute dallo Stato nel 1999, inerenti le funzioni amministrative sul Litorale marittimo per finalità turistiche e ricreative. Ciò comporta altresì la automatica esclusione di Castelporziano dal Piano di Utilizzazione degli Arenili (PUA) del Litorale romano essendo uno strumento di ricognizione del bene demaniale per fini turistici.
Se dunque la Regione non ha competenza su Castelporziano, non ce l’a neanche il Comune di Roma e quindi anche il Municipio X, che hanno ereditato le competenze regionali il primo per sub-delega, il secondo per decentramento amministrativo.

Pertanto il Comune di Roma ha competenza su Castelporziano solo in virtù della Convenzione datata 14 luglio 1965 con la Presidenza della Repubblica per l’apertura della spiaggia ai romani. Tale Convenzione prevedeva che il Comune di Roma pagasse allo Stato la concessione relativa alla fascia di demanio marittimo, oggi ancora da individuare con esattezza. L’ultima concessione pagata è quella risalente al 1998-2001 (quasi 4 milioni di lire, per 44mila mq scoperti e 1.827 coperti, relativi a 9 fabbricati), poi più nulla fino ad oggi. In pratica il Comune di Roma, dopo aver ricevuto la suddetta sub-delega dalla Regione Lazio, ha erroneamente ritenuto che la spiaggia fosse di sua competenza e non più dello Stato. Neppure la Presidenza della Repubblica ha mai vigilato sul rispetto della Convenzione del 1965.

Intanto a Castelporziano era già sorto quel “complesso balneare pubblico ad uso gratuito” comprensivo di 5 chioschi per la somministrazione di alimenti e bevande, come da Convenzione. Disciolto nel 1990 l’Ente Comunale di Consumo che li gestiva, fu rilevata dai privati l’autorizzazione amministrativa per la somministrazione, rimanendo le strutture dei chioschi in mano al Comune che, una volta ricevuta la sub-delega, firmò, dentro la Convenzione del 1965, una nuova Convenzione con i titolari dei chioschi per affidare loro nel 2002 (per 12 anni) i servizi di assistenza alla balneazione, guardiania e pulizia della spiaggia. Quindi le attuali strutture in muratura sono opera del Comune di Roma mentre i servizi sono dei privati che però dal 2014 non avrebbero alcun titolo per stare li, da una parte perchè scaduta la Convenzione del 2012, dall’altra perchè la licenza di somministrazione non sarebbe esclusiva del posto ma delocalizzabile.

Poiché la Presidenza della Repubblica non è proprietaria dell’arenile di Castelporziano, ma lo ha solo in dotazione, e il demanio marittimo (di cui in parte si compone) è un bene dello Stato, la Convenzione del 1965 è sovraordinata dalle leggi che governano il demanio marittimo tra cui il Codice della Navigazione.

E qui il pasticcio dei chioschi.

Il Comune di Roma, pur non pagando negli ultimi 20 anni, è dal 1965 il concessionario dell’arenile di Castelporziano. A tutti gli effetti, è come un qualsiasi stabilimento balneare (ma pubblico e gratuito) grazie alla Convenzione del 1965. Quindi, da quando non ha più esercitato in proprio tutta la gestione dell’arenile, inserendo dei privati, avrebbe dovuto ricorrere (ma non lo ha fatto) all’applicazione dell’articolo 45-bis del Codice della Navigazione. L’articolo prevede infatti che l’affidamento ad altri delle attività oggetto della concessione può esser fatto solo previa autorizzazione dell’autorità competente, vale a dire, prima del 2001, della Capitaneria di porto di Roma e, dopo, del Ministero delle Infrastrutture.
Di certo, il Comune di Roma, non avendo alcuna sub-delega per esercitare funzioni amministrative sul Litorale di Castelporziano, non solo non può rilasciare concessioni ma neppure può autorizzare il 45-bis. Al Comune spettava solo il compito di rispettare la Convenzione del 1965 non quello di produrre altre Convenzioni in libertà e senza alcun controllo statale.

Tutto questo, nell’ipotesi, avanzata dalla magistratura inquirente, che i chioschi ricadono sul demanio marittimo. Se invece così non fosse andrebbe tutto ridiscusso.

Negli ultimi 6 mesi, al fine di dipanare la matassa, si è tenuto un tavolo tecnico tra Comune, Capitaneria e 4 avvocati della Presidenza della Repubblica.La strada è ancora lunga perchè incrocia problematiche amministrative, patrimoniali, penali e civiliste, con i titolari dei chioschi disposti a non arrendersi. Chi ci rimetterà saranno i cittadini romani a cui Saragat donò la spiaggia non prevedendo questa deriva istituzionale. E dove si stanno muovendo appetiti poco chiari.

