Maltempo, Infernetto: malafede, incompetenza e sciacallaggio


nella foto: una serie di lussuosi villini a ridosso di uno dei canali dell’Infernetto

Partiamo da 4 dati di fatto:

1 – esistono opere abusive realizzate dai residenti lungo tutti i canali dell’Infernetto, mai sanzionate dal Comune di Roma e da tempo immemore segnalate dal CBTAR, opere che restringono le sezioni dei canali e riducono le aree di esondazione degli stessi;

2 – la gran parte degli allagamenti nelle case dell’Infernetto sono stati dovuti al reflusso delle fogne nei bagni, cucine, griglie e quant’altro abusivamente collegato nei seminterrati all’impianto fognario;

3- manca l’attuazione del Piano Particolareggiato dell’Infernetto (datato 1994) con la conseguente mancata messa a norma delle strade per la raccolta delle acque meteoriche, strade che hanno portato fiumi d’acqua dentro le rampe di villini che non si sarebbero mai allagati;

4 – la gran parte dei canali di scolo dell’Infernetto sono stati tombati e gli influenti del Canale Palocco sono ormai utilizzati a servizio delle nuove urbanizzazioni, stravolgendone il ruolo originario.

In questo scenario da terzo mondo assistiamo a scandalose dichiarazioni di vero e puro sciacallaggio, purtroppo non solo da parte dei politici ma anche da parte di alcuni comitati di quartiere che spesso e volentieri hanno all’interno dei geometri che lavorano a stretto contatto con l’amministrazione. E’ scandaloso che si stia cercando a tutti i costi un capro espiatorio che, per ‘magica’ concertazione, tutte le parti in causa vorrebbero individuare solo nel Consorzio Bonifica Tevere ed Agro Romano (CBTAR). Per tali motivi, LabUr si dissocia completamente dalle accuse rivolte al Consorzio di Bonifica e diffida chiunque a formulare false ipotesi giustificatorie relative ai drammatici fatti avvenuti. I veri responsabili sono il Comune di Roma, l’ACEA e la Polizia Municipale che avrebbero dovuto rispettivamente rilasciare, autorizzare e controllare negli ultimi 18 anni la corretta edificazione del territorio. Accusare solo il CBTAR è come guardare il dito mentre si indica la luna e la luna, in questo caso, sono tutti gli spregiudicati costruttori che hanno finito per devastare indisturbati i terreni agricoli dell’Infernetto.

Questo per quanto riguarda l’Infernetto perché se dovessimo parlare anche di Punta di Malafede e del Fosso del Fontanile, dovremmo aggiungere all’elenco anche l’Agenzia Regionale per la Difesa del Suolo (ARDIS) che risponde alla Regione e che nessuno chiama in causa.

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Allagamenti XIII Municipio: pieno sostegno al CBTAR

Sono anni che denunciamo la mala urbanistica che causa queste tragedie. Condividiamo pienamente le dichiarazioni rilasciate dal Consorzio di Bonifica Tevere e Agro Romano (CBTAR) sul disastro idrogeologico e idraulico che ha colpito il XIII Municipio. Piuttosto, dov’è l’Agenzia Regionale per la Difesa del Suolo (ARDIS), che dovrebbe sistemare, ad esempio, il Fosso del Fontanile (esondato a danno dei cittadini di Punta di Malafede) e dov’è l’ACEA, che con i suoi sfioratoi posizionati sui canali, sversa liquami ai danni di Stagni, Bagnoletto, Saline e Ostia Antica ? La verità è che il Comune di Roma con l’attuale giunta del XIII Municipio ha continuato a peggiorare in tre anni il disastro urbanistico già perpetrato dalle giunte rosso-verdi di Rutelli e Veltroni in questo territorio. L’Assessore all’Urbanistica del XIII Municipio, Renzo Pallotta, che dovrebbe essere ribattezzato Assessore al Cemento, non ha avuto una sola parola da dire in questi giorni, forse perché impegnato a dare il via a nuove cementificazioni in deroga al piano regolatore, come accaduto con le edificazioni di Parnasi all’Infernneto, di Piccola Palocco all’AXA. Anche l’opposizione locale (PD e Verdi) non è da meno: tace ad esempio sullo scempio in corso dell’art.11 Acilia-Dragona, a suo tempo partorito proprio sotto Veltroni. All’Infernetto i maggiori allagamenti sono stati dovuti all’impianto fognario che ha finito per refluire nei bagni e nelle cucine dei seminterrati. Le idrovore di Longarina erano in perfetto funzionamento e neppure il canale dei Pescatori era impedito nella sua uscita a mare dalle condizioni meteorologiche. Daremo la nostra disponibilità al CBTAR per condurre una corretta campagna di informazione sulle cause di allagamento di tutto il XIII Municipio.
(nella foto: la vasca di raccolta delle acque presso le Idrovore del CBTAR alla Longarina, pienamente funzionanti il giorno 20 ottobre 2011)

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Metropolitana Roma – Prolungamento B1

Intervento di oggi del Presidente di LabUr, Andrea Schiavone, a Radio Popolare Roma, sul prolungamento della metro B1.

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No ad Olimpiadi bene comune

Se è poco comprensibile che i paesi di tutto il mondo si azzuffino per ospitare le Olimpiadi lo è ancora di più sentire parlare di “Olimpiadi bene comune”.

