Ostia Ponente, case popolari: allarmismo del PD XIII

Lo sportello della «Romeo Gestioni» ad Ostia Ponente in via Antonio Forni 39, struttura di contatto per le case popolari, è temporaneamente chiuso da venerdì 27 maggio per via di alcune scritte rivolte ai dipendenti fatte la notte prima con la vernice rossa sulla saracinesca del locale. Troviamo pertanto scandaloso e inaccettabile il clima di tensione che il PD del XIII Municipio sta cavalcando in questi giorni, senza alcun fondamento, mettendo in giro ipotesi false e tendenziose di una chiusura definitiva del locale di Via Forni. Lo ha smentito stamattina direttamente la «Romeo Gestioni» dal suo Contact Center. Il PD del XIII Municipio dovrebbe evitare di spaventare i cittadini ed interessarsi seriamente, se ne è capace, alla questione della vendita in corso degli alloggi popolari in quella zona. Infatti, mentre Alemanno gioca con Tor Bella Monaca neanche fosse il Lego, il Comune sta mettendo in vendita le ex-case Armellini di Via Vincon, Piazza Gasparri, Via Forni, Via Cagni e Via del Sommergibile.. E cosa fa il PD del XIII Municipio? Sostiene l’operato della «Romeo Gestioni» chiedendo ‘scusa’ per quanto accaduto a nome di un quartiere che non rappresenta e fa finte battaglie per Ostia Ponente chiedendo ad Alemanno, con l’occasione del raddoppio del vicino Porto di Roma, di realizzare quelle opere di riqualificazione urbana che proprio sotto Veltroni non sono state fatte. Ad Ostia Ponente ci sono case costruite nei primi anni ’70 usando nel cemento la sabbia di mare. Case di Edilizia Residenziale Pubblica tra le più scadenti a Roma. Case dove la «Romeo Gestioni» (creatura di Rutelli e Veltroni) avrebbe dovuto progettare ed eseguire interventi di manutenzione straordinaria per l’adeguamento normativo, la riqualificazione ambientale e la loro valorizzazione. Ricordiamo che la «Romeo Gestioni» gestisce solo nel Comune di Roma circa 44.800 unità immobiliari (1.239 edifici) e ha in scadenza (2012) un contratto di sette anni firmato nel 2005 pari a quasi 93 milioni di euro. Per questi motivi Labur andrà fino in fondo alla questione, rivelando anche nomi e cognomi di chi, a scapito dei più bisognosi, scavalca e fa scavalcare le graduatorie per l’assegnazione degli alloggi popolari grazie a favori politici.

(Nella foto: Via Forni transennata e il PD che si ‘preoccupa’ di cancellare le scritte sulla saracinesca della Romeo Gestioni)

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‘Piccola Palocco’: terreni comunali ‘consegnati’ ai privati?

Tra i terreni interessati dal progetto di intervento urbanistico denominato Piccola Palocco figurano terreni di proprietà del Comune di Roma. Un esempio su tutti il terreno individuato dalla particella n.1963, foglio 1113 (poco più di un ettaro) sopra il quale è prevista la realizzazione, da parte dei privati promotori del progetto, di un palazzone a 5 piani, indicato come ZR1. Non ne parla nessuno e nemmeno ciò risulta nei documenti della partecipazione promossa dal Comune di Roma. Eppure i dati tratti dal Catasto sono inconfutabili. Questa informativa sarà pertanto inviata a tutti gli uffici competenti del Comune di Roma chiedendo di fare chiarezza sulla questione che, se non smentita, sarebbe di una gravità inaudita e comporterebbe l’inevitabile inoltro da parte di LabUr di una dettagliata denuncia sia alla Procura di Roma che alla Corte dei Conti.

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A Tor Bella Monaca i servizi sociali rimangono al Palo.