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PORTO DI ROMA AD OSTIA, TRA URBANISTICA, AMMINISTRAZIONE E POLITICA. SEGNALI OSCURI IN PIENA CAMPAGNA ELETTORALE

328393664_848918986181162_2466004963762773281_nE’ notizia che corre negli ambienti ben informati che a breve il Comune di Roma prenderà in mano la gestione del Porto Turistico di Roma ad Ostia dopo la confisca definitiva a danno dell’ex patron Mauro BALINI. La vicenda, iniziata nel 2013 a cavallo dei fatti di Mafia Capitale, racchiude la complessità dei stretti rapporti territoriali tra criminalità, politica, Uffici dell’Amministrazione pubblica e vertici della Guardia di Finanza (l’ex generale Emilio SPAZIANTE). Un groviglio che a 10 anni dal suo inizio non è mai stato dipanato mentre si entra nel vivo della campagna elettorale regionale con segnali davvero preoccupanti.

LA CANDIDATA DEL PD EMANUELA DROGHEI
Moglie dell’ex capogruppo PD in Campidoglio Francesco D’Ausilio, è l’unica candidata del territorio con i numeri per entrare in Regione Lazio essendo in ticket con l’attuale Presidente regionale, il potente Daniele Leodori. Ne avevamo parlato anche negli scorsi giorni a proposito di un’insolita riunione (LINK). Il centro destra le ha lasciato il campo libero nonostante siano numerose le scelte strategiche che riguarderanno il Litorale romano. Al di là delle questioni giudiziarie del marito, rimane quella dell’opportunità politica. Nessuno in questi anni ha infatti chiarito, ad esempio, i rapporti tra Mauro BALINI e Francesco D’AUSILIO (attualmente imputato nel processo “Mafia Capitale Ter”), così come il mancato supporto amministrativo all’azione giudiziaria da parte dell’ex Assessore alla Legalità, Alfonso SABELLA. Era lo stesso periodo (2015) in cui scoppiava il caso di Camorra Capitale, poi terminato con condanne definitive, come quella di Massimiliano COLAGRANDE (24 anni) difeso dall’avvocato Armando VENETO, avvocato anche di Francesco D’Ausilio.
Massimiliano COLAGRANDE è considerato come uno dei capi del sodalizio criminale che fa riferimento a Michele SENESE, all’interno di quel circuito relazionale cui apparteneva anche il capo di Mafia Capitale, Massimo CARMINATI. Tutti nomi che ritroviamo nell’ultimo spezzone del maxi processo “Mafia Capitale Ter”. Tra gli imputati anche Francesco D’AUSILIO, navigato politico di Ostia, difeso da Armando e Clara VENETO. Armando VENETO, 87 anni, ex sindaco di Palmi, parlamentare ed eurodeputato, è stato condannato a febbraio 2022 a 6 anni per concorso esterno in associazione mafiosa (‘ndrangheta) e corruzione (“per avvantaggiare la cosca Bellocco”). Una sentenza, quella emessa dal GUP del Tribunale di Catanzaro Matteo FERRANTE, che ha accolto in gran parte le richieste della Direzione Distrettuale Antimafia guidata dal procuratore Nicola GRATTERI.

FRANCESCO D’AUSILIO
Le indagini a suo carico si sono concluse il 1° luglio 2016, relativamente a fatti risalenti al periodo 2013-2014. Assieme a lui, risulta imputato il segretario Salvatore NUCERA detto ‘Calogero’. Il processo, per errore del Giudice delle Indagini Preliminari, fu assegnato dal 19 settembre 2018 al 12 novembre 2018 al giudice Luca GHEDINI FERRI e poi al giudice Giovanna SALVATORI perché non inerente ai reati contro la Pubblica Amministrazione ma di competenza della Direzione Distrettuale Antimafia. Negli anni si sono avvicendati come giudici prima Raffaele GARGIULO, poi proprio l’ex Assessore alla Legalità del Comune di Roma, Alfonso SABELLA, infine Sabrina LORENZO. Dal 17 gennaio 2023 è subentrata nuovamente Giovanna SALVATORE che ha fissato nei giorni scorsi le prossime date per l’esame degli imputati che si concluderanno entro il 15 luglio, cioè 7 anni dopo la chiusura delle indagini.