Tutti sanno che i vantaggi economici per un paese che ospita le Olimpiadi sono raramente positivi e quelli non economici sono difficili da misurare. L’unico ricaduta positiva e misurabile è quella sull’esportazioni commerciali, che prescinde dal fatto che la candidatura venga bocciata e dunque non ha nulla a che vedere con l’aumento dei flussi turistici, come invece sostiene il comitato promotore.
Le Olimpiadi sono utilizzate dalla politica per dare un ‘segnale’, che viene pagato quasi sempre a caro prezzo dalla collettività. Non a caso “Olimpiadi bene comune” nasce dalla volontà di alcuni amministratori comunali, provinciali e regionali, e precede due appuntamenti importanti: l’assegnazione delle Olimpiadi 2020 (il 7 settembre 2013 a Buenos Aires) e l’elezione del Sindaco di Roma (a maggio 2013). Le Olimpiadi dunque sono oggetto della campagna elettorale di tutti gli schieramenti.

Nessuno che presenti mai un’analisi costi-benefici. Le Olimpiadi invernali di Torino 2006, ad esempio, hanno lasciato la città sommersa dai debiti. Le Olimpiadi di Atene 2004 hanno lasciato 20 miliardi di euro di debito per le grandi opere, dove hanno speculato banche e grandi imprese di costruzione, mentre allo Stato è rimasto da pagare un conto salatissimo. Senza parlare dei Mondiali di Calcio ’90 e di quelli del Nuoto Roma ’09.
Tutti vogliono sedersi al tavolo, magari in nome del ‘bene comune’. Nessuno però che chieda di sedersi nella cabina di controllo, quella dei costi-benefici.
Le Olimpiadi saranno l’ennesimo appuntamento con la logica del grande evento, poteri commissariali, deroghe e quant’altro, senza alcuna garanzia di trasparenza dei processi decisionali sulla città e sul suo funzionamento. Le trasformazioni che le Olimpiadi comporteranno per Roma, in termini di opere e di cambi d’uso e di proprietà, devono avvenire sulla base di regole chiare, definite in modo trasparente, applicate senza deroghe e favoritismi, condivise con la cittadinanza tutta e non solo con l’associazionismo di base o quello ambientalista. Nella logica del grande evento infatti si perde sempre il controllo sull’uso del suolo, delle urbanizzazioni, del loro uso, che deve servire tutti i cittadini, non solo alcune categorie.

Ricorrere poi alla retorica suggestiva della “mobilità alternativa intermodale con il trasporto pubblico … che porti ad un 10% in meno di auto circolanti”, come sostiene “Olimpiadi bene comune” significa non conoscere, in qualità di amministratori, la grave situazione in cui versa la mobilità della Capitale e che pone la rete di Roma tra le più sottosviluppate in Europa, sia in termini di numero di veicoli circolanti, sia per la percentuale degli spostamenti su trasporto pubblico. Ancora oggi non esiste un PUM (piano urbano della mobilità).

Far passare l’idea, anche questa suggestiva, che le Olimpiadi siano un ‘bene comune’ significa soprattutto rafforzare il concetto, fino ad oggi utilizzato nei grandi eventi, che le opere da realizzare siano di ‘pubblica utilità’, ma la storia, anche recente dei Mondiali di Nuoto Roma ’09, ci dice che non è così. Nel caso specifico dell’Olimpiadi a Roma significa consentire, da qui al 2020, la costruzione di impianti (pubblici e privati) in deroga al Nuovo Piano Regolatore e al PS5, cioè il piano ‘regolatore’ del fiume Tevere. In particolare il PS5 (Piano di Stralcio 5, da Castel Giubileo alla foce del Tevere) impone vincoli sulla fascia fluviale del PRG, ma paradossalmente le Olimpiadi 2020 sono state pensate lungo tutta la fascia del fiume Tevere.

A prescindere che il processo per i Mondiali di Nuoto Roma ’09, previsto ad ottobre, possa andare in prescrizione e che si tenga quello ad Aprile 2012 contro la ‘cricca’, rimane un fatto: il coinvolgimento di tutti i partiti (a diverso titolo e peso) in queste vicende, gli stessi che oggi si schierano a favore delle Olimpiadi, ma che non hanno mai fatto chiarezza al proprio interno su questi avvenimenti. E’ una questione di credibilità. Per altro risulta ancor meno credibile il Comitato Promotore per le Olimpiadi Roma 2020 che vede al suo interno soggetti inquisiti o condannati o rinviati a giudizio anche per scandali legati ai grandi eventi più recenti. Come ci si può sedere ad un tavolo simile ?
Lo sport di base è sicuramente in sofferenza ma ciò non deve giustificare compromessi con gli speculatori che vogliono distruggere il piano regolatore del Tevere, come nell’ipotesi de villaggio olimpico a Tor di Quinto.
Mentre su Roma va in tour “Olimpiadi bene comune”, nessuno chiede e pretende che venga realizzato il Piano Regolatore dello Sport, sempre annunciato e mai fatto. Occorre serietà e coerenza, è ora di abbandonare finti slogan quali il “rilancio della città”. Le Olimpiadi 2020 non sono un ‘bene comune’, sono solo l’incontro tra politica e affari, soprattutto quello delle multinazionali e dei costruttori, in una città come Roma che da 20 anni fallisce la programmazione sugli impianti sportivi. Un esempio su tutti, il fallimento delle piste ciclabili, realizzate in base alla mobilità alternativa quando invece dal 2006, per la mobilità, esiste un’ordinanza commissariale che assegna al Sindaco di Roma poteri speciali con cui però si stanno compiendo i disastri delle metropolitane, da Veltroni ad Alemanno.
Proporre per il nuovo villaggio olimpico realtà come la Fiera di Roma, Commercity, Tor Vergata (tre fallimenti di Veltroni, tre incapacità di Alemanno) non ha senso a livello urbanistico perché un Villaggio Olimpico deve essere vicino agli impianti sportivi. Parlare poi di impianti diffusi ha senso quando esiste una rete di mobilità degna di questo nome e che Roma non possiede.
Per altro il cuore delle Olimpiadi è l’atletica leggera che si svolgerà nello Stadio Olimpico. Se ci sono aree alternative a quella improponibile di Tor di Quinto per il villaggio olimpico, una vera provocazione sarebbe quella di impiegare le vecchie caserme dismesse di Roma, distribuite in più municipi, e immaginare poi di convertirle, a fine Olimpiadi, in un piano di valorizzazione degli immobili, con servizi per la città come biblioteche, asili, scuole e parchi e una forte quota di edilizia residenziale pubblica. Ciò potrebbe servire anche ad eliminare il rischio della speculazione su aree analoghe da parte dei costruttori, che invece la delibera comunale n° 60 del 2010 favorisce.
Rimaniamo assolutamente contrari, senza se e senza ma, ad ogni utilizzo delle fasce golenali o delle aree di esondazione del Tevere, compreso il riuso del Salaria Sport Village, che va abbattuto.

