Infernetto, Esselunga: interrogazione al Senato

Il caso del mega Centro Commerciale Esselunga all’Infernetto approda al Senato (seduta n. 663 del 25/01/2012). Con un’interrogazione con richiesta di risposta scritta, l’On. Elio Lannuti (IDV) si è rivolto al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Due le questioni: stabilire l’impatto che la struttura provocherebbe al già delicato equilibrio idrogeologico dell’Infernetto e indicare quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo affinché sia garantita la sicurezza del territorio del quartiere, dove un uomo ha perso la vita il 20 ottobre scorso a causa degli allagamenti) .
La buona notizia è però offuscata da voci provenienti da ambienti attendibili che riferiscono di manovre in corso presso il Comune di Roma di trasformare lo strumento dei Patti Territoriali di Ostia (datato 2002) in quello urbanistico del PRINT (Programma Integrato). Sarebbe l’ennesimo episodio di una storia scandalosa. Intanto Esselunga distribuisce porta a porta all’Infernetto il cvd “Il Mago di Esselunga”. Più che il mago temiamo “magheggi urbanistici”.

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Ponte della Scafa, LabUr: “Allibiti dalle dichiarazioni di Bonessio (Verdi)”

Siamo noi ad essere allibiti dalle dichiarazioni di Nando Bonessio, presidente dei Verdi del Lazio, sull’assenza dei percorsi ciclo-pedonali nel progetto del Nuovo Ponte della Scafa,
un progetto presentato nel 2006, già andato in gara e aggiudicato in via provvisoria il 23 dicembre 2010. Forse Bonessio era troppo impegnato con gli strascichi delle sanatorie amministrative per le opere dei Mondiali di Nuoto 2009, visto che si accorge dopo anni che manca la pista ciclabile, ma tace sul mega danno ambientale dell’opera, dichiara Paula de Jesus, urbanista, a nome di LabUr, laboratorio di urbanistica.

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Acilia, Terrazze del Presidente: una sentenza buffa che sa di beffa

Disponibili le motivazioni della sentenza. Il Giudice dell’Udienza preliminare per le Terrazze del Presidente, dr. Roberto Saulino, ha liquidato così il 13 dicembre 2011, nei seguenti tre punti, una delle pagine più sporche dell’urbanistica romana:

1) dal 1990 al 1993 c’è stata lottizzazione abusiva, ma il reato è ampiamente prescritto;
2) dal 1993 al 2003 non si è registrata alcuna attività edilizia;
3) dal 2003 al 2008, non essendo imputabile alcuna “illiceità della preesistenza”, ci sono stati regolari interventi di completamento delle strutture esistenti, così come sono regolari le 970 concessioni edilizie in sanatoria rilasciate dal 7 marzo 2003 al 5 dicembre 2004 da parte del Comune di Roma.

Molte le imprecisioni nella sentenza, molte le considerazioni arbitrarie condite da dettagli inutili, del tutto trascurati i problemi urbanistici dell’area con una superficialità a dir poco imbarazzante. Per entrare all’interno della sentenza occorre fare chiarezza sulla vicenda delle Terrazze del Presidente, procedendo per punti.

LE ORIGINI
Tutto ha origine nel 1984 quando il costruttore Antonio Pulcini cercò di acquisire l’area dalla Federconsorzi, più esattamente di proprietà dell’Acilia Agricola e dell’Agridomus, due società targate Fedital. Pulcini avanzò l’offerta di acquisto attraverso la società Dueppi, ma la transazione si bloccò fino a quando la Società CognizioniEdificatorie Moderne, del gruppo Grassetto di Ligresti, si impegnò a rilevare i terreni della Federconsorzi per 21 miliardi di lire. La Eur Servizi Terziari divenne così la Società che condusse in porto l’operazione, grazie ai fidi concessi dall’allora Banco di Napoli. Il 30 maggio del 1990 la EUR Servizi Terziari otteneva la concessione edilizia n.937 dalla Regione Lazio per la realizzazione di un complesso produttivo composto da uffici e negozi, concessione che, dopo varie vicissitudini, veniva annullata con la sentenza n.162 del 1 febbraio 1995 dal Consiglio di Stato. I lavori, iniziati nel 1990, si erano interrotti il 2 luglio 1993. In tale data il Consiglio di Stato aveva infatti ravvisato l’insufficienza dell’urbanizzazione dell’area. Nel frattempo erano sorti 12 edifici da 9 piani per un totale di superficie lorda complessiva di 110.000 mq e di 724 unità immobiliari. Il condono tombale del 1994, targato Berlusconi, gli accordi con la giunta Rutelli e poi la compiacenza nel rilasciare sanatorie sotto Veltroni, hanno fatto il resto, fino al sequestro preventivo del 19 dicembre 2008, sotto la giunta del nuovo sindaco Alemanno.