ALFONSO SABELLA
In tale contesto spicca il caso di Alfonso SABELLA che in data 23 marzo 2022 ha presentato istanza di astensione dal processo essendo stato, proprio durante i fatti di ‘Mafia Capitale’, Assessore alla Legalità del Comune di Roma (23.12.2014 – 30.10.2015) e delegato del Sindaco Ignazio Marino presso il Municipio X (29.04.2015 – 27.08.2015) dopo le dimissioni dell’allora Presidente Andrea TASSONE, condannato in via definitiva a 5 anni, e che aveva nominato in Giunta, in qualità di Assessore alle Politiche Sociali, proprio Emanuela DROGHEI, moglie di D’AUSILIO. Alfonso SABELLA, che fu nominato Assessore e delegato proprio a seguito dei fatti di Mafia Capitale, venne però commissariato per la “situazione di grave inquinamento e deterioramento dell’Amministrazione municipale”, evidentemente non risolta con il suo arrivo.
Alfonso SABELLA non poteva dunque essere il giudice del maxi processo “Mafia Capitale Ter”, avendo convissuto con Francesco D’AUSILIO il periodo dei reati in questione. Come Alfonso SABELLA – condannato nel 2018 dalla Corte dei Conti a seguito dei risarcimenti pagati a chi subì abusi e torture nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova nel 2001 quando era a capo dell’Ispettorato del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – sia stato assegnato a quel ruolo dal Tribunale di Roma rimane un mistero per i non addetti ai lavori, evidentemente.

CONCLUSIONI
In questo quadro oscuro, si affacciano altri segnali preoccupanti. Il Litorale vede non solo l’importante partita relativa alle concessioni balneari, ma anche quella dell’erosione, i cui appalti per gli sciagurati pennelli e il ripascimento viaggiano nella nebbia (LINK). A tutto questo si aggiunge anche la mancata promessa dell’Amministrazione Capitolina e Municipale sul futuro di quel quadrante di città e che riguarda in particolare l’Idroscalo di Ostia, tenuto sotto scacco da anni dal famigerato progetto del raddoppio del Porto Turistico di Roma. Nessun tavolo tecnico con i residenti, volto a riqualificare l’area attraverso il progetto di un borghetto, si tenuto in questo anno e mezzo, mentre invece si è tenuta una triste esercitazione di evacuazione e si riparla nuovamente della costruzione dell’argine mancante del Tevere a Nuova Ostia nel quadro del c.d. Articolo 2 di Ostia ponente che manderà letteralmente “a bagno” l’Idroscalo.
LabUr si è interessato sin dall’inizio delle vicende del Porto Turistico di Roma ad Ostia, ricostruendone, fino al tentativo di raddoppio, tutte le discutibili autorizzazioni amministrative ricevute. Ed è per questo motivo che nutriamo grande preoccupazione per quanto sta avvenendo in queste settimane, non solo sotto il profilo processuale del “Mafia Capitale Ter”. Al di là delle opportunità politiche di certe candidature, ci auguriamo che il processo non si concluda senza fare chiarezza sui fatti di quel buio periodo che il territorio di Ostia ha pagato duramente.

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OSTIA, CONCESSIONI DEMANIALI: ERRATA L’ALTA VALENZA TURISTICA

ostia valenza turisticaLabUr aveva ragione anche stavolta: i criteri adottati dal Municipio Roma X in termini di canoni concessori: la classificazione di ‘alta valenza turistica’ per il litorale romano è sbagliata, come documentato dalla istanza di revisione in autotutela inviata in data 4 novembre 2022 al Comune di Roma e alla Regione Lazio (1).

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Settima), ha infatti sentenziato in data 22 novembre 2022 (con pubblicazione del 4 gennaio 2023) a favore del ricorso proposto dalla Nuova Pineta S.r.l. (nr. 2023/00129) circa la errata valutazione da parte del Comune di Roma (fino al 2020) dei fenomeni erosivi lungo il litorale romano che hanno portato negli anni ad attribuire alle concessioni demaniali marittime la classificazione di “alta valenza turistica“.

In sostanza, essendosi incontrovertibilmente appurato in sede di verificazione giudiziale “che l’arenile si è ridotto a seguito di eventi dannosi di eccezionale gravità che hanno comportato una minore utilizzazione dei beni oggetto della concessione“, la fondatezza del ricorso è basata sul fatto che il Comune di Roma ha utilizzato le sole “pubblicazioni fonte ENEA” anziché l’ “Atlante regionale della Dinamica Costiera elaborata nell’ambito del “Progetto Europeo Maremed”, così come previsto dalla legge regionale 14 luglio 2014, n. 7.
In pratica, lo stesso errore commesso dalla delibera di giunta n.33 del 24 ottobre 2022 che ha utilizzato il “Rapporto spiagge Legambiente 2022” per definire di valore ‘medio’ l’effetto erosivo costiero attribuendo alle concessioni di nuovo una “alta valenza turistica” a fronte invece della gravità visibile a tutti, in primis alla Regione Lazio, anche a Legambiente stessa.

Non è infatti ammissibile che siano state stravolte le conclusioni di Legambiente che, testualmente, in linea con quanto sostenuto dalla Regione Lazio, ritiene grave e non ‘media’ l’erosione sul litorale romano: “Il litorale di Roma, la zona di Ostia e del X Municipio, ha visto negli anni numerosi interventi sia di opere rigide che di ripascimenti. Su questi 10 km di litorale sono state realizzate opere rigide come barriere sommerse ravvicinate (Ostia Ponente) o distanziate (Ostia Centro), pennelli semisommersi (Ostia Ponente e centro), ripascimenti con sabbie da cave terrestri (Ostia Ponente e Centro), con sabbia da cave marine (Ostia Ponente e Levante). Dal 1990 al 2015 (il periodo più importante per la mole di interventi) l’erosione complessiva del litorale di Ostia è passata da circa 50.000 mq a 120.000 mq. Dal 2016 al 2018 la situazione è ulteriormente peggiorata“.

