Infernetto, Vigili del Fuoco: scudi umani per la speculazione

Lo ha reso noto il Direttore Regionale Lazio dei Vigili del Fuoco, Ing. M.Stocchi, il 1° Luglio 2010 (prot.10756): realizzare un distaccamento di pronto intervento all’Infernetto, su via della Cacciuta (poco prima dell’incrocio con via San Candido), serve per ‘snellire le procedure autorizzative’ al fine di ‘reperire alloggi per il personale a prezzi decisamente inferiori rispetto ai minimi di mercato’. Il documento precede di 4 mesi l’approvazione dell’intervento in Assemblea Capitolina (del. n.10 del 4 novembre 2010) e di 6 mesi l’autorizzazione ad edificare concessa il 14 gennaio 2011 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Provveditorato Interregionale alle OO.PP. per il Lazio, l’Abruzzo e la Sardegna.
Ma come è possibile far costruire 20 mila mc di cemento in un’area agricola supervincolata a livello paesaggistico e a forte rischio idrogeologico per la presenza di canali di bonifica? In maniera molto semplice, spacciando per “opera pubblica di interesse nazionale” la realizzazione di una “sede di pronto intervento” dei Vigili del Fuoco di appena 100 mq su un unico livello. Un trucco per costruire tre edifici, a ridosso della pineta di Castel Fusano, destinati a 70 alloggi di civile abitazione per il personale dipendente dei Vigili del Fuoco in servizio nella Regione Lazio. Importo complessivo dei lavori 7.100.000 euro. Durata de lavori, 760 giorni. Acquisto, in diritto di superficie della durata di 150 anni.
Lo consente l’art. 3 del DPR n.384/94: quando l’unica localizzazione possibile di un’opera pubblica, ritenuta di interesse nazionale, non può rispettare i piani urbanistici ed edilizi vigenti, si convoca un’apposita conferenza di servizi che, approvando all’unanimità il progetto, si sostituisce ad ogni effetto agli atti di intesa, ai pareri, alle concessioni, anche edilizie, alle autorizzazioni, alle approvazioni, ai nulla osta, previsti da leggi statali e regionali. Peccato però che il modesto distaccamento dell’Infernetto, di dubbio interesse nazionale, abbia finito per non rispettare quanto previsto dalla Legge n.109 dell’11 febbraio 1994, in termini di mancata programmazione dell’opera e di mancato recupero dell’esistente patrimonio pubblico (art.14).
Non solo, ma la Legge n.109, che non è annullata dal DPR n.384/94, ha un principio generale inderogabile (art. 1): in attuazione dell’art. 97 della Costituzione l’attività amministrativa in materia di opere e lavori pubblici deve garantirne la qualità ed uniformarsi a criteri di efficienza e di efficacia, secondo procedure improntate a tempestività, trasparenza e correttezza, nel rispetto del diritto comunitario e della libera concorrenza tra gli operatori. Ed invece così non è stato.
A realizzare i lavori sarà la Immobiliare Argo 2008 srl, proprietaria dei terreni, che, in assenza di concorrenza e dunque di possibili migliori condizioni per l’erario pubblico, l’11 gennaio 2010 ha stipulato una convenzione con il Ministero dell’Interno – Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile del Lazio.
In quella data, cioè un anno prima dell’autorizzazione a costruire, i giochi erano dunque fatti, rendendo solo formali le successive espressioni di parere del Comune di Roma e del Ministero delle Infrastrutture, tanto che le ‘manifestazioni d’interesse all’acquisto’ del personale dipendente dei Vigili del Fuoco del Lazio si sono già iniziate a raccogliere dal 9 settembre 2010.
A dare il colpo di grazia alla trasparenza amministrativa dell’operazione, il cambio di proprietà dell’Immobiliare Argo 2008 srl avvenuto l’8 giugno 2011, 5 mesi dopo l’autorizzazione a costruire, 3 mesi prima dall’inizio dei lavori (7 novembre 2011) e a sondaggi archeologici conclusi. Insomma, una compravendita a rischio zero.
A subentrare a Stefano Pizzicannella (precedente proprietario e oggi progettista delle strutture da realizzare), due note società: la Tordivalle Costruzioni Spa e la S.A.I.S.E.B. Spa, entrambe al 50%. E’ soprattutto la seconda ad aver fatto parlare di sé. Fondata nel 1929, con sede a Roma, si è sempre occupata di appalti nei lavori pubblici, di strade, dighe e bonifiche tanto che tra il 1969 e il 1970, cioè negli anni immediatamente successivi al sisma che devastò la valle del Belice, ha avuto in appalto per decine di miliardi i lavori di costruzione delle infrastrutture, sia nella zona di Garcia sia nella valle del Belice. Da quella data, la S.A.I.S.E.B. Spa ha radicato le sue attività in Sicilia, tanto che il suo nome è in una informativa dei ROS inviata, in data 16 febbraio 1991, all’allora Procuratore aggiunto della Repubblica di Palermo, dottor Giovanni Falcone, all’interno di un quadro complesso di legami tra imprenditoria e mafia.
La S.A.I.S.E.B. Spa non ha mai avuto problemi con la giustizia, così come non ha mai denunciato minacce e ritorsioni in ambienti difficili come la Sicilia o durante gli appalti in Campania dopo il terremoto degli anni ’80. E’ invece entrata in contenzioso quest’anno con i comuni di Castelvetrano (3 milioni di euro) e soprattutto Licata (quasi 8 milioni di euro) per lavori protrattisi troppo a lungo o mai finiti, risalenti a 20 anni fa.
Nel caso dei Vigili del Fuoco all’Infernetto, oltre ai problemi sopra esposti, rimane grave il fatto che il Dipartimento di Urbanistica del Comune di Roma non abbia ancora effettuato i conteggi degli oneri concessori che la Immobiliare Argo 2008 srl (cioè, la Tordivalle Costruzioni Spa e la S.A.I.S.E.B. Spa) deve pagare, stimati in circa 1 milione di euro. Il timore è che si ripetano situazioni anomale. All’Infernetto si è finora costruito prima di aver realizzato le opere di urbanizzazione: in un’area pregiata come quella in questione, già violentata da una dubbia interpretazione della legge, sarebbe inammissibile il ripetersi anche di tale negligenza.