L’ACCUSA
L’accusa si è concentrata sulle due richieste di condono avanzate dall’EUR Servizi Terziari nel 1995, ritenute non ammissibili perché corredate da presunte false perizie giurate. Una, utilizzando l’art.39 della legge n.724 del 23 dicembre 1994, l’altra impiegando l’art.43 della legge n.47 del 28 febbraio 1985. Per ottenere il condono, era infatti necessario dimostrare da parte del costruttore che la richiesta di cambio di destinazione d’uso da produttivo a residenziale si riferisse alle opere abusive risultanti ultimate entro il 31 dicembre 1993. Proprio in funzione di tale data di scadenza, l’accusa ha ritenuto falso il verbale di sopralluogo del 3 giugno del 2003 (in cui si dimostrava l’avvenuto cambio di destinazione d’uso per il quale si richiedeva il condono) e ha ritenuto falso il progetto, non conforme a quanto realmente costruito, presentato per frazionare gli edifici in 1.367 unità immobiliari. In altre parole, secondo l’accusa, persa la concessione edilizia, la EUR Servizi Terziari avrebbe giocato la carta del condono mistificando la realtà con false perizie, sopralluoghi e progetti, in questo aiutata dagli uffici dell’amministrazione capitolina, per ottenere oltre 1.000 appartamenti da vendere ai privati.

IL GIUDICE SAULINO E LA COMPATIBILITA’ URBANISTICA

L’accusa però non aveva fatto i conti con il dr. Saulino, capace di sostenere la seguente affermazione, madre di tutta la sentenza: “(al nuovo Piano Regolatore Generale) sono state allegate tavole che prevedono oltre all’edificato in contestazione anche tutte le opere di raccordo con il contesto urbanistico adiacente. A fronte di ciò non può che prendersi atto del sopraggiunto inglobamento dell’edificato nella nuova destinazione urbanistica dell’area”.

Insomma, le Terrazze del Presidente sono diventate con la sentenza di Saulino urbanisticamente compatibili semplicemente perché, secondo quanto afferma Saulino, si è passati dal PRG del 1965 (vigente al momento della concessione 937 del 1990), in cui l’area in oggetto era a destinazione M1, cioè “attrezzature per servizi generali pubblici”, al PRG del 2008, che la classifica invece come T3, cioè “tessuti di espansione novecentesca a tipologia libera”.

Il ragionamento del dr. Saulino è stato il seguente. Ha preso in esame le opere di urbanizzazione primaria, ma non tutte, solo le strade e solo quelle inserite, sotto la giunta Rutelli (delibera di Giunta n.115 del 26 gennaio 1999) all’interno di una convenzione tra Comune di Roma e EUR Servizi Terziari. Eur Servizi Terziari infatti, avendo richiesto un condono, ai sensi dell’art. 39, L. n° 724/94, e dovendo dunque riconoscere quasi 18 miliardi di lire di oneri concessori, aveva avanzato la richiesta (accettata dal Comune di Roma), di realizzare opere di urbanizzazione primaria direttamente a scomputo per l’importo degli oneri concessori dovuti. Tra le opere di urbanizzazione era stata inserito anche il raddoppio della via di Acilia. Il raddoppio in 9 anni (dal 1999 al 2008, cioè dalla firma della convenzione al sequestro) non è mai avvenuto, se non per poche centinaia di metri dell’affaccio delle Terrazze del Presidente su via di Acilia e su forzatura del PD ad inizio 2008, in piena campagna elettorale e poco prima del’approvazione del nuovo PRG. I restanti 2,5 km, il sottopasso della via Cristoforo Colombo non vengono realizzati, sebbene vengono finiti e venduti quasi tutti gli appartamenti. Per il dr. Saulino la EUR Servizi Terziari si è comportata correttamente e il raddoppio della via di Acilia si è arrestato solo “a seguito e per effetto del disposto sequestro preventivo” del 19 dicembre 2008. Per il dr. Saulino sulle tavole del PRG è tutto in ordine, bello disegnato, anche se non esistente e non realizzabile. Peccato che il dr. Saulino si sia interessato solo delle strade (e solo di alcune) e non degli altri servizi che rientrano nel concetto comune di ‘compatibilità urbanistica’ (scuole, fognature ecc) e che non erano previsti neppure dal Comune di Roma nella convenzione. Addirittura per il dr. Saulini non è neppure cambiato il numero di abitanti insediabili a fronte del folle frazionamento concesso dagli uffici capitolini in 1.367 unità immobiliari dalle 724 iniziali: “il numero è dato dal rapporto tra Superficie Utile Lorda ed il parametro fisso di 37,5 mq”. Come dire: poiché sono sempre 110 mila mq, non potranno esserci più di 2.933 abitanti, a prescindere da quanto siano grandi gli appartamenti. Peccato che questo non corrisponda a realtà.
Per il dr. Saulino il concetto è dunque: se il Comune di Roma ha considerato le Terrazze del Presidente parte del PRG e se ha stipulato una convenzione con EUR Servizi Terziari per realizzare la viabilità locale, c’è compatibilità urbanistica. Questo, urbanisticamente, non è così.