Chiaramente tale sentenza non modifica questa ultima insana decisione del Municipio Roma X, ma crea un precedente di cui terranno conto le prossime sentenze in sede di TAR Lazio presentate dai balneari. Insomma, un eterno contenzioso dovuto alla incapacità di ascolto degli uffici (non solo del Municipio Roma X, ma anche regionali e dell’Agenzia del Demanio) che invece di far pagare il giusto approfittano della discrezionalità amministrativa per alzare i canoni concessori. Errori che comportano enormi spese da parte dell’Avvocatura Capitolina e un aumento delle tariffe stagionali applicate sulle spiagge, un danno per le tasche dei cittadini e non certo per gli amministratori.

 

(1) per l’annullamento della Deliberazione di Giunta del Municipio Roma X n. 33 del 25 ottobre 2022 e rettifica delle precedenti schede di analisi per la valutazione turistica del litorale romano (non resa pubblica in quanto in fase istruttoria)

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BARBARA MEZZAROMA, IBIS: IL “GRANDE CANTIERE” AD OSTIA OGGETTO DELLA TENTATA ESTORSIONE PER IL COMUNE DI ROMA NON ESISTE

MezzaromaIl 16 dicembre scorso abbiamo affrontato tutto quello che non tornava – soprattutto sotto il profilo urbanistico – nella vicenda della tentata estorsione a Barbara Mezzaroma sul progetto c.d. IBIS (LINK). Abbiamo invitato la classe politica che governa la città a fare chiarezza sulle incongruenze contenute nelle dichiarazioni a mezzo stampa relative ai passaggi amministrativi di questo sedicente “grande cantiere”, alla luce delle promesse municipali di convocare la prima commissione urbanistica utile del 2023 per trattare il caso IBIS, viste le forti implicazioni anche sul Piano di Utilizzazione degli Arenili (PUA). Scrivevamo in sintesi, a dicembre scorso, che il progetto datato 2007, come dichiarato da Barbara Mezzaroma, doveva essere entrato in convenzione nel 2012 e scaduto nel 2022 (a meno di una proroga che però non ci risultava essere stata concessa) e dunque si inseriva in maniera non trasparente nel tentativo annoso di riqualificazione del Lungomare di Ostia. In calce i passaggi amministrativi (*).
Ebbene, a seguito delle diverse dichiarazioni fumose comparse sulla stampa, LabUr ha fatto accesso agli atti e ricevuto dal Comune di Roma la seguente risposta: “In relazione alla richiesta prot. QI 02034413 del 20 novembre 2022 e a parziale soddisfacimento della medesima, la Struttura del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica indicata in calce, informa che non è stata stipulata alcuna convenzione riguardo quanto forma oggetto dell’istanza e ad oggi non risulta avviato alcun iter a ciò finalizzato”. Dunque, l’istruttoria non si è mai conclusa e pertanto il cantiere non è mai esistito.

Risultano quindi davvero incomprensibili le seguenti dichiarazioni sui media mainstream:

2022
– “La protagonista è un’imprenditrice di 49 anni che ha rifiutato di sottostare al ricatto mafioso: le veniva offerta protezione per un grande cantiere che sta per aprire a Ostia in cambio del pagamento di 500mila euro. (L’Espresso)
– “Richiesta di denaro per proteggere un cantiere in corso ad Ostia alla quale l’azienda risponde denunciando i fatti ai Carabinieri…. L’imprenditrice è Barbara Mezzaroma e il progetto che si sta realizzando ad Ostia le costa 100 milioni” (MonitorImmobiliare)
– “Paolo Papagni…. Sapeva del mio progetto edilizio in corso ad Ostia” e sul progetto edilizio dice “Lo abbiamo proposto nel 2007… circa 15 anni fa, ma forse ci siamo”. (Domani, Nello Trocchia)

2023
– 2° udienza in Tribunale nel processo per (tentata, n.d.r.) estorsione aggravata dal metodo mafioso. Il PM Mario Palazzo: Er Nasca (Roberto De Santis è “L’uomo degli equilibri – criminali nel Litorale romano, come era definito da (Paolo, n.d.r.) Papagni – deve essere condannato a 14 anni di carcere. La potente costruttrice romana, per edificare un complesso da 100 milioni di euro nel litorale, si era dovuta sedere al tavolo delle trattative con il Nasca. (Giuseppe Scarpa, La Repubblica, 17 gennaio)