L’unica vera sfida non è “Olimpiadi bene comune” ma “città bene comune”.

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Salaria Sport Village: non risulta alcun ricorso al Consiglio di Stato

Nessun ricorso al Consiglio di Stato è mai stato presentato dal Salaria Sport Village contro la sentenza del TAR. Il processo per i Mondiali di Nuoto rischia di cadere in prescrizione. Intanto per le Olimpiadi 2020 si propone il Villaggio Olimpico a Tor di Quinto, che ha analoghi problemi idraulici.

Nessun ricorso al Consiglio di Stato è mai stato presentato dal Salaria Sport Village contro la sentenza del TAR che l’ha definito un’opera “non di pubblico interesse”. Così risulta dall’analisi dei 7.909 ricorsi resi pubblici su internet. Scaduti anche i termini di presentazione del ricorso contro la sentenza (60 giorni dalla notifica, art. 28, comma 2, L. 1034/1971). Se non c’è alcun ricorso perché l’impianto sportivo non viene demolito ? Lo dichiarò il 6 maggio Marco Corsini, Assessore all’Urbanistica del Comune di Roma: «La demolizione spetta a loro [IV Municipio] e in queste settimane ci sono stati colloqui tra i tecnici del municipio e quelli dei miei uffici. A fine giugno il Consiglio di Stato si esprimerà sulla sentenza del Tar: di fronte ad una conferma della mancanza di titolo per costruire non ci sottrarremo ai nostri doveri. Potremo demolire il Salaria Village oppure acquisirlo come patrimonio comunale». Sono passati invece 8 mesi dalla sentenza del TAR e nulla accade. Su quali basi Corsini parla dell’intervento del Consiglio di Stato ? Una cosa è certa: per il Salaria Sport Village non si può ritenere valido il necessario nulla osta idraulico rilasciato il 31 marzo 2008 dall’Autorità di Bacino del Fiume Tevere (ABT), proprio in virtù del fatto che l’opera, a suo tempo, fu dichiarata di ‘pubblico interesse’. Cosa impedisce, ai sensi dell’art. 31 del DPR n. 380/2001, di demolire le opere abusive e di ripristinare lo stato dei luoghi ? Sul Salaria Sport Village tutto tace, tutto è fermo, compreso il processo iniziato il 5 aprile presso l’Aula 7 dell’edificio B del Tribunale di Roma, relativo agli abusi edilizi degli impianti per i Mondiali di Nuoto Roma ‘09. Un processo che secondo il giudice, Maria Luisa Paolicelli, doveva arrivare a sentenza entro luglio 2011 e in cui Alemanno ha deciso «di non costituire l’Amministrazione comunale parte civile». Non solo, ma nel frattempo il “massimo accusatore dei Mondiali di Nuoto”, come è stato definito il PM Sergio Colaiocco, è stato destinato, con il suo consenso, all’Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia con funzioni di Ispettore Generale (DD.MM. 13-5-2011 – V° U.C.B. 20-6-2011). Non si abbatte il Salaria Sport Village e si rallenta il processo, forse per portarlo nei termini della prescrizione dei reati. Intanto Malagò, uno dei rinviati a giudizio, siede nel Comitato Promotore per la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020 che dovrà sciogliere ogni dubbio sulla scelta delle aree degli impianti lungo le sponde del Tevere, come ad esempio il Villaggio Olimpico a Tor di Quinto, che guarda caso, ha un analogo problema del Salaria Sport Village.

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Mondiali di Nuoto ’09. Labur:”Forniremo a Cochi tutte le spese del Polo Natatorio di Ostia”