– Lottizzazione abusiva ma non troppo
Nella sentenza non c’è una riga spesa a rilevare i conclamati disagi della popolazione residente in tutti questi 18 anni a causa di una mancata urbanizzazione dell’area dovuta all’inserimento forzato del complesso delle Terrazze del Presidente. Non solo, ma il dr. Saulino si prodiga nel dimostrare che è una semplice scelta urbanistica del Comune di Roma e che la EUR Servizi Terziari ha fatto tutto regolarmente, a parte l’abuso di aver costruito senza concessione 110 mila mq con ricavi per la proprietà di centinaia di milioni di euro (il costo è di 5 mila euro/mq). Per il dr. Saulino quell’illecito è infatti prescritto.
E su questo punto è necessario aprire un inciso. L’illecito prescritto è quello della lottizzazione abusiva compiuta fino al 1993, descritta ai sensi dell’art.30 e sanzionata ai sensi dell’art.44 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
La lottizzazione abusiva fa parte di quei reati penali a carattere permanente e progressivo; anche la condotta successiva di esecuzione di opere di urbanizzazione o di costruzione di opere edilizie, prolunga l’evento criminoso. Un reato penale si prescrive, ma l’illecito amministrativo rimane, anche se l’abuso edilizio come tale può essere ablato o mediante sanatoria con sanzione o mediante riconduzione in pristino dello stato quo ante. Ebbene, la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, vale a dire l’estinzione del reato a seguito del trascorrere di un determinato periodo di tempo, decorre “dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione” del reato stesso. Essendo passati 15 anni dal 1993 al 2008 è vero che il reato di lottizzazione abusiva sarebbe prescrivibile se restasse limitato al 1993, ma resta il fatto che fino al 2008 le costruzioni sono state tutte terminate. E qui interviene nuovamente il dr. Saulino che non riconosce alcuna lottizazione abusiva tra il 2003 e il 2008 perché in quel periodo ci sono state regolari concessioni edilizie in sanatoria per le singole unità immobiliari. Insomma, l’abuso dei 12 palazzi rimane, il reato di lottizzazione va in prescrizione e dal 2003 i palazzi si trasformano in tante unità immobiliari che è possibile condonare, ma che devono intendersi a sé stanti rispetto al progetto lottizzatorio. Era questo proprio uno dei punti denunciati da noi nella trasmissione ‘Report’ nel maggio 2008.

– Il condono
Quindi, secondo il dr. Saulino, le Terrazze del Presidente sono compatibili urbanisticamente con il restante territorio perché inserite nel PRG del 2008 e non sono neppure una lottizzazione abusiva, nel senso che, pur senza alcuna concessione edilizia, si tratta di tante unità immobiliari singolarmente condonate. Il dr. Saulino spiega addirittura perché è stato giusto condonarle. Secondo il dr. Saulino le opere realizzate fino al 1993, cioè gli scheletri in cemento armato dei palazzoni, non dimostravano una destinazione d’uso diversa da quella residenziale. Infatti nel sopralluogo del 3 giugno 2003 (che l’accusa ritiene un falso, eseguito nella fase di istruttoria del condono in presenza di un funzionario dell’USCE, l’Ufficio Speciale Condono Edilizio del Comune di Roma), secondo il dr. Saulino, erano evidenti gli elementi caratteristici di una tipologia residenziale (forometrie per le cappe della cucina e dei servizi sanitari, spezzoni di tubi geberit) e dunque per Saulino sono la prova che la richiesta di cambio di destinazione d’uso da produttivo a residenziale era motivata. L’accusa aveva invece rilevato nel 2008, all’interno di uno dei due edifici rimasti ancora uno scheletro in cemento armato, che gli scarichi dei servizi erano posizionati in maniera casuale tanto da finire alcuni direttamente sulle scale, e dunque c’era una simulazione della natura residenziale delle opere. Da qui l’accusa di falso sia del verbale di sopralluogo che del progetto allegato nel 2003. Il dr. Saulino ha eccepito invece che non c’era alcuna evidenza che gli edifici ispezionati dai consulenti tecnici dell’accusa nel 2008 fossero gli stessi fatti oggetto del sopralluogo nel 2003, anzi quelli del 2003 erano stati, secondo lui, regolarmente completati grazie proprio alle sanatorie e il progetto post-operam ne era la prova. Resta il fatto grave che il dr. Saulino considera regolare anche l’edificio ispezionato nel 2008 e che ritiene attendibili i dati di un sopralluogo effettuato dopo 10 anni dai termini previsti per il condono (opere terminate entro il 31 dicembre 1993), quando, tra le altre cose, mai si è visto a Roma un funzionario dell’USCE prender parte a un sopralluogo per convalidarlo con la sua presenza. In questo modo, cadono, sia per prescrizione che per argomentazione, tutte le accuse di falso.