Speriamo che questo ennesimo contributo alla trasparenza sia finalmente recepito dall’Amministrazione.
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(*) Almeno fino al 2017, la Ragioneria Generale del Comune di Roma (Allegato B6 bis della “Relazione al Rendiconto 2017”), confermava il proseguimento delle attività relative alla pianificazione dei piani di lottizzazione convenzionata di trasformazione ordinaria con esplicito riferimento all’Ambito di Trasformazione Ordinaria (ATO) I12 Borgo dei Pescatori, attività relativa ad un aggiornamento degli schemi di convenzione e in particolare alla chiusura della Conferenza di Servizi esterna con la Regione Lazio conclusasi a novembre 2007. A firmare tale relazione, il Dirigente responsabile dell’Unità Organizzativa “Riqualificazione urbana” della Direzione Trasformazione Urbana, Arch. Vittoria CRISOSTOMI.
Ricordiamo che “Il Piano di Lottizzazione convenzionata è uno strumento urbanistico di iniziativa prevalentemente privata che ha per ambito una porzione del territorio comunale destinata all’edificazione; è necessario per legge ogni qualvolta, indipendentemente dalle prescrizioni del piano con finalità programmatiche, si intenda realizzare un intervento edilizio che comporti nuove opere di urbanizzazione o aggravi la situazione di quelle esistenti; costituisce specificazione delle scelte operate dallo strumento urbanistico programmatico. Il piano di lottizzazione è accompagnato da una convenzione mediante la quale il lottizzante si impegna a realizzare le opere di urbanizzazione indotte dall’intervento e a cedere le relative aree, nonché a corrispondere pro quota gli oneri inerenti. Una volta ottenuto il nulla osta alla lottizzazione, l’edificazione successiva deve essere preventivamente assentita con concessione edilizia”.

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VERDE PUBBLICO: CHE FINE FARA’ NEL MUNICIPIO X?

verde municipio roma x

Alberi come rifiuti, fatti ammalare e non curati, tagliati, sminuzzati e forse venduti da privati sul mercato senza alcun vantaggio per il Comune. Come accadde dopo il terribile incendio del 4 luglio 2000 a Castelfusano. Argomenti su cui torneremo, concentrandoci ora sul meccanismo che genera tutto ció.

E’ di questi giorni l’annuncio dell’abbattimento di 104 pini su via dei Pescatori nel Municipio X, notizia che segue quella data solo da LabUr del taglio di migliaia di pini dentro la Tenuta di Castelporziano. Il tutto, è conseguenza di una totale incuria del patrimonio boschivo e delle alberature stradali da parte delle singole amministrazioni competenti che nulla e quel poco, male, hanno fatto per combattere la terribile infestazione parassitaria (nota dal 2015) della c.d. ‘cocciniglia tartaruga’. Analizziamo meglio la questione, che deve distinguersi tra tagli boschivi e tagli di alberature stradali, i secondi spesso collegati a questioni di pubblica e privata incolumità ma che spesso sconfinano in attività criminali.

BIOMASSE FORESTALI. “COME GLI ANTICHI”

Nel Municipio X, ci sono due grandi boschi: la tenuta di Castelfusano (di competenza di Roma Capitale) e la tenuta di Castelporziano (dotazione del Presidente della Repubblica). Altri piccoli ‘boschi, ricoprono aree della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano, che ingloba, in senso ambientale, tutto quanto. Infine, per un certo verso, anche le alberature stradali lungo grandi vie (come via dei Pescatori, via di Castelfusano, via di Castelporziano) possono identificarsi come ‘boschi urbanistici’.

Si continuano a tagliare boschi per bruciare migliaia di tonnellate nelle centrali a biomasse che producono energia elettrica mentre si raccomanda di piantare alberi per arrestare il riscaldamento del clima. Si tratta peraltro di una tecnologia che, per la scienza, tutto è tranne che pulita, ma che rientra nella tassonomia verde UE. Infatti il legno che viene cippato (legna ridotta in scaglie) e poi bruciato in centrale è ritenuto energia rinnovabile dalla Commissione Europea perché gli alberi hanno il potere di crescere di continuo e di rinnovarsi, ma i tempi di crescita di un albero non sono compatibili con le quantità necessarie per tenere accesa una centrale elettrica. Inoltre, un pino, una volta tagliato, non ricresce più.

Le biomasse legnose ricevono degli incentivi economici (*) in quanto fonti rinnovabili e senza questi incentivi non verrebbero utilizzate perché non economicamente convenienti.
Tecnicamente si parla di utilizzo di “scarti derivanti da manutenzione boschiva”.
E’ uno dei crimini ambientali che paga di più (**). La produzione energetica da biomasse ricavate dai tagli boschivi prevede investimenti di poco conto e grandi ricavi.
Nonostante ciò, si insiste con incentivi pubblici in favore di una vera e propria sciagura ambientale spesso unita a una sciagura della legalità.