Ieri presso il Teatro di Tor Bella Monaca si è tenuto l’incontro “I servizi sociali, la scuola, il territorio” a cui hanno partecipato Gianluigi De Palo, Assessore alla Famiglia e Scuola del Comune di Roma, e Massimiliano Lorenzotti, Presidente del Municipio VIII. Il tema era fondamentale all’interno della riqualificazione di Tor Bella Monaca voluta e imposta ai residenti dal Sindaco Alemanno. Ricordiamo che alla base dell’urbanistica ci sono gli standard urbanistici e cioè verde pubblico, parcheggi pubblici e servizi pubblici (tra i quali quelli sociali), calcolati, nel PRG di Roma, per un totale di 22 mq per abitante. Ebbene, non solo non è mai stato spiegato da Alemanno come sarà possibile raddoppiare la popolazione del quartiere senza prevedere nuove strutture destinate ai servizi (non sono indicati nel masterplan), ma neppure De Palo ha saputo fornire una risposta in materia di sua competenza e cioè quali servizi sociali saranno presenti, visto che nei 3 anni della giunta Alemanno, tra Comune, Provincia e Regione si è tagliato quel poco di esistente. Nervoso e impacciato, del tutto fuori luogo, De Palo ha accusato i cittadini di essere “in confusione” e di volere dagli amministratori solo “promesse ma non proposte”, andandosene via senza rispondere a domande pertinenti da parte degli operatori. Doveva essere un’occasione per le realtà che da anni operano nel quartiere, di confrontarsi con l’amministrazione su problemi e necessità dei servizi sociali, si è trasformata nella conferma che dietro agli annunci propagandistici di Alemanno non c’è nulla, neppure uno straccio di progetto preliminare.

Paula de Jesus – Urbanista

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‘Piccola Palocco’: l’effetto NIMBY e il cerino in mano

Finisce con un nulla di fatto il consiglio municipale del XIII Municipio sulla proposta urbanistica denominata ‘Piccola Palocco’. Si sapeva già dalla primissima ora che non si sarebbe votato. Le ipotesi a questo punto sono due: il consiglio municipale non esprimerà un parere lasciando che sia il Campidoglio a farlo oppure si ripeterà il film già visto con la proposta Casini-Parnasi per Prato della Botte all’Infernetto. Nel primo caso sarebbe l’ennesima riprova del finto decentramento amministrativo di Ostia, nel secondo il rischio è quello di assecondare l’effetto NIMBY dei Palocchini non risolvendo alcun problema reale in termini di standard urbanistici e amplificando ancora di più il fenomeno della diseguaglianza tra cittadini. Non è infatti ammissibile che esistano cittadini di serie A e di serie B e qualche volta anche di serie C. I primi sono quelli che godono dei maggiori privilegi, magari anche quello di avere tra i residenti un deputato della Repubblica che si interessi del caso.
L’urbanistica è materia complessa e non può essere relegata ad una mera questione edilizia di colata di cemento o di allargamento di una strada. Il caso di ‘Piccola Palocco’ rientra all’interno della gran parte delle decisioni urbanistiche che sono state prese in questi anni in variante di destinazione d’uso attraverso accordi di programma, che si fondano su uno dei pilastri teorici del PRG: tutte le cubature residue del piano del ‘62 sono “diritti acquisiti” a cui si è aggiunto un altro pilastro, quello della compensazione. A prescindere dalla bontà o meno di questi pilastri, i cittadini romani si trovano nella seguente situazione: chi è più forte riesce ad evitare la ‘colata a casa sua’ facendola girare per Roma, dove altri cittadini, magari meno combattivi e con meno ‘santi’ nei posti che contano, finiranno per riceverla con tanto di premio di cubatura. Insomma, sembra il gioco del cerino e l’ultimo a cui rimane in mano si bruci.
O si riapre una seria riflessione complessiva o ci troveremo ogni volta a combattere tante ‘Piccole Palocco’.

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XIII Municipio: la ‘patacca’ urbanistica del PRINT di Macchia Saponara

Nel XIII Municipio tutti sono molto preoccupati della speculazione edilizia del finto Programma Integrato (PRINT) chiamato ‘Piccola Palocco’: 15 ettari di superficie, 568 alloggi e 46.133 mq di costruito.
Entro la fine del 2011 è prevista però la Proposta di Deliberazione del PRINT Macchia Saponara: 43 ettari di superficie, 5.030 alloggi, 43.076 mq di nuove costruzioni, a cui va aggiunto l’esistente ricostruito con premi di cubature, come risulta da documentazione ufficiale.
Si tratterebbe dunque di una densificazione dell’area 10 volte superiore a quella di ‘Piccola Palocco’ in termini di alloggi oppure siamo di fronte ad un madornale errore numerico del Comune di Roma.