A breve LabUr invierà ad Alessandro Cochi, Consigliere Delegato alle Politiche per lo Sport del Comune di Roma, tutti i consuntivi di spesa dei Mondiali di Nuoto Roma ’09 relativi al Polo Natatorio di Ostia, compreso il dettaglio dell’importo di 1 milione e 260 mila euro spesi dal Comune di Roma per il completamento di Via delle Quinqueremi, strada principale di accesso al Polo, stranamente contemplata nelle spese dei Mondiali. Purtroppo altri milioni di euro servirebbero per completare, dopo più di 2 anni, l’impianto di Ostia, costato fino ad oggi 36 milioni di euro contro i 15 previsti, che nel frattempo perde i pezzi. Infatti, durante il collegiale della Nazionale maschile nati ’91 e seguenti (22-25 maggio) presso il polo di Ostia si è sfiorata la tragedia. Mentre erano in corso le gare di nuoto, è caduto dall’alto un pezzo di mattonella che ricopre le colonne della struttura della piscina coperta, per fortuna in un’area dove in quel momento non c’era nessuno. Sul lato opposto, invece, erano presenti centinaia di ragazzi che attendevano di essere chiamati, ognuno per la propria gara. Questa la triste situazione del Polo Natatorio di Ostia, dove, da pochi giorni, è comparso un cartello all’ingresso, con la seguente scritta: “Impianto sportivo di proprietà di Roma Capitale. Centro Federale di Ostia. Concessione: Federazione Italiana Nuoto”. Chi farà allora i restanti ed urgenti lavori ? Secondo l’Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri (OPCM) 3854 del 03.03.2010, “ogni residuale attività amministrativa e tecnico-gestionale inerente lo svolgimento del grande evento Mondiali di Nuoto Roma ’09” (art.1, c.3) compete all’Unità Tecnica di Missione istituita presso il Segretariato Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Cosa accadrà dunque nel 2012 ? Rinnoveranno l’ordinanza ‘per il 151° anniversario dell’Unità Nazionale’ ? Chiediamo dunque a Cochi di dire cosa intende fare visto che l’impianto di Ostia è comunale e che la delibera n.85 del 21.05.2007 recitava chiaramente che l’ultimazione dei lavori e il collaudo degli stessi dovevano concludersi entro il 31 marzo 2009. Siamo fiduciosi che Cochi apprezzerà la nostra collaborazione di rendere pubbliche le spese, visto che fino ad oggi il Comune di Roma non c’è riuscito. Non vorremmo che diventasse famoso anche lui come Renato Papagni per le “4 mattonelle mancanti”.

paula de jesus per LabUr

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Mondiali di Nuoto ’09: impianto privato Babel, un abuso autorizzato.

Discutibile la relazione del consulente tecnico della Procura sull’impianto Babel all’Infernetto sorto per i Mondiali di Nuoto Roma ’09. Il conto, salato, lo pagheranno i cittadini, mentre il privato ha già decuplicato il valore del suo terreno.

L’impianto sportivo Babel all’Infernetto (Roma), è uno di quelli impianti natatori sorti per i Mondiali di Nuoto, sequestrato ad ottobre 2009, poi riaperto e lasciato da 2 anni indisturbato alle sue fortune senza che ne sia stata chiarita la situazione processuale.
Ex-impianto sportivo abusivo e fatiscente, a ridosso della tenuta presidenziale di Castel Porziano, rinasce in 10 mesi in un’area senza infrastrutture e servizi, dov’è in corso da 20 anni un complicato recupero urbanistico. Perché è stata scelta quest’area? Primo tra tutti, un motivo c’è: la rendita fondiaria. A qualcuno infatti ha fatto gola che un terreno agricolo di 4 ettari, che negli anni ’90 valeva sì e no 25 euro al mq, potesse valerne almeno 1.500, grazie ai Mondiali di Nuoto.
Varianti di destinazione d’uso, riduzioni della fascia di inedificabilità, aumenti esagerati delle cubature consentite, mancati controlli, interessi politici e una totale indifferenza per l’integrità della tenuta presidenziale di Castel Porziano, hanno regalato alla comunità un altro abuso edilizio autorizzato, non del tutto illegale, ma sicuramente illegittimo.
L’impianto sportivo di Babel oggi ospita asili nido convenzionati, un ristorante, locali per corsi di ballo e di decoupage, campi da calcetto e molto altro, nulla a che vedere con l’iniziale esigenza funzionale di un impianto natatorio per i Mondiali di Nuoto (visto che non c’è più neanche la foresteria). Si tratta dunque dell’ennesimo uso degli strumenti urbanistici per fini privati senza alcun vantaggio per la collettività.
L’impianto neppure viene utilizzato dalla Federazione Italiana Nuoto (FIN), ma l’affare economico per i privati è stato enorme.
Le fasi decisionali per l’approvazione del’impianto sono avvenute dalla data in cui il Sindaco Veltroni ha rassegnato le dimissioni (lo stesso giorno in cui il PTPR è stato pubblicato) fino alla istituzione della nuova Giunta Comunale (nominata il 16.05.2008) e delle nuove Commissioni Consiliari (16.06.2008). In tale frangente il Commissario Delegato ha agito indisturbato. Ciò che lascia però sconcertati è che non ci sia stato alcun sequestro definitivo almeno delle aree riconosciute dalla Procura di Roma come “inedificabili”; e che il consulente tecnico nominato dalla Procura abbia consegnato una relazione molto discutibile nelle sue conclusioni e cioè che “l’opera è compatibile con il sistema di tutela paesistico”, per altro omettendo completamente dall’analisi la fascia di rispetto della tenuta presidenziale di Castel Porziano.
LabUr pertanto ha ritenuto opportuno svolgere un’analisi tecnica approfondita, augurandosi che possa fare chiarezza su una vicenda che è l’ennesimo esempio di malcostume urbanistico, quanto di più lontano dagli interessi della collettività che alla fine sarà l’unica a pagare il conto, salato.

La relazione tecnica completa a questo LINK

dr. Ing. Andrea Schiavone, Presidente LabUr

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Salaria Sport Village e Autorità del Bacino del Tevere: quale nulla osta idraulico ?