Anche la Regione Lazio ha proceduto a finanziare un progetto del CNR-IIA volto a redigere un censimento sulla disponibilità di biomassa a breve (a medio e lungo termine) e un’analisi territoriale e di sviluppo sugli scenari energetici per individuare il fabbisogno energetico e stabilire la dislocazione di impianti per la generazione di calore ed energia da biomasse nelle diverse province (*).
Nel 2018 un censimento elencava in circa 11.000 i pini nelle alberature stradali nella Capitale. In tutta Roma, parchi e giardini inclusi, i pini sarebbero invece 120.000. L’80% è stato colpito da Toumeyella parvicornis, nota anche come cocciniglia tartaruga del pino. Nel 2021 sono stati stanziati 60MLN di euro per il verde verticale, per la cura del patrimonio arboreo della capitale ma non per curare i pini con l’endoterapia (iniezioni di abamectina).
A Roma (e nel Lazio) si sono privilegiati gli abbattimenti dei pini malati alle cure, nonostante il problema sia conosciuto dal 2015, quando comparve per la prima volta in Campania.

Il Municipio X, in piena Riserva Naturale Statale del Litorale Romano, è stato colpito pesantemente: a parte la Pineta di Castel Fusano, ricordiamo due casi gravi, anche sotto il profilo erariale e criminale: il Camping Capitol con oltre 400 pini (*) e Viale di Castel Porziano con 409 pini (**).
Ora si aggiunge l’abbattimento di migliaia di pini nel polmone verde della Capitale, la tenuta Presidenziale di Castel Porziano, e a breve si aggiungeranno i 400 di viale di Castel Fusano. Per quanto riguarda Castelporziano, si tratta di una prima tranche, perché i pini sono quasi tutti ammalati e qualche esperto del settore ritiene addirittura che sia il focolaio principale.
Cosa c’è dietro a questo abbattimento massiccio senza prevedere nuovi alberi in sostituzione, dello stesso tipo? Quali conseguenze? A quale prezzo anche per la salute pubblica?

IL CASO ‘ECONOMICO’ DELLA TENUTA PRESIDENZIALE DI CASTELPORZIANO

La pineta ha una estensione di 742 ettari. L’asta ha riguardato 154,87 ettari prevedendo l’abbattimento di migliaia di pini (il numero esatto non è stato indicato, ma si può stimare che si aggiri oltre i 10 mila).
In una corretta gestione, raggiunti i 35-40 anni di invecchiamento, una pineta deve avere la densità definitiva di 120-250 pini per ettaro. Quindi, l’area oggetto di gara dovrebbe comprendere un minimo di 18.000 a 38.000 pini. Dunque la stima di migliaia di pini da abbattere (in questa prima fase) è una quantità enorme, superiore al 40%.
Il totale dei pini nella tenuta di Castelporziano è all’incirca di 140 mila pini, la gran parte ammalati e sofferenti. A base d’asta è stato fissato il prezzo minimo da offrire di 0,80 euro al quintale. Ricordiamo che un pino ha un peso specifico, allo stato fresco, mediamente di 900 kg/m3, che scende, dopo normale stagionatura, a 620 kg/m3. Quindi ogni pino produce dai 9 ai 6 quintali di legna, che, al prezzo di 0,80 euro al quintale, equivale (in termini di asta) a una oscillazione dai 5 ai 7 euro per pino.
Sul mercato, per l’utente finale, il prezzo del cippato fresco si aggira attorno ai 3 euro al quintale, invece il prezzo del cippato secco attorno ai 3,50 euro al quintale: quindi, un pino rende sul mercato dai 27 ai 21 euro, contro i 5-7 di acquisto dopo il taglio.

IL MECCANISMO ANTIECONOMICO PER IL TAGLIO DELLE ALBERATURE STRADALI

Se si è in possesso delle necessarie autorizzazioni (la certificazione di sostenibilità ambientale Pefc), nel Lazio la legge prevede che si deve smaltire il legno entro i 70km negli impianti per biomassa (il 60-80% del fatturato di tali centrali proviene da fondi pubblici ricavati dagli importi che in bolletta sono addebitati agli utenti per finanziare le “rinnovabili”).
Gli alberi tagliati, soprattutto lungo le alberature stradali, sono considerati rifiuti speciali. Come tali devono essere tracciati fino a smaltimento, prevedendo per la raccolta e per il trasporto particolari accorgimenti. Il materiale legnoso può assumere dunque un doppio valore: come biomassa per produzione di bioenergie o come rifiuto da smaltire, anche se (come spesso avviene, per mancanza di controlli) viene venduto sottobanco. In realtà si tratterebbe di un bene patrimoniale in possesso del Comune che, non tracciandolo fino a destinazione e favorendo di fatto chi lo dovrebbe smaltire, finisce per produrre un danno erariale immenso per il Comune stesso. Potremo paragonare il meccanismo a un’estrazione di petrolio a ‘nero’, uno sfruttamento di risorsa energetica rinnovabile che il Comune non prende in considerazione: per negligenza o per favoreggiamento?