Quello che è certo è che il progetto preliminare è pronto da marzo 2006, fu redatto dal Comune di Roma, quando al Comune, così come in Municipio XIII, governava una giunta rossoverde. L’allora Presidente del Municipio era Paolo Orneli (PD), mentre la delega all’attuazione degli strumenti urbanistici (da giugno 2007), era nelle mani di Andrea Storri, attuale segretario del PD XIII. Entrambi hanno dichiarato in questi giorni la loro opposizione al progetto “Piccola Palocco”.
Il processo di partecipazione del PRINT di Macchia Saponara, iniziato il 18 gennaio e conclusosi il 31 marzo 2007 con la consegna delle 19 proposte d’intervento, era stato commissionato dal Municipio XIII all’associazione ‘Atelier Locali’, poi incaricata dalla Pirelli, di presentare il progetto della adiacente Centralità Urbana di Acilia-Madonnetta.
A capo del consorzio, costituitosi tra i proprietari dei terreni dell’area di Macchia Saponara, la Ircos S.p.A (Impresa Romana Costruzioni Sociali S.p.A) il cui attuale amministratore è l’Arch. Riccardo Drisaldi. Si tratta della stessa Ircos coinvolta nella polemica sulla realizzazione di oltre 20 mila mq (tra parcheggi, negozi, sala convegni, bar e ristorante) a Porto S. Stefano, che di ‘sociale’ non ha proprio nulla. La Ircos è però un punto di riferimento anche per la giunta Alemanno in tema di housing sociale. Sarà questa la destinazione dell’area che giustificherebbe la forte densificazione di Macchia Saponara ? Poco si conosce e molto si tace su questo PRINT. L’unica altra certezza è che porterà nelle casse del Comune quasi 29 milioni di euro a fronte di un investimento globale di 84 milioni.
Lo strumento del PRINT (sono 174 a Roma) funziona in modo molto semplice: il municipio lancia un programma preliminare (o esprime parere favorevole a una proposta), i privati aderiscono, il Comune approva, raddoppiando le cubature esistenti, incassando il pagamento straordinario (pari ai 2/3 della valorizzazione economica ottenuta) e proponendo incentivi alla demolizione e ricostruzione.
Ma quanto costa ampliare l’esistente? Nel bando dei primi quattro PRINT (Tor Tre Teste, Alessandrino, Pietralata e Macchia Saponara) il valore base fu fissato a circa 1.000 euro/mq. Costruire dunque conviene, anche dove è già costruito. Inoltre, poiché la delibera con cui si approverà a breve il PRINT Macchia Saponara (XIII Municipio) sarà la stessa del PRINT di Pietralata (V Municipio), non ci sarà neppure la discussione in aula sui singoli vantaggi o svantaggi per ciascun municipio, perché l’obiettivo finale del Comune è solo la monetizzazione. In soldoni, i due PRINT di Pietralata e Macchia Saponara produrranno investimenti privati per 500 milioni di euro e opere pubbliche per 90 milioni.
C’è da sperare che i cittadini che hanno aperto gli occhi sullo “scempio” di ‘Piccola Palocco’ li spalanchino a 360°, perché non vale più il vecchio trucco dei “tutti colpevoli, nessun colpevole”.

Paula de Jesus

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Piccola Palocco: il rischio ‘populismo’

Nel vociare intorno alla speculazione edilizia di ‘Piccola Palocco’, si è perso l’obiettivo principale di chiarire qual è il problema urbanistico. Vediamo un po’ di numeri presi dalla documentazione resa disponibile dal Comune di Roma. L’area oggetto della proposta è costituita da 153.776 mq, che saranno destinati per il 70% all’edilizia e per il 30% a verde e servizi pubblici. L’indice di edificabilità è di 0,30 mq/mq, quindi 46.133 mq, di cui 41.520 residenziali e 4.613 commerciali. Poiché l’area è assimilata come ‘verde pubblico attrezzato’ e quindi potrebbe sviluppare solo 0,09 mq/mq (pari a 13.840 mq), come mai si arriva a 46.133? Il gioco è semplice ed è ormai abitudine a Roma. Si tratta dell’applicazione dei diritti edificatori e cioè la possibilità da parte di un privato di cedere dei terreni ed ottenere in cambio dall’amministrazione un potenziale di edificazione da utilizzare in altro sito. In pratica le volumetrie ‘decollano’ da un terreno per ‘atterrare’ da un’altra parte. Non solo, ma i diritti edificatori sono commerciabili.

Nel caso della proposta di ‘Piccola Palocco’, i diritti edificatori sono alla base di tutto: senza di essi non si potrebbe costruire in quell’area. Ecco perché la proprietà ha presentato una proposta urbanistica al Comune di Roma inquadrando l’area come “città da ristrutturare”. La proposta è poi stata mascherata da PRINT, Programma Integrato, sostenendo che migliorerà la qualità urbana, la viabilità e i servizi mediante il concorso di risorse private. Quindi, poiché l’area non era edificabile (ex zona H2), al PRINT è stato attribuito un indice di edificabilità di 0,30 mq/mq, di cui 0,18 mq/mq a disposizione del Comune (nel nostro caso, 27.680 mq), anche provenienti da diritti edificatori.