CONCLUSIONI
L’accusa ha sostenuto che non potevano essere concesse le sanatorie dal 2003 al 2008. Questo perché non solo si era concesso di trasformare uffici e negozi in abitazioni, quando le opere ferme dal 1993 testimoniavano invece che non c’era stata alcuna intenzione da parte del costruttore di cambiare la destinazione d’uso delle unità immobiliari, ma soprattutto perché fino all’adozione del nuovo PRG il 14 febbraio 2008 valeva il vecchio PRG del 1965, con il vincolo M1. In effetti non c’erano, non sono previste e non ci saranno mai tutte le opere di urbanizzazione necessarie per un simile insediamento. Scuole non ci saranno, così come lontanissimo è il raddoppio della via di Acilia ed il sottopasso della via Cristoforo Colombo. Ma intanto si continua a vendere grazie al dr. Saulino, che ha poggiato tutta la sua sentenza su ragionamenti che urbanisticamente non stanno in piedi. Noi, che abbiamo nel 2008 portato alla luce questo scandalo attraverso la trasmissione Report “I Re di Roma”, possiamo con tranquillità affermare che la sentenza del dr. Saulino non solo non stabilisce la verità dei fatti, ma nemmeno giustizia. Anzi, rappresenta la (in)degna chiusura di uno scandalo urbanistico tutto e solo italiano.

Ma si sa, l’urbanistica è morta e la giustizia non sta molto bene.

paula de jesus, urbanista, in collaborazione con LabUr

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Complanari C. Colombo: non si realizzeranno. Gli ‘escamotage’ del Comune di Roma per rendere legale ciò che è illegittimo e cementificare la città.

Le complanari della Via Cristoforo Colombo non si faranno. Le motivazioni della loro non fattibilità sono contenute proprio nell’ordinanza del Sindaco di Roma n.265 del 17 febbraio 2010, con cui si autorizzano le complanari.

Tutto ha inizio il 19 novembre 2009 con la nota n.57687 dell’Assessore alle Politiche dei LL.PP., Fabrizio Ghera, con la quale viene richiesto l’inserimento nel ‘Piano di riqualificazione delle strutture viarie e per la mobilità’ dell’intervento di ‘Realizzazione delle complanari della Via Cristoforo Colombo’, opera a cui è stato attribuito il codice di classificazione C1.1-079. Si tratta di due corsie per senso di marcia in affiancamento all’attuale Via Cristoforo Colombo per una sezione stradale di mt. 9.50 ed una lunghezza totale di circa mt. 3.800, “oltre alla riqualificazione del viadotto esistente sul Fosso di Malafede”. La realizzazione è finanziata, nel Piano degli Investimenti allegato al progetto di bilancio 2010-2012, per un importo di 16 milioni di euro tramite ‘alienazione di beni’ (codice OP1002210001).

Premesso che i fondi dovevano reperirsi già nel 2010, ma così non è stato, il problema principale è nella fonte di finanziamento, così come consentita dal Testo Unico degli Enti Locali (D.lgs. n. 267/2000), Parte II, Titolo IV, Capo I, art.199, comma 1, lettera c). L’alienazione di un bene interessa infatti il patrimonio disponibile dell’ente, in questo caso il Comune di Roma, che può essere utilizzato per la realizzazione di opere pubbliche, l’acquisizione di altro patrimonio immobiliare o la copertura di perdite di gestione delle aziende pubbliche di trasporto (ATAC). I singoli segmenti di beni in cui si può suddividere il patrimonio del Comune di Roma, sono:

1- Il patrimonio a reddito e di Edilizia Residenziale Pubblica (E.R.P.);
2- I beni ad uso istituzionale: gli edifici scolastici, i servizi e gli uffici dell’ente (centri sociali, culturali, strutture sanitarie e di assistenza, mercati, uffici centrali e sedi locali);
3- Le aree, i terreni ed il verde pubblico;

4- I beni storico artistici e del patrimonio archeologico monumentale (aree archeologiche, monumenti, musei, gallerie, teatri, edifici vincolati, ville storiche, cimiteri).

Esclusi i beni di cui ai punti 2) e 4) per ovvii motivi e i beni del punto 3) (in quanto al Comune conviene costruire sopra i propri terreni piuttosto che venderli), per finanziare tramite ‘alienazione di beni’ le complanari della Via Cristoforo Colombo, resta solo parte del punto 1). Infatti secondo il comma 5 dell’art.1 della Legge 24 dicembre 1993 n. 560, il ricavato dell’alienazione degli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica è utilizzabile esclusivamente per la realizzazione di programmi finalizzati allo sviluppo di tale settore e non per altro (le complanari della Colombo, ad esempio). In particolare con la Legge 266/2005 (Finanziaria 2006) è stato stabilito che i proventi da questo tipo di alienazione sono destinati:

a) alla realizzazione di nuovi alloggi;
b) al contenimento degli oneri dei mutui sottoscritti da giovani coppie per l’acquisto della prima casa;
c) a promuovere il recupero sociale dei quartieri degradati;
d) per le azioni in favore di famiglie in particolare stato di bisogno.