LA MANCATA TRASPARENZA AMMINISTRATIVA DEL MUNICIPIO X

Durante la giunta del M5S, l’assessore al verde, Alessandro IEVA, non ha mai risposto alla precise interrogazioni sulla gestione municipale del verde, portate anche in aula municipale (**). Il caso dei pini di via di Castelporziano è emblematico.

Nulla è stato fatto per salvaguardare le alberature (lungo via di Castelporziano) inquadrate in classe C e in C-D dall’agronomo a cui era stata commissionata la relazione tecnica in vista del rifacimento del manto stradale. L’agronomo aveva infatti descritto una situazione tragica chiedendo di intervenire su tutte le piante perché c’era anche il problema del blastofago del pino e di altre patologie, tra cui appunto la Toumeyella Parvicornis. Dovevano essere effettuati tagli urgenti e portati avanti protocolli fitosanitari che non ci sono stati causando di fatto il passaggio delle piante classificate C-D a D (cioè da abbattere con urgenza perché a rischio estremo) e le C in C-D (da abbattere a breve perché a
rischio elevato). Nonostante che nell’appalto fosse previsto il “trattamento antiparassitario, a partire da un trattamento antiparassitario liquido, eseguito con mezzi meccanici atomizzatori” e fossero previsti 700 euro ad albero, per il trattamento delle chiome, l’estirpazione delle ceppaie e il taglio delle radici dei pini, nulla è stato fatto.
Sono quindi state abbattute le alberature ma non sono state ripiantate e ad oggi la strada continua ad essere pericolosa perchè gli alberi si sono quasi tutti ammalati, diventando a rischio crollo.
Addirittura i pini (ormai morti) su via di Castelporziano risultano tutti ‘etichettati’ secondo un censimento che fu fatto quasi 10 anni fa sotto la giunta PD (quando assessore al verde era Marco BELMONTE), ad oggi ampiamente scaduta e fuorviante per il cittadino a cui ‘sembra’ che il Municipio tiene tutto sotto controllo.

IL PROBLEMA DELL’INQUINAMENTO

Un processo di combustione ideale prevede la conversione del carbonio organico in anidride carbonica ed acqua, producendo energia termica che viene convenientemente sfruttata tal quale o convertita in altre forme. Nel processo di combustione reale vengono prodotti diversi inquinanti atmosferici: l’anidride carbonica (la cui quantità emessa risulta essere pari a quella assorbita dalle piante), il monossido di carbonio, gli ossidi di zolfo e di azoto, i composti organici volatili, polveri, ammoniaca ed acido cloridrico.

Gli ossidi di zolfo e di azoto, hanno effetti tossici sull’uomo e l’ambiente sono causa di deposizioni acide e precursori di particolato secondario; inoltre, il biossido di azoto (NO2) è una delle cause dello smog fotochimico; infine, il protossido di azoto (N2O) è un noto gas climalterante. Tra i numerosi composti organici volatili emessi da una combustione, molti sono tossici in quanto tali (benzene, toluene, xileni, aldeidi ecc).

In quest’ottica, i principali inquinanti emessi dalla combustione di biomassa sono le polveri, il monossido di carbonio, gli ossidi di azoto e di zolfo ed i composti organici volatili. Il controllo delle emissioni, ovvero le misure, gli strumenti e le tecnologie che permettono di ridurre l’emissione di tali inquinanti in atmosfera, può essere di tipo primario o secondario. I due tipi di controllo non si escludono a vicenda ma sono anzi complementari.
Nei fumi che si producono con la combustione del legno sono presenti numerose sostanze tossiche e cancerogene: benzene, formaldeide, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), diossine, polveri fini e ultrafini.
Tutte le attuali ricerche segnalano che l’esposizione a fumo di legna prodotto da impianti di riscaldamento domestico è associata a effetti sanitari all’apparato respiratorio, del tutto simili a quelli prodotti dall’inalazione di particelle prodotte dalla combustione di combustibili fossili. Diversi studi hanno inoltre dimostrato che particelle prodotte da combustione incompleta possano essere più tossiche di quelle formate con combustione di alta efficienza. L’esposizione ai fumi da legna ha diversi effetti sulla salute umana, quali diminuita funzionalità polmonare, ridotta resistenza alle infezioni, aumento dell’incidenza e severità di asma ed effetti cancerogeni. Infatti, nel 2010 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha classificato come possibile cancerogeno per l’uomo le emissioni dalla combustione domestica di biocombustibili, in particolare la legna.