Per ultimo, sono state individuate due aree di decollo: Casal Giudeo e Ponte Fusano. Dalla prima atterrano a ‘Piccola Palocco’ 22.926 mq, dalla seconda 2.493 mq, per un totale di 25.419 mq. A 46.133 mq ne mancano ancora 6.874 che sono quelli che la proprietà lascerà al Comune di Roma nel comparto ZR1, dei casermoni semicircolari, a 5 piani, che dovrebbero sorgere dietro al centro Solara. Concludendo, la proprietà ha dato al Comune non 0,18 mq/mq ma addirittura 0,21 mq/mq (le compensazioni, più parte dello ZR1) ottenendo in cambio di edificare dove non avrebbe mai potuto.

Ci troviamo di fronte all’assurdo. Da terreni (Casal Giudeo, Ponte Fusano) dove non si può più edificare, si spostano cubature su un terreno non edificabile, per poterlo edificare (‘Piccola Palocco’).

In realtà il principio in base al quale tutti i terreni esprimono la stessa capacità edificatoria e quindi la cubatura di competenza dei terreni non edificabili può essere venduta a quelli edificabili, non ha mai avuto un fondamento legislativo, figuriamoci nel nostro caso. Solo di recente, con l’approvazione del Decreto Sviluppo (D.L. 70/2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13 maggio 2011 n. 110) si è introdotto un nuovo comma all’articolo 2643 del Codice tentando appunto di dare a questa anomalia un fondamento legislativo. L’articolo prevede che siano resi pubblici con il mezzo della trascrizione i contratti per il trasferimento dei diritti edificatori (Costruzioni Private, art.3). Infatti, solo se si ha la trascrizione nei registri immobiliari si ha certezza dei rapporti con i terzi e, quindi, della relativa opponibilità.

Questo è il problema di ‘Piccola Palocco’, resa edificabile con l’impiego dei diritti edificatori che fino al 13 maggio 2011 non avevano alcun fondamento legislativo.

Aggiungiamo che nella delibera 125/2001 dell’allora Giunta Comunale rossoverde, i diritti edificatori per Casal Giudeo venivano concessi alla società Nuova Florim srl chiedendo che le cubature atterrassero in aree destinate a Edilizia Residenziale Pubblica e non a destinazione residenziale privata come ‘Piccola Palocco’. A febbraio del 2007 la Corte dei Conti aprì un’istruttoria per raggiro della Ragioneria Generale dello Stato, di cui però non si è saputo più nulla.

La complessità della questione impone dunque di non cavalcare una protesta populista priva dei necessari contenuti, perché il rischio è solo quello di fare propaganda e di non raggiungere alcun obiettivo tangibile.

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Ampliamento del Porto di Ostia: il ‘pasticcio’ di Di Cosimo.

Ieri, 16 maggio, si è approvato in aula Giulio Cesare l’ampliamento del Porto di Roma, “con parere favorevole, ma condizionato” da parte del PD. Mancava però la valutazione del carico urbanistico che l’opera avrà sul settore di Ostia Ponente e sull’Idroscalo. Un errore grossolano per chi, come l’Assessore all’Urbanistica, Marco Corsini, e il presidente della Commissione Urbanistica, Marco Di Cosimo, vanta competenza in materia. In tre anni sono insipientemente intervenuti sulle scelte per Roma generando vantaggi solo per i privati, ma non per la cittadinanza. L’ampliamento del Porto turistico di Roma è l’ennesima prova. Tralasciando Corsini, forse troppo preso a frequentare altre ‘aule’ e dunque poco attento ai lavori della Giulio Cesare, Di Cosimo, che “si sente più bravo dell’assessore e non fa niente per nasconderlo”, ha cercato di ‘vendere’ il progetto spacciandone i benèfici effetti sull’occupazione e sul rilancio del settore nautico, dimenticando però il tema del carico urbanistico. Infatti, non sono previste nuove linee di trasporto pubblico, non è incluso nel progetto un piano della viabilità privata, addirittura i parcheggi relativi ai posti barca sono stati previsti sul molo foraneo, perché non erano stati contemplati proprio dalla sua Commissione. Dulcis in fundo, Di Cosimo ha presentato un emendamento (il nr. 1) in cui chiedeva di aggiungere al punto 3) della delibera in votazione la frase ‘non sostanziali’ dopo la parola ‘modifiche’. Si tratta cioè della possibilità di “consentire l’introduzione di modifiche e integrazioni nel corso dell’iter di formazione dell’Accordo di Programma” che sarà necessario stipulare con la Regione Lazio. Evidentemente Di Cosimo non conosce bene le leggi urbanistiche, perché simile precisazione non serve a nulla se non a far sì che quanto verrà trattato a porte chiuse in sede di Conferenza dei Servizi non venga più ridiscusso in Assemblea Capitolina. Di Cosimo si è poi innervosito quando il PD, con il proprio ordine del giorno nr.11, ha chiesto di inserire i lavori della scogliera a mare a difesa dell’abitato dell’Idroscalo, già appaltati dalla Regione Lazio, “come condizione essenziale prima dei lavori di ampliamento del Porto”. Di Cosimo ha ottenuto di far sostituire la frase ‘prima di’ con ‘per’. Peccato, per lui, che non ne avesse compreso il valore urbanistico, perché l’ordine del giorno contemplava anche gli impegni non mantenuti da Alemanno relativamente alla realizzazione della difesa lato fiume, e quelli del Porto, cioè la realizzazione su tutta via dell’Idroscalo delle opere per lo smaltimento delle acque piovane.
Insomma, Di Cosimo ‘pasticcia’ a tal punto che ieri è riuscito persino a sconfessare Alemanno.