Paula de Jesus – Urbanista per LabUr

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Assemblea pubblica: Grandi eventi e crisi

Assemblea pubblica
Grandi eventi e crisi
Roma, mercoledì 22 febbraio 2012, ore 16
Con Pietro Mennea, autore del libro I costi delle Olimpiadi
da Atene, Dimitra Siatitsa – Inura
Sala conferenze Esquilino, via Galilei 53 (metro Manzoni)

Monti ha bocciato Alemanno. Noi bocciamo entrambi. E con loro Pescante, Carraro, Montezemolo, Caltagirone, Della Valle, Marcegaglia, Regina, Malagò, De Laurentiis, Elkann.

Non abbiamo mai considerato Roma 2020 un’opportunità per la città. Il premier Monti si è invece limitato ad un no motivato unicamente dalla crisi economica. Dal governo, nessun riferimento al sistema dei grandi eventi a giustificazione delle grandi opere. Nessun richiamo al lavoro del comitato olimpico. Nessuna analisi delle opere proposte da Alemanno.

L’assemblea pubblica dal titolo “Grandi eventi e crisi” si pone l’obiettivo di discutere nel merito non solo di Roma 2020 e del “sistema olimpiadi”, ma dei Global events come unica via di uscita dalla crisi e unica strada per il disegno delle città.

Bocciata l’operazione Roma 2020, Alemanno rilancia il progetto Millennium. È la prova che le Olimpiadi non erano altro che lo strumento scelto per perseguire gli obiettivi del Piano strategico di sviluppo presentato un anno fa agli Stati generali della città, dove è nata l’operazione bipartisan “Roma 2020”.