Del punto 1) restano dunque solo le unità immobiliari che non hanno finalità di edilizia residenziale pubblica, la cui alienazione però (secondo sentenza del TAR Lazio – Roma, n.10993, 8 novembre 2007) dovrebbe essere preceduta da una gara per pubblici incanti, risultando illegittimo procedere a trattativa privata. Ci sono però due ‘escamotage’ che il Comune di Roma sta percorrendo di questi tempi per rendere legale quello che è illegittimo. Uno è il meccanismo impiegato per esempio all’interno della Proposta n. 53/2011, in discussione questi giorni presso l’Assemblea Capitolina. Si tratta dell’autorizzazione all’alienazione del diritto di cubatura in capo a Roma Capitale di cui all’art. 7, comma 3 della Convenzione relativa all’ATO 110 Riserva Verde (‘Parco di Plinio’ all’Infernetto, Via Salorno).

In altre parole, accade questo. Il Comune stipula con un privato una Convenzione Urbanistica, consentendogli una maggiore edificazione concentrata in singoli comparti grazie allo strumento della compensazione edificatoria. Poi, lo stesso Comune si ritaglia su questa maggiore edificazione un diritto di cubatura, su cui si riserva di definirne le modalità di fruizione. Quindi, prima della costruzione dei singoli comparti, si vende le cubature senza alcuna trasparenza e pubblicità come invece dovrebbe essere per assicurare un maggior introito per l’amministrazione. Nel caso della convenzione ‘Parco di Plinio’ all’Infernetto, si tratta di 2.113,5 mq derivanti dalla compensazione del comprensorio E1 Monti della Caccia e di 1.733.30 mc di diritto di cubatura per il Comune di Roma, in pratica un edificio chiamato Z6 a 4 piani da edificarsi sopra i resti interrati di un acquedotto romano per la cui salvaguardia si schierò addirittura nel 2008 la Presidenza della Repubblica. In questo modo si procederà anche per la convenzione urbanistica da 200 mila mc (sempre all’Infernetto) legata al costruttore romano Sandro Parnasi, Presidente di Parsitalia, realizzatore del centro commerciale Euroma2 all’EUR, dove atterrerà la compensazione edificatoria di Monte Arsiccio.

Il secondo ‘escamotag’e è quello di legare le sorti delle complanari della via Cristoforo Colombo a quelle del fumoso e inesistente progetto del ‘Waterfront’, cioè il milione di metri cubi voluti da Alemanno sul lungomare di Ostia. E’ stato Errico Stravato, Direttore del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di Roma Capitale, a dichiarare il 15 luglio 2011 che “le complanari della via Cristoforo Colombo saranno derivate dalla valorizzazione del lungomare di Ostia”. Il meccanismo è sempre lo stesso: concedere maggiori cubature ai costruttori, riceverne parte in cambio per un finto uso pubblico per poi rivenderle prima delle edificazioni, ma le cubature in più non sono concesse dalle compensazioni edificatorie bensì da progetti strategici per opere di pubblica utilità.

Allora, perché non si faranno le complanari della via Cristoforo Colombo? Primo perché 16 milioni di euro per le sole complanari, considerando un valore ottimistico di alienazione di 2 mila euro/mq, corrispondono almeno a nuovi 25 mila mc di cemento e non sarà possibile farlo in trattativa privata. Secondo, perché il sistema di finanziamento attraverso l’alienazione di beni per la realizzazione di opere viarie non è limitato alle sole complanari, ma anche alla viabilità ancora da realizzare, tra cui l’adeguamento della Via del Mare – Via Ostiense in entrata a Ostia, per un totale generale di oltre 43 milioni di euro (altri 70 mila mc di cemento).

Fare nuove strade dunque significa portare nuovo cemento, senza mai recuperare il gap precedente. Barattare ogni km di strada con 6 mila mc di cemento è quello che vogliono i cittadini ?

paula de jesus, urbanista per LabUr

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Infernetto, centro commerciale Esselunga: non esiste alcun parere idraulico

E’ ufficiale: il Comune di Roma non ha mai consultato il Consorzio di Bonifica Tevere e Agro Romano (CBTAR) per chiedere il parere idraulico di competenza sul mega centro commerciale dell’Esselunga (oltre centomila metri cubi) che dovrebbe sorgere lungo la Via CristoforoColombo, angolo Via Canale della Lingua, località Infernetto. Lo comunica oggi via fax lo stesso CBTAR che chiede anche alla Provincia di Roma (Dip.to IV, Ser. II, Ufficio Difesa Suolo) di essere informato “su eventuali pareri rilasciati in merito all’argomento”.

Il fatto è grave perché il Comune di Roma non si è mai preoccupato dell’impatto idrogeologico in un’area fortemente a rischio, che ha visto proprio all’Infernetto la fine tragica di un uomo lo scorso 20 ottobre, malgrado da 9 anni interloquisca con la Regione Lazio su questo progetto. Mai ha coinvolto il CBTAR, nel cui Statuto (2001) sono attribuite funzioni e compiti dettati proprio dalle leggi regionali per assicurare la “elaborazione dei piani territoriali ed urbanistici”.