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Cosa lega il minisindaco G. Vizzani al Porto di Roma e all’Idroscalo di Ostia ?

L’ampliamento del Porto di Roma porterà alla delocalizzazione dell’abitato dell’Idroscalo di Ostia. Giacomo Vizzani, oggi presidente del XIII Municipio, difende da sempre la tesi di demolire tutto l’Idroscalo e di ricostruirlo solo in parte, secondo un progetto che risale al 2000. Nell’aprile del 2007 addirittura si rallegrò sulla stampa che il comma 14 dell’articolo 16 della Finanziaria 2007 (disposizioni in materia di demanio marittimo e di altri beni pubblici), fosse stato stralciato: “Per fortuna quel progetto di alienazione della foce del Tevere non si è fatto”. Se fosse invece passato come era scritto, l’Idroscalo sarebbe stato incluso nella lista del patrimonio disponibile del Comune di Roma, che avrebbe poi potuto vendere ai singoli occupanti e concessionari i lotti dove erano state realizzate le loro case (“opere durature, non di facile sgombero”). Questo però avrebbe contrastato con il progetto edilizio del Consorzio Nuovo Idroscalo, costituitosi nel 1989, chiamato ‘Cala di Tiberio’, un centinaio di abitazioni unifamiliari a 2 piani, ciascuno di 70 mq. Vizzani, dal 1998, ha svolto consulenza amministrativa a favore del Consorzio e nel 2000 l’allora senatore Ludovico Pace, oggi Assessore alle Politiche Sociali del XIII Municipio, presentò un’interrogazione per sanare la situazione del Consorzio verso il Demanio. Sulla base di quel progetto, in data 23 luglio 2001, il Presidente del Consorzio Nuovo Idroscalo e il Presidente della società A.T.I. SpA, concessionaria demaniale dell’area portuale, sottoscrissero una scrittura privata in cui si conveniva l’impegno, da parte del Consorzio, a fornire la massima collaborazione per consentire lo sgombero dell’area dell’Idroscalo di Ostia non comprendente le abitazioni degli appartenenti al Consorzio in cambio di un comune progetto di ristrutturazione dell’area. Per completare il disegno, il 30 novembre del 2002 fu costituita la Società Cooperativa Edilizia Nuovo Idroscalo a r.l., che ha nella sua ragione sociale anche la costruzione di abitazioni di Edilizia Popolare ed Economica. Oggi è tutto fermo ma gli attori sono sempre gli stessi. Attendiamo dal 29 dicembre 2010, data dell’assemblea partecipativa sul progetto dell’ampliamento del Porto di Roma, che qualcuno faccia chiarezza su quello che si configura un conflitto di interessi.