L’impianto del Salaria Sport Village ha ottenuto il nulla osta idraulico, e dunque il parere favorevole, il 31 marzo 2008, da parte di Roberto Grappelli, segretario generale dell’ Autorità di Bacino del Fiume Tevere (ABT), dopo che il Commissario delegato ai Mondiali di Nuoto Roma ’09, Angelo Balducci prima e Claudio Rinaldi poi, presentarono il progetto come “opera di interesse pubblico non residenziale, non delocalizzabile e come tale trattata ai sensi degli articoli n.46 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI)”.

Il Salaria Sport Village situato tra le aree esondabili del Piano di Stralcio – PS1 dell’ABT, classificate come ‘Zona A’, si trova in un’area dove è vietata qualunque attività di trasformazione dello stato dei luoghi (morfologica, infrastrutturale, edilizia), ma dove possono essere realizzati impianti destinati ad attività sportive compatibili con l’ambiente senza creazione di volumetrie (p.es., un campo di calcio senza spogliatoi attigui), purché venga consentita la libera attività espansiva delle acque per la sicurezza di tutti gli abitanti di Roma e dove l’attività edificatoria è fortemente limitata, salvo che per le opere pubbliche o di pubblico interesse. L’art.46 recita infatti: “all’interno delle fasce fluviali e delle aree a rischio idraulico ed idrogeologico è consentita la realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico purché compatibili con le condizioni di assetto idraulico e/o geomorfologico definite dal PAI e non altrimenti localizzabili”.

Quali sono dunque le motivazioni che hanno portato l’ABT a rilasciare il nulla osta idraulico per la realizzazione dl Salaria Sport Village ? Sostanzialmente tre: 1) opera di interesse pubblico 2) opera non delocalizzabile, 3) opera compatibile con le condizioni di assetto idraulico e/o geomorfologico. In dettaglio:

1.OPERA DI INTERESSE PUBBLICO
Secondo la sentenza del TAR del Lazio nr.00906/2011, a seguito del ricorso nr.2834/2010 presentato dallo stesso Salaria Sport Village, l’impianto non può considerarsi di ‘interesse pubblico’.

Ricordiamo che si definisce ‘opera pubblica’ un’opera che prevede la materiale modificazione e trasformazione di un bene immobile, che è destinata all’interesse pubblico e che è realizzata da un ente pubblico. Un’opera di interesse pubblico (poiché i termini “pubblica utilità”, “pubblico interesse”, “interesse generale” sono sostanzialmente equivalenti) deve avere gli stessi requisiti, ma è realizzata da parte di un soggetto privato – anche per perseguire utilità di natura privata – ferma restando la soddisfazione di un concreto interesse pubblico (per esempio un privato può costruire un parcheggio tramite project financing e ricavarne utili per soddisfare l’interesse pubblico, quello di dotare l’area di un parcheggio necessario ai cittadini). Ne segue che ogni opera pubblica è di pubblica utilità (ma non sempre è vero il contrario) e che un’opera di pubblica utilità deve comunque avere un interesse pubblico. Inoltre, la definizione di ‘interesse pubblico’ di un’opera deve essere dichiarata esplicitamente dalla pubblica amministrazione.

Il Salaria Sport Village è stato dichiarato opera di interesse pubblico dal Commissario delegato ai Mondiali di Nuoto Roma ’09, pertanto doveva assolvere finalità di carattere generale legate alla sua funzione nel contesto della città di Roma. Non era allora, e non lo è nemmeno ora, possibile assumere ogni generico interesse pubblico (nel caso specifico, mancanza di piscine) per disattendere i limiti imposti dall’ordinamento urbanistico.

Su questo tema si è inserito il Comune di Roma che nella deliberazione di Giunta Comunale n.196 del 30 giugno 2010 ha ribadito l’interesse pubblico e fatto propri i relativi progetti di soli 5 impianti sportivi realizzati su aree di proprietà comunale in occasione dei Mondiali di Nuoto Roma ’09, escludendo da tale determinazione gli impianti di proprietà privata come il Salaria Sport Village. In base a ciò il TAR ha sentenziato quanto segue: “Si rivela un assunto indimostrato che, ai fini in discorso, ogni intervento compreso nel piano delle opere per i Mondiali di Nuoto 2009 sarebbe dovuto essere considerato d’interesse pubblico in quanto realizzato per un’iniziativa rispondente a tale interesse, a prescindere dalla circostanza che sia stato posto in essere su strutture di proprietà pubblica o privata”.

Secondo il TAR dunque il Salaria Sport Village non è un’opera di interesse pubblico. Si attende l’espressione del Consiglio di Stato, che doveva esprimersi il 30 giugno.

2.OPERA NON DELOCALIZZABILE
Sostenere che in tutto il IV Municipio non ci fosse un’altra area dove realizzare delle piscine per ‘interesse pubblico’, non è credibile. Anche perché il Comune di Roma ha sempre espresso con chiarezza “parere non favorevole all’ampliamento e al potenziamento degli impianti” (conosciuti anche come ex centro sportivo della Banca di Roma, a Settebagni), così come negativo è stato il parere della Provincia di Roma.