Per questo chiamiamo la città e gli organi di informazione all’assemblea pubblica alla quale interverranno: Pietro Mennea, recordman olimpionico e autore del libro “I costi delle Olimpiadi”; Dimitra Siatitsa, INURA (International network for urban research and action) da Atene; Paolo Berdini (urbanista); Ferdinando Imposimato (giudice); Marcel Vuplis (Sporteconomy); Paula De Jesus (urbanista); Irene Di Noto (Metropoliz); Ylenia Sina (giornalista); Stefano Pedica (Idv); Andrea Catarci (pres. XI Municipio, Sel); Fabio Alberti (Fds)

Game Over

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Piazza Pulita e gli sprechi Olimpici

Abbiamo ripercorso insieme a Francesca Biagiotti per Piazza Pulita andato in onda il 17 febbraio scorso su La7, la storia degli impianti pubblici sorti per i mondiali di nuoto Roma 2009.

E si scopre che “Qui è tutto collaudato”. Lo affermava davanti alle telecamere, Giuseppe Castellucci, direttore del Polo Natatorio di Ostia, impianto pubblico ad oggi ancora non terminato, sorto per i Mondiali di Nuoto di Roma ’09. L’ennesima e nuova versione di Castellucci: “L’impianto è stato collaudato circa 8 mesi fa”, cioè intorno a giugno 2011. Ma forse non è ancora la verità. A noi risulta infatti che presso il Polo Natatorio di Ostia, negli scorsi giorni, si sono tenuti dei collaudi non meglio specificati. A condurli, l’Ing. Eugenio Cimino, lo stesso consulente pagato a peso d’oro (350 mila euro) per l’impiantistica meccanica della Scuola dei Marescialli a Firenze, su cui hanno indagato i magistrati all’interno dello scandalo degli appalti della famigerata «cricca». Ci domandiamo a questo punto, visto che i corsi aperti al pubblico sono iniziati già ad ottobre 2010, se tutto fosse in regola a quel tempo. La Procura di Roma, che, dopo un nostro esposto, oggi sta indagando sull’impianto di Ostia con il PM Anna Maria Cordova, aveva però insabbiato un altro nostro precedente esposto del 2010: nulla si è infatti mai saputo da parte del PM Maria Letizia Golfieri. Sembra dunque non aver mai fine la serie di scandali di questo impianto, inaugurato da Alemanno a luglio 2009 ma ancora mezzo chiuso per l’inagibilità della foresteria e dei parcheggi, dati quest’estate in concessione allo stabilimento balneare “Le Dune” della famiglia Papagni. Un impianto per il quale in data 30 aprile 2009 il Commissario Delegato Ing. Claudio Rinaldi aveva presentato al Comitato Provinciale del CONI la richiesta di parere tecnico favorevole, indicando una spesa complessiva di 26 milioni di euro (prot.nr.1028). Peccato però che il 13 Luglio 2009 all’impresa esecutrice dei lavori venisse invece riconosciuto un ammontare dei lavori eseguiti pari a 12,6 milioni di euro (UCD prot.n.18705). A chi sono finiti allora gli altri 13,4 milioni di euro? Solo la necessaria trasparenza amministrativa e la pubblica evidenza del collaudo tecnico-amministrativo, potranno fare chiarezza sulla questione. Per questo motivo abbiamo chiesto al Comune di Roma, alla FIN e agli Uffici del Commissario Delegato di rispondere sullo stato dei collaudi e delle omologazioni delle piscine del Polo Natatorio di Ostia, visto che non ci saranno più i soldi delle Olimpiadi del 2020 per completarne i lavori mancanti.