Ben tre Presidenti del Municipio XIII, Davide Bordoni, Paolo Orneli e oggi Giacomo Vizzani, hanno mostrato totale disinteresse verso questo cruciale passaggio amministrativo che inerisce la sicurezza e l’incolumità pubblica e privata. La Regione Lazio deve ancora pronunciarsi, ma voci di corridoio parlano di pressioni di qualche assessore al Comune di Roma perché si realizzi al più presto l’ennesimo mega centro commerciale, contraddicendo così quanto sostenuto nel 2008 dall’Assessore alle Politiche del Commercio e Sviluppo del Litorale, Davide Bordoni, che chiedeva la limitazione di nuove aperture. Siamo di fronte all’ennesimo progetto timbrato e firmato dall’Ing. Renato Papagni, che nella relazione tecnica ha dichiarato incredibilmente che“i canali (in cui sorgerà la mega struttura) appartengono al reticolo di drenaggio della bonifica di Ostia, che convoglia le acque superficiali verso il fiume Tevere”, quando invece tutti sanno che le acque vanno al mare. Questa volta sicuramente la Provincia di Roma interverrà sulla questione idrogeologica del territorio.

paula de jesus per LabUr

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FOSSO DEL FONTANILE, XIII MUNICIPIO: COMPETENZE E PROGETTI SCOMPARSI

A distanza di 2 mesi esatti dallo straripamento del Fosso del Fontanile a Punta di Malafede (Casalbernocchi, XIII Municipio) emergono due inquietanti verità: la responsabilità colposa della Regione Lazio e la carenza in fase progettuale del Comune di Roma nel realizzare l’intubamento del fosso nel tratto dell’abitato. A rimetterci, i cittadini che ancora aspettano una soluzione. I fatti.
La Regione Lazio ha disconosciuto fino al 2 dicembre 2009 la propria competenza sul Fosso del Fontanile. In realtà già da luglio 2006 l’Ufficio Extradipartimentale della Protezione Civile del Comune di Roma, in collaborazione con l’Università di Tor Vergata, aveva appurato la competenza sul fosso da parte dell’Agenzia Regionale per la Difesa del Suolo (ARDIS), sulla base del Piano Stralcio n.5 (PS5) dell’Autorità di Bacino del Fiume Tevere, nonché della Delibera della Giunta Regionale del Lazio n.238 (DGR) del 2 aprile 2004.
Ricordiamo a tal proposito che la Legge Regionale n.53 dell’11 dicembre 1998 (così come modificata dalla Legge Regionale n.2 del 6 febbraio 2003) ha stabilito per quali corsi d’acqua, naturali od artificiali, deve essere organizzato un servizio pubblico di manutenzione. Con la stessa legge e con la DGR 5079 del 12 ottobre 1999 sono poi stati stabiliti i tratti del reticolo idrografico secondario di competenza dell’ARDIS Lazio. Perché allora l’ARDIS non è intervenuta se non dal 2006 ma almeno dal 2009, dopo le esondazioni del 17 ottobre e del 13 novembre 2008, a sistemare il Fosso del Fontanile piuttosto che aprire il cantiere in somma urgenza, in ritardo, solo dopo i tragici eventi del 20 ottobre 2011? Da queste notizie emerge che il Comune di Roma non aveva dunque alcun titolo per intraprendere la sistemazione del fosso, chiudendolo dentro uno scatolato in cemento armato e per giunta partendo da valle invece che da monte. Un lavoro a metà. Non solo. Ciò che lascia perplessi è che neppure si riesce a reperire il progetto datato 2007 di sistemazione di tutta l’asta fluviale del Fosso del Fontanile, redatto dall’ex-XII Dipartimento del Comune di Roma, nella persona dell’arch. Antonio Cataldo, da cui sarebbe stato estrapolato il progetto del tratto intubato dentro l’abitato. Ad interessarsi della ricerca del ‘progetto perduto’, direttamente il Gabinetto del Sindaco nella persona del dr. Bruno Pagnozzi, considerato che l’ufficio tecnico del XIII Municipio ne risulta sprovvisto.
In tutta questa approssimazione si aggiunge poi un altro dato e cioè la competenza da parte della Provincia di Roma del tratto che dal vecchio fontanile sotto il casale l’Aretta si getta nel fosso all’altezza della prospiciente via Nora Ricci. Tutto ciò, senza contare l’acqua sversata ancora più a monte dalla condotta parallela alla via Cristoforo Colombo che parte dal Centro Idrico Acea sulla via di Acilia.
Questa la caotica situazione del regime idraulico del Fosso del Fontanile. Viene dunque da sorridere quando si legge che il Piano di Risanamento Idraulico del Municipio XIII, secondo Risorse per Roma, prevede un importo complessivo dei lavori per la realizzazione di tutti gli interventi pari a circa 644 milioni di euro.