Come ha potuto dunque Roberto Grappelli, segretario generale dell’ABT, autorizzare il 31 marzo 2008 come “non altrimenti localizzabili” i 160 mila metri cubi di cemento del Salaria Sport Village in area esondabile? Non si sa, quello che invece si sa è che Grappelli è stato premiato, il 13 agosto del 2008, con la nomina a Presidente di Metropolitane di Roma”, carica che ha mantenuto fino al 19 gennaio 2010, per divenire poi amministratore unico di Officine Grandi Revisioni (OGR), la società interna dell’Atac, società responsabile della manutenzione dei treni delle metropolitane. Così come si sa che l’impresa che ha eseguito i lavori al Salaria Sport Village era della moglie di Diego Anemone, Vanessa Pascucci, a sua volta socia e finanziatrice della moglie di Angelo Balducci di una casa di produzioni cinematografiche

La realtà è che nessuno ha mai detto fino ad oggi perché, per dotare di un impianto natatorio il IV Municipio, si dovesse a tutti i costi posizionarlo proprio lì, sul fiume. Perché non era ‘altrimenti localizzabile’?

3.OPERA COMPATIBILE CON LE CONDIZIONI DI ASSETTO IDRAULICO E/O GEOMORFOLOGICO

L’area del Salaria Sport Village è indicata come area esondabile nel Piano di Stralcio – PS1 dell’ABT e classificata come ‘Zona A’, caratterizzata appunto da costante rischio di naturale esondazione delle acque del fiume Tevere. La normativa su di essa, come riportato all’art.39 del PAI, è quella del 1° Stralcio Funzionale – PS1, “Aree soggette a rischio di esondazione nel tratto del Tevere compreso tra Orte e Castel Giubileo”.

Se l’area non fosse stata imposta come ‘opera di pubblico interesse’ dalle dichiarazioni del Commissario Delegato, sarebbe stato al massimo consentita la “realizzazione di aree destinate ad attività sportive compatibili con l’ambiente senza creazione di volumetrie” (art.4, c.4, lett.f), il tutto armonizzato con le norme tecniche del piano paesistico territoriale n.4 “Valle del Tevere” della Regione Lazio. In pratica, non poteva esistere il Salaria Sport Village.

Invece, dichiarandolo come ‘opera di pubblico interesse’, il caso del Salaria Sport Village è stato fatto rientrare sotto l’art.7, in cui in pratica si impone soltanto che venga convocata una Conferenza dei Servizi per studiare, con l’ABT, come realizzare l’opera prevista. L’ABT, in questi casi, deve imporre una serie di prescrizioni realizzative che devono essere rispettate alla virgola, compresa tutta la parte relativa all’impiantistica. La mancata attuazione di queste prescrizioni, e dunque l’eventuale riduzione dell’area a disposizione dell’espansione delle acque del Tevere in caso di esondazione, è motivo di mancato rilascio del nulla osta idraulico da parte dell’ABT. Questo vale soprattutto per l’area subito a monte di Castel Giubileo, in sinistra idraulica, dove le quote del terreno sono tali per cui la S.S. Salaria può essere inondata per circa 2 Km, così come anche il centro di Settebagni (la ferrovia Roma – Firenze si trova invece in quota di sicurezza).

Le linee tecniche di indirizzo per il rilascio dei pareri in materia di concessioni edilizie prevedono per esempio che le quote di calpestio dei manufatti edilizi che possono essere realizzati nelle aree a rischio di esondazione, devono essere a quota superiore a quella del massimo livello prevedibile delle acque in caso di esondazione. Analogamente, la struttura portante demandata a sostenere il piano di calpestio, deve essere realizzata mediante i cosiddetti “pilotis” ad elementi verticali, la cui dimensione massima di ingombro non può essere superiore a 100 cm posti ad un interasse non inferiore a 9.00 mt a luce libera, senza tamponature. E così via, con tutte le eccezioni dei casi ‘non residenziali’ in cui quasi sicuramente è stato fatto rientrare il Salaria Sport Village.

Ora di queste prescrizioni non è mai stata data informazione e sarebbe opportuno che l’ABT, per maggior chiarezza del suo operato, le rendesse pubbliche al fine di permettere non certo un’ispezione popolare sul realizzato, ma per chiarire tutti i dubbi che ancora esistono sulla regolarità dei controlli effettuati prima del sequestro dell’opera.

Riassumendo: fino ad oggi del Salaria Sport Village si è parlato in termini di vicinanza al fiume, cioè della sua collocazione in area esondabile, incolpando solo il Comune di Roma per non aver controllato i poteri del Commissario Delegato. In realtà l’esistenza del Salaria Sport Village la si deve al nulla osta idraulico dell’ABT, nulla osta che si basa sui tre punti sopra esposti.
Gli scenari futuri allora sono due, entrambi legati al parere del Consiglio di Stato. Se riconoscerà che non è opera di pubblico interesse, come già sostenuto dal TAR, tutti gli impianti vanno demoliti perché l’ABT dovrà gioco forza ritirare il nulla osta idraulico (per questa ragione LabUr non ha mai compreso le motivazioni della raccolta di firma per l’acquisizione a patrimonio pubblico del Salaria Sport Village). Se invece il parere del Consiglio di Stato rovescerà l’espressione del TAR, bisognerà verificare che tutte le prescrizioni dell’ABT siano state rispettate, cosa che fino ad oggi nessuno ha mai verificato (che ci risulti, neppure la Procura, dove l’ABT è stata ascoltata sul caso ben 9 volte).
Resta l’amarezza che nessuno, ma proprio nessuno, ha mai fatto rispettare la Legge sul Salaria Sport Village, creando un groviglio tale di interpretazioni che lasciano solo spazio a chi ha interessi, sicuramente non pubblici.

paula de jesus, urbanista, per LabUr

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Prolungamento metro B1: senza fondi e senza valutazione urbanistica