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L’ampliamento del Porto Turistico di Ostia e l’irresponsabilità della classe politica tutta


Il Porto di Ostia è in area a rischio esondazione, ma da giovedì in poi ogni seduta dell’Assemblea Capitolina sarà buona per votarne l’ampliamento: altri 611 posti barca, 656 posti auto e un molo di 2,5 km che ostacolerà, alla foce, il normale deflusso a mare del Tevere.
Tutto lo schieramento politico vuole l’ampliamento, anche le forze ambientaliste, che avranno in gestione le aree di interesse naturale dietro il porto. Così come il PD XIII visto che oggi firma un documento per dichiararsi favorevole al nuovo progetto, malgrado abbia votato contro in aula municipale, con l’astensione di due popolari. In questa partita gioca un ruolo strategico l’UDC, che ha come proprio coordinatore municipale, l’ex Assessore ai LL.PP del PD XIII, nonché direttore tecnico dei lavori del porto.
E i cittadini ? Il porto non ha mai recato realmente dei vantaggi alla comunità dal 2001, anno della sua costruzione, soprattutto agli abitanti dell’Idroscalo che vivono alle sue spalle. Infatti l’Autorità di Bacino del fiume Tevere (ABT, prot. n.371/C del 7 novembre 2009) ha chiesto di verificare se l’ampliamento del Porto peggiori il livello di criticità cui sono sottoposte le abitazioni dell’Idroscalo. In caso affermativo, sempre l’ABT, ha richiesto di assumere “procedure delocalizzative della stessa zona complessiva dell’Idroscalo di Ostia”.
Alemanno ha recentemente dichiarato che nei 133 obiettivi di fine mandato, è stato fissato entro il 2012 “la demolizione degli insediamenti abusivi” dell’Idroscalo e la cantierizzazione dell’ampliamento del Porto turistico di Ostia. Su queste dichiarazioni il silenzio di tutta l’opposizione, che si dichiara favorevole non solo al Porto ma anche al Parco dell’Idroscalo e agli alberghi che lì sorgeranno dopo le demolizioni. Dove andranno i residenti non si sa, forse perché considerato un mero dettaglio, anche da parte di partiti che in questi giorni mettono manifesti su iniziative “Contro i tagli di Alemanno. Le buone politiche sociali per Roma”.
Deduciamo quindi che nessuno abbia letto quanto scritto nella relazione R10 “Analisi di fattibilità idraulica” inclusa nel progetto di ampliamento del Porto, che garantirebbe la salvezza dell’Idroscalo se il porto, l’ABT e il Comune facessero le opere previste di difesa idraulica, in cantiere da anni, piuttosto che pensare a nuovi posti barca per un investimento di 80 milioni di euro.

Infatti il rischio idraulico dell’area dell’Idroscalo si presenta se, e solo se, all’arrivo della piena di riferimento del Tevere (quella devastante, stimata ogni 200 anni) sia già stato realizzato il manufatto ripartitore di Capo due Rami, punto in cui il Tevere si biforca nel Canale di Fiumicino e nel ramo di Fiumara Grande, alla cui foce sorge il Porto e l’Idroscalo. Il ripartitore (progetto TE19) è in pratica un sistema di paratoie sommerso che si alzerebbe, all’arrivo della piena, sbarrando il Canale di Fiumicino e deviando tutta l’acqua del Tevere sul ramo di Fiumara Grande (fino a 500 mc/sec). Il progetto è fermo nei cassetti dal 2003, il costo previsto a quel tempo era di 25 milioni di euro e serviva per mettere in sicurezza idraulica l’Isola Sacra e Fiumicino, ma non Ostia che in caso di piena si allagherebbe fino alla stazione Lido Centro, perché manca, dal 2001, il completamento dell’argine del Tevere sulla sponda sinistra. Quindi come si fa ad autorizzare l’ampliamento del Porto e a chiedere di ‘delocalizzare’ l’Idroscalo se la piena, il ripartitore e l’argine in sponda sinistra non ci sono? Con la situazione attuale e peggio ancora con l’ampliamento, se arrivasse la piena, quella devastante, non si allagherebbe l’Idroscalo ma mezza Ostia e tutta Fiumicino, dove il fiume esonderebbe in maniera naturale.

Non solo, ma tutti sanno che l’attuale Porto di Ostia è in area a rischio esondazione, seppure la Regione Lazio (ARDIS, prot.9346 del 17.01.2006) e l’ABT (prot.899/E del 22.03.2006) abbiano rilasciato il nulla osta idraulico. Basta percorrere Via dell’Idroscalo verso la foce e notare i varchi esistenti nel terrapieno sul lato sinistro della strada, in area gestita dalla LIPU. Quei varchi servono perché se esondasse il Tevere, tutta l’area della LIPU deve diventare un’enorme vasca di contenimento, salvando in realtà solo alcune zone dell Porto. Nel caso invece della piena di riferimento i danni sarebbero maggiori e non basterebbero questi varchi, tanto che il muro in cemento armato che costeggia il porto si dovrebbe rialzare in alcuni punti fino a 4,60 metri e la restante parte a 3,50 metri, lavori che non sono mai stati eseguiti. Infine, con l’ampliamento del Porto e in assenza di un adeguato argine in zona Tor San Michele, neppure il rialzamento del muro, alle quote sopra riportate, risolverebbe il problema.