Dott. Ing. Andrea Schiavone
Presidente

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‘Piccola Palocco’ si farà

False le dichiarazioni di questi giorni da parte di politici locali di centrodestra e di centrosinistra e di alcuni comitati di quartiere che ‘Piccola Palocco’ non si farà.
Lo aveva detto Luca Gramazio, capogruppo PdL al Comune di Roma, dopo l’espressione di parere ‘non favorevole’ del XIII Municipio sull’intervento urbanistico chiamato ‘Piccola Palocco’: “Terremo conto delle richieste dei cittadini, trovando soluzioni che garantiscano la qualità della vita dei residenti”. Ce lo ha confermato ieri anche Antonio Lucarelli, capo della segreteria di Gianni Alemanno, che sta cercando di far spostare altrove le sole compensazioni edificatorie atterrate su ‘Piccola Palocco’, nel nome di una migliore ‘trasportistica locale’.
In realtà il Comune di Roma si appresta ad assestare un doppio colpo.
Il primo: ‘Piccola Palocco’, un terreno non edificabile che diventa edificabile, ha ereditato le cubature dai terreni edificabili di Casal Giudeo e Ponte Fusano, dove si è decisa la loro non edificabilità. A ‘Piccola Palocco’ (un’area di 153.776 mq, ex zona H2 a destinazione agricola nel precedente Piano Regolatore) è stata quindi attribuita, grazie alle compensazioni, un indice di edificabilità di 0,3 mq/mq consentendo dunque costruzioni a 5 piani.
Il secondo: grazie alla Decisione di Giunta Capitolina n.93 del 16 settembre 2011 (che, in maniera molto complessa ed articolata, riscrive gli artt. 13, 52 e 53 delle Norme Tecniche di Attuazione del nuovo PRG) con il semplice rilascio del permesso di costruire, si consentirà l’edificabilità anche nelle aree ove il previgente PRG prevedeva zone agricole, con possibilità di una maggiore edificazione tramite un contributo straordinario da pagare (ancora non definito nei criteri e nelle modalità di stima del calcolo). Si dovrà soltanto dimostrare che l’area oggetto d’intervento attuativo diretto sia già servita da opere di urbanizzazione primaria, ovvero che siano previste solo piccole opere di completamento di infrastrutture esistenti. Proprio il caso di ‘Piccola Palocco’.

Dunque, se anche venissero cancellate le compensazioni edificatorie, il totale della cubatura di ‘Piccola Palocco’ sarà comunque realizzata. Restano in sospeso tutte le problematiche sollevate nei nostri precedenti articoli, disponibili sul sito di LabUr, come ad esempio l’interrogativo su come sia possibile che all’interno di un intervento strettamente privato siano inclusi terreni intestati attualmente al Comune di Roma. Parliamo della particella n.1963, foglio 1113 (poco più di un ettaro) dove è prevista la realizzazione, da parte dei privati promotori del progetto, di un palazzone a 5 piani, indicato come ZR1.

paula de jesus, urbanista, per LabUr

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Infernetto, rischio idrogeologico: una nuova minaccia dal centro commerciale sulla Colombo

Il CBTAR (Consorzio di Bonifica Tevere Agro Romano) non è mai stato consultato per imporre delle prescrizioni sul progetto del centro commerciale “Esselunga” su Via Canale della Lingua. E’ quanto è emerso dall’incontro tenutosi ieri tra LabUr e il CBTAR, oltre allo sconcerto sulla ‘Relazione Tecnica Illustrativa (elaborato B01/bis)’ che a pag. 4 riporta: “I canali sopramenzionati appartengono al reticolo di drenaggio della bonifica di Ostia, che convoglia le acque superficiali verso il fiume Tevere”. Tutti sanno che nel XIII Municipio le acque vanno invece al mare. Addirittura manca nel progetto una specifica relazione di tipo idrogeologico del centro commerciale “Esselunga”, di oltre 100 mila mc, incastonato tra le tre fasce di rispetto dello scolmatore delle acque piovane della via Cristoforo Colombo, del Fosso dei Bastioni e del Canale della Lingua. Si tratta della proposta 9D/1 dei Patti Territoriali Ostia- Fiumicino, situata nell’area verde sulla destra della via Cristoforo Colombo, prima di via Canale della Lingua procedendo verso Roma. Un’area agricola quasi al livello del mare che ha più volte cambiato destinazione urbanistica per permetterne l’edificabilità ma che tutti sanno essere soggetta a facili allagamenti, subito a ridosso delle case di via Gargiulo. Neppure è stato affrontato il problema dell’avanzamento del cuneo salino dovuto all’abbassamento delle acque di falda, nel silenzio assoluto dell’ABT (Autorità di Bacino del Fiume Tevere). Un centro commerciale che non vuole nessuno per il suo impatto sul territorio e che provocherà ulteriori problemi al già delicato equilibrio idrogeologico dell’Infernetto, un quartiere soggetto negli ultimi tempi a devastanti eventi.
Ancora riecheggiano le parole del CBTAR dopo le recenti disgrazie del 20 ottobre 2011: “Denunciamo da anni l’insufficienza del sistema idraulico di smaltimento delle acque meteoriche. Nel 2008 abbiamo addirittura presentato ricorso contro il Nuovo Piano Regolatore Generale del Comune di Roma. E’ indispensabile procedere alla ricalibratura dei canali se non vogliamo assistere a continui allagamenti e correre il rischio di nuove tragedie”.
Questo nuovo mega centro commerciale non lo vuole nessuno, né l’Associazione Commercianti di Ostia (ASCOM), né i cittadini. Ci auguriamo di non assistere nuovamente a l’ennesimo atto amministrativo da parte del Comune di Roma e della Regione Lazio, in cui non si tiene conto non solo della volontà dei cittadini e delle associazioni di categoria, ma anche della sicurezza idrogeologica e del parere del XIII Municipio. Sarebbe davvero inaccettabile.