CONCLUSIONI
Se la pubblica amministrazione, qualunque competenza abbia, non ha capacità di intervenire nella gestione ambientale del verde pubblico, è inevitabile il depauperamento di un patrimonio che riguarda soprattutto la salute dei cittadini, mettendo anche a rischio la pubblica e privata incolumità a causa dei ‘crolli’ improvvisi (?) degli alberi, soprattutto dei pini. In questo periodo si discute molto nel Municipio X sulla sorte delle concessioni balneari mentre, sotto gli occhi di tutti, tagliano o vorrebbero tagliare 104 pini su via dei Pescatori, infischiandosene anche della questione paesaggistica. Ritorna alla mente un vecchio detto: un incapace è capace di tutto.

 

(*) I sussidi andati alle aziende produttrici di biomasse legnose in Italia sono stati 383,5 milioni di euro nel 2019 e 268,5 nel 2020. A questi soldi si aggiungono gli incentivi dati alle macchine cippatrici – ovvero che trasformano tronchi di alberi in scaglie di legno – e quelli che, da oltre 10 anni, il nostro Stato eroga per sovvenzionare le stufe a pellet, rendendo l’Italia il maggior consumatore al mondo di questo combustibile. Il 14 settembre 2022 l’Europarlamento ha approvato un graduale fermo delle sovvenzioni per la “biomassa legnosa primaria”, ovvero la produzione di energia che deriva dalla legna prelevata dalle foreste e bruciata nelle centrali.

(**) Spesso i tagli boschivi sono abusivi e la criminalità organizzata ha esteso i propri affari nel campo
(https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/10/05/rifiuti-bruciati-con-la-legna-alberi-tagliati-per-prendere-piu-incentivi-legami-con-i-clan-cosa-ce-dietro-il-sequestro-della-centrale-a-biomasse-di-cutro-crotone/6827961/ “ “Lo Stato incentiva le biomasse perché ritiene producano energia pulita – ha sottolineato Gratteri in conferenza stampa – è un’attività prevista dalla legge dove si ottengono milioni di euro di contributi. Ma questi presunti innocenti, secondo l’imputazione, nel cippato mettevano spazzatura, catrame, asfalto della ripulitura dell’autostrada”. “raddoppiava il quantitativo di cippato conferito presentando la stessa documentazione presso due impianti diversi. La duplicazione consentiva, “il conferimento illegale presso le centrali di ben 56.277 tonnellate di cippato”. “Nessun controllo da parte di cinque operatori elettrici”. L’energia elettrica prodotta sarebbe stata “certificata come prodotta da cippato di legna vergine o comunque incentivabile, quando non lo era”. “Sul piano delle certificazioni
– scrive il Gip – è emerso che gli operatori elettrici acquisivano la documentazione senza eseguire alcun accertamento sulla veridicità”. In questo modo le centrali a biomasse avrebbero percepito un ingiusto profitto, derivante dagli “oneri generali di sistema” posti a carico di tutti i consumatori sulle bollette. “L’artifizio messo in atto dagli operatori elettrici”, avrebbe provocato un danno patrimoniale per l’Ente pubblico stimato in 13 milioni di euro. )

(*)
È in vigore dal 20 ottobre scorso il regolamento della Regione Lazio che istituisce il registro regionale degli impianti a biomassa (Rib) e ne regola il funzionamento. La banca dati elencherà le informazioni tecniche e di progetto degli impianti a biomassa con potenza
termica uguale o superiore a 50 kW termici.Selva è un progetto del CNR-IIA, finanziato dalla Regione Lazio
Il progetto vuole rispondere agli obiettivi in materia di biomasse forestali stabiliti dalla Regione Lazio. In particolare, si è previsto di redigere un censimento sulla disponibilità di biomassa a breve, medio e lungo termine attraverso lo studio degli strumenti pianificatori e lo sviluppo e l’applicazione di un indice di accessibilità volto a valutare non lo solo la disponibilità effettiva ma il vantaggio per la retraibilità della biomassa. E’ stata effettuata un’analisi territoriale e lo sviluppo di scenari energetici per individuare il fabbisogno energetico e stabilire la dislocazione di impianti per la generazione di calore ed energia da biomasse nelle diverse province; si è sviluppato il Registro degli Impianti a Biomasse e il Sistema Informativo Territoriale associato per le valutazioni
ambientali volte alla creazione di nuovi impianti; è stato sviluppato il Regolamento Regionale per le Biomasse volto a disciplinare le procedure per il registro degli impianti e i compiti a carico dei proprietari degli impianti.

(**) https://paulafilipedejesus.blogspot.com/2022/05/municipio-x-campeggio-capitoli-nuovi.html
(***)http://www.labur.eu/public/blog/2022/02/18/infernetto-viale-di-castelporziano-mai-ripiantati-i-37-pini-tagliati/

(**) https://paulafilipedejesus.blogspot.com/2021/01/lo-stato-dellarte-al-verde-ep-3.html

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