In conclusione, il rischio idraulico è solo probabile e comunque nessun intervento viene fatto per mettere in sicurezza Ostia, tantomeno l’Idroscalo. L’unica opera nuova che viene prevista da progetto, e che dovrà essere autorizzata dall’ABT, è quella di recapito a mare (come indicato nello schema) che avrebbe un significato se e solo se fossero realizzate tutte le altre opere ad oggi ancora non eseguite.

Dunque, mentre l’ABT, ente competente in materia, sostiene l’ipotesi di un rischio idraulico, la classe politica tutta non porta a compimento le opere previste dal 2001, ma autorizzerà, in zona a rischio, un ampliamento del Porto che aumenta la criticità del rischio, senza neppure tenere conto di chi vi abita e quali politiche sociali si devono prendere prima degli affari.

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“Decreto Sviluppo”: gli interessi dei balneari e la propaganda di Governo

La regolamentazione delle concessioni balneari è da oggi ancor più confusa grazie al decreto legge che il Consiglio dei Ministri ha varato alle 11:53, chiamato “Decreto Sviluppo”. Il terzo punto prevede l’istituzione nei territori costieri dei distretti turistico-alberghieri per rilanciare l’offerta turistica nazionale mediante lo strumento urbanistico del ‘diritto di superficie’. Ricordiamo che gli stabilimenti balneari sono diventati dal 2001 ‘imprese turistiche’ (Legge nr.135 del 29 marzo 2001, art.7, c.1) e che la Comunità Europea ha avviato il 29 gennaio 2009 la Procedura d’Infrazione n.2008/4908 contro l’Italia, chiedendo che si facessero gare pubbliche per il rilascio delle concessioni.
Il decreto di oggi è in realtà una chiara propaganda del Governo Berlusconi perché viene annunciato a una settimana dalle elezioni amministrative e il giorno prima dell’assemblea di Confindustria. Non solo, ma chi tra le associazioni dei balneari sta sbandierando maggiormente l’efficacia del decreto è proprio l’Assobalneari, che riunisce gli imprenditori del settore aderenti a Federturismo Confindustria e che il 27 gennaio 2010 incontrò il Ministro del Turismo, Michela Brambilla, chiedendo o concessioni di 50 anni o il diritto di superficie di 99 anni per le strutture già esistenti.

Quello che fa più specie è l’approssimazione con cui l’argomento è stato trattato dagli organi d’informazione e il fatto che nessuno dei politici sia entrato nel merito del contenuto. Premettiamo inoltre che un decreto legge (deliberato dal Consiglio dei Ministri e poi emanato dal Presidente della Repubblica) deve essere presentato alle Camere e deve essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni, altrimenti perde efficacia sin dall’inizio. Vediamo dunque nel dettaglio l’argomento.

CONCESSIONI DEMANIALI MARITTIME E DIRITTO DI SUPERFICIE

A livello di demanio marittimo (le spiagge, nel nostro caso), è la Regione che svolge le funzioni di programmazione ed indirizzo per le finalità turistico-ricreative, compresi gli stabilimenti balneari. Spetta invece ai Comuni il rilascio e il rinnovo delle concessioni demaniali marittime, le autorizzazioni sull’arenile, il nullaosta per l’esercizio del commercio sulle aree demaniali marittime e la pulizia degli arenili.
Come già detto, le concessioni demaniali marittime per scopi turistici e ricreativi sono disciplinate dal Codice della Navigazione. In particolare fino al 2009 l’articolo 37 costituiva il caposaldo normativo del cosiddetto “diritto di insistenza”: nel caso di più domande di concessione, era data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze. Su queste basi, la Comunità Europea ha avviato il 29 gennaio 2009 la Procedura d’Infrazione n. 2008/4908 contro l’Italia, chiedendo che le concessioni venissero messe a bando. L’Italia ha dovuto dunque abrogare il “diritto di insistenza” con Legge nr.25 del 26 febbraio 2010 (art.1, c.18) prorogando la durata dei titoli in essere fino al 31 dicembre 2015. Quindi dal 1° gennaio 2016, si va in gara.