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Radio Città Futura, 13 dicembre 2011 – Infernetto a rischio idrogeologico (intervento di: Paula de Jesus)

L’intervento di Paula de Jesus questa mattina su Radio Città Futura: “Infernetto a rischio idrogeologico” nella trasmissione “Le Strade di Roma”, un programma che va in onda dal lunedi al venerdì, dalle 10.00 alle 12.30, sulle storie che prendono forma dalla vita di tutti i giorni raccontate dai protagonisti e gli ospiti in studio, e poi dallo sguardo e dalla voce degli inviati di RCF che ogni giorno portano in giro un microfono tra i romani.

File audio a questo link Audio: http://www.labur.eu/varie/rcf14122011infernetto.mp3

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XIII Municipio, Punta di Malafede: verbale dell’incontro tecnico del 13 dicembre 2011

Oggi alle ore 10:00 presso l’ufficio tecnico del XIII Municipio si è svolto un incontro tra il responsabile Ing. Aldo Papalini e il Comitato di Quartiere Punta di Malafede assieme a LabUr, rappresentati dai rispettivi presidenti, Mauro Petrini e l’Ing. Andrea Schiavone. Argomento, i lavori di intubamento del Fosso del Fontanile eseguiti in somma urgenza dal Comune di Roma nel 2009 a seguito delle esondazioni avvenute il 17 ottobre e il 13 novembre 2008, ripetutesi con pari violenza il 20 ottobre e il 12 dicembre di quest’anno. I lavori di sistemazione del Fosso del Fontanile erano già stati previsti nel 1992 (delibera n.1117 del 21 febbraio) sotto la giunta dell’allora sindaco Franco Carraro, per un importo poco superiore ai 5 miliardi delle vecchie lire. Il progetto dell’intera asta fluviale era stato poi redatto nel 2007 dall’arch. Antonio Cataldo dell’ex-XII Dipartimento del Comune di Roma e inserito in bilancio per un importo di 4,5 milioni di euro. Il progetto, secondo l’Ing. Papalini, comprendeva l’attuale ‘scatolato’ (di dimensioni metri 2×2), con portata considerata al punto di captazione di 2,5 metri cubi/secondo. Dopo la richiesta sulla competenza o no della Regione Lazio circa il Fosso del Fontanile inoltrata dal XIII Municipio all’Agenzia Regionale per la Difesa del Suolo (ARDIS) il 25 novembre 2008, e la risposta negativa dell’ARDIS (3 dicembre 2008) i lavori furono affidati in somma urgenza all’impresa Se.Ma. srl (Via Merulana, 227 – 00185 Roma) mediante determinazione dirigenziale n. 247 del 28 gennaio 2009 emessa dal XIII Municipio, per un importo di euro 1.477.846,08. L’ultimazione dei lavori è avvenuta il giorno 8 gennaio 2010, per un importo effettivo di spesa alla data dell’8 aprile 2010 di 1.207.000 euro, di cui 1.093.000 di lavori, poi ribassati a 1.082.000. Dei lavori, esiste il solo verbale di certificata esecuzione, datato 15 aprile 2010 (prot.37133 del XIII Municipio), a firma di Walter Berruto per il XIII Municipio e Goffredo Pagnanelli per la ditta esecutrice. Dunque, nessun collaudo tecnico-amministrativo, come sarebbe stato invece necessario in quanto l’importo dei lavori risulta superiore di 82 mila euro al tetto del milione di euro. Solo il 2 dicembre 2009 l’ARDIS rivendicava la propria competenza sul Fosso del Fontanile, diffidando il XIII Municipio a compiere ulteriori lavorazioni. Ad oggi, la Procura di Roma ha aperto un fascicolo sulla questione da parte del pm Anna Maria Cordova. Nella mattinata di venerdì 16 dicembre, presso l’ufficio capitolino di Antonio Lucarelli, capo della segreteria del Sindaco Alemanno, sarà disponibile il progetto del 2007 del Fosso del Fontanile, in quanto non presente presso il XIII Municipio (ne è stata presentata una copia parziale, relativa al solo scatolato, datato 16 gennaio 2010). Dopo il sopralluogo presso via Pietrobono, l’amministrazione ha preso l’impegno di far rimuovere con urgenza la conduttura ACEA (di illuminazione stradale) che attraversa longitudinalmente il fosso ostruendo il regolare deflusso delle acque.

Comunicato Stampa congiunto CdQ Punta di Malafede e LabUr

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