Esposto all’Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici sul prolungamento della B1, una metro pensata con il sistema delle ordinanze, senza fondi e senza alcuna valutazione urbanistica.
Il prolungamento della B1 oltre Conca d’Oro, per la tratta Jonio-Bufalotta, è ancora senza alcun fondamento amministrativo e le assemblee partecipative, per decidere del suo tracciato, lasciano il tempo che trovano. I dati essenziali del progetto sono: 3.850 metri di percorso, 3 stazioni (Vigne Nuove, Mosca, Bufalotta), 5 anni di lavori, per un costo totale dell’opera (riportato nei documenti di partecipazione) pari a 527.328.700€ (importo con IVA: 580.657.800€). In realtà il progetto è stato approvato utilizzando l’Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri (OPCM) 3543 del 26.9.2006 ed inserendo in essa il progetto preliminare integrato con l’ordinanza 387 (11.7.2011, codice D1 1-14), dove però risulta una quota di finanziamento pari a 650 milioni euro. L’unico punto a comune tra i due dati è che questi fondi sono tutti da reperire ai sensi dell’art.53 comma 6, del decreto legislativo 163 del 12.4.2006, mediante valorizzazioni immobiliari di aree sparse nel Comune di Roma che si dicono ‘suscettibili di valutazione economica da individuare con successiva ordinanza’. Queste aree, che non sono ancora indicate nel programma triennale dei lavori pubblici (come previsto per legge), dovranno essere scelte prive di qualsiasi ‘interesse pubblico’. Come fa allora l’Assessore alla Mobilità, Aurigemma, a sostenere durante l’ultima assemblea partecipativa che le aree saranno scelte dentro i famigerati ‘ambiti di riserva’ del Piano Regolatore di Roma?

Gli ‘ambiti di riserva’ sono aree di interesse pubblico, non sempre sono di proprietà del Comune di Roma e sono a ‘trasformabilità vincolata’ nel senso che, come definito dallo stesso Comune, “sono aree di scarso valore ambientale, localizzate in prossimità delle linee del trasporto pubblico su ferro, che l’Amministrazione può acquisire per garantire eventuali trasformazioni di interesse collettivo finalizzate a: realizzazione di edilizia residenziale pubblica, compensazione di diritti edificatori derivanti dal Piano delle Certezze e dalla incentivazione di opere come la demolizione e ricostruzione nelle aree urbane più dense, costruzione di parcheggi e attrezzature pubbliche, adesione ai Programmi integrati ecc. La trasformazione di queste aree è subordinata alla formazione di un atto di indirizzo da parte dell’amministrazione e alla successiva redazione di strumenti urbanistici esecutivi”.

Manca dunque il finanziamento dell’opera.

Inoltre l’ordinanza 387 dichiara la necessità di più varianti urbanistiche per realizzare il prolungamento della B1, comprese le aree dove sono previste le stazioni, fatto che si risolve mediante l’art.3 dell’OPCM n.3543/06, in cui è scritto che l’approvazione del progetto da parte del sindaco di Roma costituisce ‘variante allo strumento urbanistico generale’. In realtà l’OPCM n.3543/06 non concede al sindaco alcuna deroga al Piano Territoriale Provinciale Generale (PTPG) di Roma, pienamente operante dopo la conclusione della Conferenza di copianificazione tecnica e della sottoscrizione dell’Accordo di Pianificazione da parte dei presidenti di Regione e Provincia, poi pubblicato sul BURL n. 45/9 del 6.3.2010.
Ricordiamo che con l’approvazione del PTPG la Provincia ha assunto la pienezza dei compiti in materia urbanistica già esercitati dalla Regione ed, in particolare, i compiti di indirizzo e valutazione degli strumenti urbanistici comunali in fase di generale rinnovamento, tra cui appunto le varianti urbanistiche. Non solo, ma il Comune di Roma non si è attenuto neppure al art. 89 delle Norme Tecniche di Attuazione del PTPG (‘Modalità attuative degli interventi’ riferite al ‘Sistema della mobilità’).

Manca dunque la valutazione urbanistica dell’opera.

Senza finanziamento e senza valutazione urbanistica, neppure si può dar seguito al processo di partecipazione cittadina, come previsto dal ‘Regolamento per l’attivazione del processo di partecipazione dei cittadini alle scelte di trasformazione urbana’ allegato alla Delibera del Consiglio Comunale n.57 del 2 marzo 2006. Ricordiamo inoltre che il prolungamento della B1 rientra nel processo partecipativo cittadino in quanto l’art.3 del sopra citato Regolamento (Atti sottoposti alla procedura partecipativa) al comma 3, recita: “Sono sottoposti, inoltre, ad adeguata e diffusa informazione e partecipazione, i progetti di opere pubbliche di importo dei lavori pari o superiore a quanto stabilito dall’art. 7 della Direttiva 31 marzo 2004 n. 2004/18/CE”.

Nullo amministrativamente anche il procedimento degli espropri lungo il tracciato perché l’art.1 comma 3 dell’OPCM n.3543/06 recita “salva l’applicazione dell’art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001” che a sua volta riporta “restano in vigore le disposizioni vigenti che regolano le modalità di partecipazione del proprietario dell’area e di altri interessati nelle fasi di adozione e di approvazione degli strumenti urbanistici”, modalità di partecipazione che includono il sopra citato Regolamento.

Insomma, se l’OPCM n.3543/06, rinnovata ogni anno negli ultimi 5 anni, è un po’ come la lampada di Aladino che ogni sindaco sfrega per ottenere un proprio desiderio (visti gli estesi poteri che essa conferisce), resta il fatto che il prolungamento della B1 è un tentativo maldestramente mascherato di speculazione edilizia che nulla ha a che vedere con gli “Interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare l’emergenza determinatasi nel settore del traffico e della mobilita’ nel territorio della Capitale della Repubblica” oggetto della OPCM n.3543/06.