SPRECHI OLIMPICI – Il Link al pezzo andato in onda su La7

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Ostia, Polo Natatorio: il balletto dei collaudi mentre la Procura indaga

“Qui è tutto collaudato”. Lo affermava davanti alle telecamere il 7 febbraio 2010, Giuseppe Castellucci, direttore del Polo Natatorio di Ostia, impianto pubblico ad oggi ancora non terminato, sorto per i Mondiali di Nuoto di Roma ’09. Ieri, davanti alle telecamere della trasmissione Piazza Pulita dell’emittente televisiva La7, la nuova versione di Castellucci: “L’impianto è stato collaudato circa 8 mesi fa”, cioè intorno a giugno 2011. Ma forse non è ancora la verità. A noi risulta infatti che presso il Polo Natatorio di Ostia, negli scorsi giorni, si sono tenuti dei collaudi non meglio specificati. A condurli, l’Ing. Eugenio Cimino, lo stesso consulente pagato a peso d’oro (350 mila euro) per l’impiantistica meccanica della Scuola dei Marescialli a Firenze, su cui hanno indagato i magistrati all’interno dello scandalo degli appalti della famigerata «cricca». Ci domandiamo a questo punto, visto che i corsi aperti al pubblico sono iniziati già ad ottobre 2010, se tutto fosse in regola a quel tempo. La Procura di Roma, che, dopo un nostro esposto, oggi sta indagando sull’impianto di Ostia con il PM Anna Maria Cordova, aveva però insabbiato un altro nostro precedente esposto del 2010: nulla si è infatti mai saputo da parte del PM Maria Letizia Golfieri. Sembra dunque non aver mai fine la serie di scandali di questo impianto, inaugurato da Alemanno a luglio 2009 ma ancora mezzo chiuso per l’inagibilità della foresteria e dei parcheggi, dati quest’estate in concessione allo stabilimento balneare “Le Dune” della famiglia Papagni. Un impianto per il quale in data 30 aprile 2009 il Commissario Delegato Ing. Claudio Rinaldi aveva presentato al Comitato Provinciale del CONI la richiesta di parere tecnico favorevole, indicando una spesa complessiva di 26 milioni di euro (prot.nr.1028). Peccato però che il 13 Luglio 2009 all’impresa esecutrice dei lavori venisse invece riconosciuto un ammontare dei lavori eseguiti pari a 12,6 milioni di euro (UCD prot.n.18705). A chi sono finiti allora gli altri 13,4 milioni di euro? Solo la necessaria trasparenza amministrativa e la pubblica evidenza del collaudo tecnico-amministrativo, potranno fare chiarezza sulla questione. Per questo motivo abbiamo chiesto al Comune di Roma, alla FIN e agli Uffici del Commissario Delegato di rispondere sullo stato dei collaudi e delle omologazioni delle piscine del Polo Natatorio di Ostia, visto che non ci saranno più i soldi delle Olimpiadi del 2020 per completarne i lavori mancanti.

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Olimpiadi Roma 2020, perché dire no