C’è da aggiungere che fino ad oggi le concessioni sono state date con durata superiore ai 4 anni perché altrimenti potevano essere revocabili in tutto o in parte a giudizio discrezionale dell’amministrazione marittima (art.42 Cod.Nav.). Quelle invece superiori a 4 anni, o che comunque presentano impianti di difficile sgombero sono revocabili per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse, a giudizio discrezionale dell’amministrazione marittima. E’ grazie a questi privilegi che sono sorte, al posto di semplici impianti balneari, vere e proprie cittadelle turistiche che con la scusa di ombrelloni, spogliatoi, cabine e lettini, hanno realizzato piscine, palestre, bar, ristoranti e negozi ottenendo concessioni tra i 20 e i 25 anni, a difesa di investimenti che con il termine ‘balneare’ poco avevano a che fare.

Ecco perché dal 2016 nascerà il vero problema, rinchiuso nell’art.49 del Cod.Nav.: “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”. In altre parole, chi fino ad oggi si è costruito la propria cittadella turistica potrebbe perderla nel 2016 in caso di mancato rinnovo della concessione.

Cosa si propone allora il “Decreto Sviluppo”? L’obiettivo è di consentire che le edificazioni già esistenti lungo le coste (comprese le cittadelle turistiche degli stabilimenti balneari) possano essere tutelate applicando per esse il ‘diritto di superficie’, per 90 anni e prevedendo un pagamento annuo determinato dall’Agenzia del Territorio sulla base dei valori di mercato. Ma esiste l’incongruenza con il Codice della Navigazione e con la situazione giuridica della concessione balneare cui gli stessi manufatti o pertinenze demaniali sono soggetti.

Infatti il diritto di superficie, disciplinato dall’artt.952 ss. del Codice Civile, consiste nell’edificare e mantenere una costruzione al di sopra (o al di sotto) di un fondo di proprietà altrui. Si può alienare la proprietà della costruzione già esistente separatamente dalla proprietà del fondo, vendendo il solo diritto di superficie. Se poi la costituzione del diritto è stata fatta a tempo determinato (tipo, a 90 anni), allo scadere del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione.
Le due situazioni giuridiche (concessionario e titolare di un diritto di superficie) non sono allora assimilabili, perché significherebbe far decadere ogni potere di revoca, soprattutto quello motivato in mancanza del ‘pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse’. Non basta che il decreto abbia previsto il ‘libero accesso al mare’, perché il ‘pubblico uso del mare’ prevede anche la visibilità del mare e dell’orizzonte marino, oltre a quella delle dune e delle spiagge.

Come potrebbero conciliarsi le due situazioni di un titolare di un diritto di superficie che ostruisce con le sue strutture la visibilità del mare su suolo demaniale, con il fatto che non esiste più alcuna possibilità di revoca del suo diritto acquisito in funzione del Codice della Navigazione? Come si eserciterebbero i poteri di controllo sulle aree demaniali marittime già edificate? Far passare il decreto significherebbe ‘sanare’ gli abusi esistenti che fino ad oggi non sono mai stati perseguiti (basta prendere come esempio il lungomare di Ostia). O è un tentativo per realizzare un modello di riferimento per operare analogamente lungo fiumi, torrenti e laghi, annullando ogni distinzione nella gestione delle diverse tipologie di suolo pubblico?

CONCLUSIONI

Una certezza rimane. La categoria dei balneari (non tutti, ma la gran parte) ha usufruito per troppo tempo di enormi privilegi, messi in discussione nel 2009 dalla Comunità Europea. Ora cerca di riunirsi in distretti turistico-alberghieri “a burocrazia zero” per mantenere sgravi fiscali e semplificazioni normative. Se la delimitazione dei distretti sarà effettuata dall`Agenzia del Demanio, quello che si prospetta sarà non tanto la cementificazione delle coste che già esiste, ma vere aree non controllate dallo Stato (porti e pontili compresi).
Non dimentichiamo che nello stesso tempo è in corso la declassificazione delle aree del demanio marittimo per invasivi progetti urbanistici, incluse tutte le superfici con i manufatti sopra esistenti, non più destinate a stabilimento balneare bensì ad attività turistiche, produttive, ricreative e ricettive. Queste saranno oggetto di diretta alienazione dal momento che hanno già di fatto perso, come indicato sopra, i caratteri della demanialità.
Il problema è che molte di quelle strutture, quelle per cui oggi si rivendica il ‘diritto di superficie’, sorgono su demanio e sono pertinenze demaniali, infrangendo i requisiti concessori. Andrebbero abbattute, non sanate. La soluzione? Invece di rincorrere la propaganda di Berlusconi e Tremonti, sarebbe opportuno applicare le leggi esistenti e fare un po’ di pulizia. Anche dalle infiltrazioni mafiose che in questo giochino del ‘diritto di superficie’ guadagnerebbero più di tutti.

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