Per questi ed altri motivi, LabUr farà un esposto all’Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici che ha già bloccato la linea D per analoghi motivi.

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Patti Territoriali: ‘riciccia’ il Centro Commerciale sulla C. Colombo – Infernetto

E’ di oggi un articolo sul Il Faro on line dal titolo “Patti territoriali, no al centro Esselunga” (disponibile a questo LINK), in cui il consigliere municipale dell’UDC, Angelo Paletta, solleva una serie di polemiche che riguardano anche il centro commerciale “Esselunga”. Pare, secondo quanto riferisce il consigliere Paletta, che sulle 162 proposte presentate nel quadro dei Patti Territoriali, solo 7 progetti siano arrivati in questi giorni in Commissione Urbanistica del XIII Municipio, su 64 ammessi, di cui 53 con riserva, tra cui il Centro Commerciale, situato nel comparto “C. Colombo, Canale della Lingua”.
Già nel 2006 presentammo, a seguito dell’incontro del 6 novembre con l’allora mini sindaco Paolo Orneli (che definì questa proposta, scelleratamente, un progetto di “riqualificazione e un punto di aggregazione per i giovani”) una relazione dettagliata e fitta di osservazioni puntuali relativa al documento della parte proponente che fu consegnato ai Comitati interessati dal titolo “Città di Roma – Provincia di Roma – Studio di fattibilità per la riorganizzazione viabilistica del comparto Via Colombo – Via Canale della Lingua” dell’Ottobre 2006. Le informazioni in esso contenute erano assolutamente insufficienti sotto ogni profilo, compreso quello concerne l’impatto viabilistico, oltre a presentare gravi errori di rilevazione e di metodo (il documento è disponibile a questo LINK). Ovviamente non ci rispose mai nessuno. Poco tempo dopo la ASCOM presentò un ricorso al TAR contro questo progetto, i cui esiti non sono noti.
Dopo 10 anni dalla sua proposta eccolo di nuovo comparire. 10 anni nei quali il carico urbanistico in quel quadrante è fortemente aumentato e le varianti non si contano più. Per altro è un progetto che non dovrebbe nemmeno essere ammissibile in quanto la sua realizzazione era imprescindibilmente legata al corridoio di mobilità della Centralità Acilia-Madonnetta, mai partita.
L’aspetto che però è importante sottolineare, perché il più critico, è questo: il progetto del centro commerciale su via Canale della Lingua, in una delle zone più depresse del territorio, potrebbe portare danni incommensurabili al patrimonio idrico del sottosuolo favorendo la risalita del cuneo salino. Recenti indagini nella Tenuta Presidenziale di Castel Porziano, infatti hanno messo in evidenza cambiamenti significativi nella composizione floristica e vegetazionale delle boscaglie costiere legate alle infiltrazioni di acqua salata che vanno ad interessare la falda di acqua dolce. Per questi motivi l’area deve essere salvaguardata da ulteriori residenze e infrastrutture rispetto a quelle già esistenti. Gli impatti che ne deriverebbero potrebbero portare al suo definitivo degrado naturalistico ed ecologico.
E’ utile in proposito tenere presente che la Presidenza della Repubblica, riconoscendo l’elevato valore storico, archeologico e ambientale di una porzione di territorio appartenente in parte allo stesso sistema di paesaggio, abbia sentito l’esigenza di trasformare la Tenuta Presidenziale in Riserva Naturale Statale ed abbia avviato un importante piano di monitoraggio proprio per salvaguardare uno dei sistemi naturali di maggiore significatività del bacino del Mediterraneo.
L’Autorità di Bacino del Fiume Tevere, tra gli interventi di compensazione ambientale e di gestione delle aree naturalistiche, ha incluso l’intervento denominato TEIA 08, per un importo di 5 milioni di euro, relativo al monitoraggio e gestione dell’acquifero costiero nella tenuta presidenziale di Castel Porziano. Le opere all’interno previste, sono le seguenti:

• Potenziamento dei sistemi di monitoraggio dell’acquifero;
• Opere di convogliamento delle acque dall’idrovora di Ostia al Canale Palocco;
• Opera di regolazione dello scarico a mare del Canale Palocco;
• Barriere semipermeabili per il contenimento della intrusione salina;
• Interventi di rinaturazione dei canali;
• Pozzi disperdenti per il ravvenamento della falda;

I Patti Territoriali furono pensati con l’obiettivo di creare nuova occupazione, a prescindere dalla qualità e dalla quantità di posti di lavoro che si perdono con alcune scelte come quella del centro commerciale. E’ di oggi la notizia che siano già 2.000 i negozi chiusi nel 2011 a Roma. Staremo a vedere cosa succederà nei prossimi mesi, ma soprattutto cosa dirà l’Assessore alle Attività Produttive del Comune di Roma, Davide Bordoni, che nel 2008 dichiarò che eravamo di fronte ad un “nuovo corso del piano urbanistico commerciale che premierà i centri commerciali naturali piuttosto che consentire ulteriori aperture di centri commerciali artificiali”. Speriamo di non trovarci all’ennesima variante di progetto magari con qualche “regalino fuori sacco”.

Mentre in tutta Europa si portano avanti progetti di “agricivismo”, nel Municipio XIII, a vocazione naturalistico-ambientale, si propongono ancora progetti anacronistici oltre che devastanti.

paula de jesus per LabUr

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