Mercoledì 22 febbraio si terrà a Roma l’assemblea pubblica “Olimpiadi? No grazie”, un’iniziativa che si inserisce nella scia del percorso di Roma bene comune verso la costituzione di un coordinamento No Olympic games.All’assemblea parteciperanno l’avv. Pietro Mennea, recordman olimpionico e autore del libro “I Costi delle Olimpiadi,” movimenti per il diritto all’abitare, urbanisti, economisti, giornalisti, esponenti della società civile e delle forze politiche impegnate nel lavoro di vigilanza, inchiesta e denuncia sui grandi eventi e le grandi opere a loro connesse.Dopo i Mondiali di Calcio del 1990 e quelli di Nuoto del 2009, Roma non ha bisogno di un altro grande evento fallimentare. Il nostro non è un attacco alle Olimpiadi ma a Roma 2020 e al modello di “governance “dei Grandi eventi: la Commissione di compatibilità economica, presieduta da Marco Fortis, afferma infatti che le Olimpiadi porterebbero a una crescita del Pil italiano dell’1,4%, ipotizzando un impegno economico per le casse pubbliche di 8,2 miliardi di euro, di cui 2,5 per l’organizzazione, 2,8 per le infrastrutture olimpiche e 2,8 per infrastrutture di trasporti, mobilità e progetti urbani.La storia delle Olimpiadi a costo zero, però, non convince: degli 8,2 miliardi previsti per Roma 2020, infatti, l’unico project financing atteso è quello “del mattone” per il villaggio olimpico. Un business di 1,2miliardi di euro che porterà alla cementificazione dell’area di Tor di Quinto. Per il resto, sarà il pubblico a metter mano al portafogli.La spesa pubblica per Roma 2020 implicherà una riduzione della spesa in altri settori: ad essere tagliate temiamo saranno le spese meno efficienti in termini di moltiplicatore del reddito, alias i servizi ai cittadini.E guardando a quanto già avvenuto in passato in Europa, in Italia e a Roma non può che esplodere la rabbia: le Olimpiadi invernali di Torino del 2006 hanno lasciato la città sommersa da debiti, con un deficit di 28 milioni in capo al Comitato organizzatore. Le Olimpiadi di Atene 2004 hanno prodotto un buco di 20 miliardi di euro. Venendo a Roma, come non ricordare opere come la ristrutturazione dello Stadio Olimpico per Italia ’90, costata 225 miliardi di lire a fronte di una previsione di 80, con un incremento dei costi del 181,3%. Anche allora a capo delle operazioni c’erano i vari Pescante, Carraro e Montezemolo.Nel 2009 Roma è stata scenario dello scandalo dei Mondiali di Nuoto: 54,7 milioni di euro il costo della manifestazione; 900 circa i milioni spesi in tutto; 16,8 il debito certificato in capo al Comitato promotore. E, ciliegina sulla torta, una grande opera – la Città dello Sport di Tor Vergata – ancora oggi in costruzione: 60 milioni di euro il costo iniziale, 200 i milioni già spesi, 500 quelli che da progetto Roma 2020 serviranno per completare l’opera in tempo per le Olimpiadi.Quando un Comitato organizzatore come quello di Roma 2020, poi, afferma che i giochi olimpici saranno “un acceleratore del Piano per lo Sviluppo Strategico 2010-2020” c’è solo da preoccuparsi. A Roma infatti per le Olimpiadi manca tutto anche se il Comitato dichiara che, su 42 impianti di gara, ben 33 sono esistenti. In realtà, nel conteggio ci sono dieci stadi di calcio (comprese le altre città: Milano, Torino, Napoli etc.), i due scheletri di Tor Vergata, sei padiglioni da allestire alla Fiera di Roma più un velodromo inesistente e, dulcis in fundo, il mare, il porto di Ostia, il laghetto dell’EUR e l’immarcescibile Piazza di Siena per l’equitazione. Il resto, sono i residuati delle Olimpiadi del 1960, tra cui il Palasport all’EUR e il Foro Italico (ma solo per il nuoto, perché il tennis finirà a Tor di Quinto, da realizzarsi nel 2018). Non si spiegherebbe neppure il beach volley al Circo Massimo e non sulla spiaggia di Ostia: ma si sa, i balneari vanno tutelati e in stagione estiva ogni mq di sabbia vale oro.Del resto Roma non ha mai avuto la cultura dello sport, visto che non ha neanche un Assessorato dedicato. Si resta dunque basiti dal fatto che sono già stati individuati anche i 105 impianti per gli allenamenti. Quali? Sicuramente quelli sorti per i Mondiali di Nuoto del 2009, tutti più o meno abusivi, che potranno così riscattare la propria immagine. Perché il problema delle Olimpiadi a Roma sarà proprio quello del non rispetto delle leggi urbanistiche. Basti pensare che a nord, il Parco Olimpico, del quale il nuovo Parco Fluviale del Tevere costituirà l’ossatura e l’elemento di connessione tra le sue diverse componenti, comprenderà l’area di Tor di Quinto con il Villaggio Olimpico da 18mila posti. Analogamente a Saxa Rubra, sorgerà il Villaggio Media, che ospiterà 5mila tra giornalisti e operatori televisivi. Entrambi, sul fiume, rispetteranno i vincoli imposti dall’Autorità del Bacino Fiume Tevere, tutelando l’ambiente fluviale? Fa sorridere dunque l’affermazione contenuta nel dossier che tutte le nuove costruzioni saranno ecocompatibili. Premesso poi che a livello sportivo di nuovo ci sarà soltanto il campo di canottaggio a Settebagni, sarà ecocompatibile anche il piano della ricettività che prevede nelle zone di Monte Mario e Prati di trasformare importanti caserme in alberghi?Per tutti questi fattori, non possiamo fare altro che aprire un dibattito in città – a partire dall’assemblea del 22 febbraio – sulla compatibilità economica, ambientale ed etica di Roma 2020. Un confronto non simbolico, urgente e finalizzato alla costituzione di uno strumento capace di opporsi alla folle logica del grande evento risolutore di una crisi economica connaturata ad un modello di sviluppo in grado di produrre solo consumo di suolo, profitti per pochi e devastazione del territorio.X Roma Bene Comune – Olympic Games? No thanks

Roma, 13 febbraio 2012
Info: 3494663558- 3208878231

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INFERNETTO, ALLAGAMENTI: PRONTI ALLE DENUNCE

Denunceremo gli enti competenti per la manutenzione del Canale di Palocco e quelli preposti alla garanzia della pubblica e privata incolumità, se entro martedì prossimo, 7 febbraio 2012, non riceveremo risposta alla nostra denuncia contro ignoti del 31 ottobre 2011 relativa al fatto che l’argine in sponda sinistra del Canale di Palocco risulta essere di ben 2 metri più basso dell’argine in sponda destra nel tratto compreso tra via Ettore Pinelli e viale di Castel Porziano. Siamo inoltre allibiti dall’incompetenza del XIII Municipio che “per consentire gli eventuali soccorsi” nell’area sopra indicata, dove morì annegato il 20 ottobre il cittadino cingalese Earnest Saranga Perera, ha approvato il progetto per l’apertura di una nuova strada nel limitrofo Parco di via Orazio Vecchi. Come dire: continuate ad allagarvi che cercheremo di salvarvi. Ricordiamo che l’area in questione, via Domenico Alaleona e strade adiacenti, è regolarmente urbanizzata e risulta all’interno del Piano Particolareggiato dell’Infernetto, datato 1994 e mai attuato. Nel piano, le strade sono a norma e consentirebbero il passaggio in ogni situazione dei mezzi di servizio, nella realtà invece ciò non è così. Perché spendere soldi pubblici per un’opera che non risolve il problema? Infatti la causa degli allagamenti in quell’area, oltre agli argini ribassati del Canale Palocco, è costituita dal reflusso del Canale Palocco nell’influente L, parallelo a via Domenico Alaleona. Creare una nuova strada di collegamento, come naturale proseguimento di via Cortopassi, tra via Alaleona e via Vecchi, significherebbe solo far sversare le acque anche al di qua del parco. L’autorizzazione all’apertura della nuova strada, ironia della sorte, dovrebbe poi passare per mano dell’Ing. Tonino Egiddi, Responsabile del procedimento del Piano Particolareggiato dell’Infernetto, lo stesso che è Responsabile del procedimento del Patto Territoriale di Ostia. L’Ing. Egiddi, che dal 1994 lascia in sospeso l’attuazione dell’urbanizazione dell’Infernetto, ha invece autorizzato la relazione tecnica del mega centro commerciale dell’Esselunga, poco distante dalla strada in questione, avallando la ‘teoria’ che la rete dei canali di bonifica del XIII Municipio sversa nel Tevere, invece che a mare come è in realtà. Insomma, non abbiamo dubbi che la nuova strada si farà perché secondo l’Ing. Egiddi il problema dell’allagamento non c’è: in quel punto infatti l’acqua va in senso opposto. Questa è la triste realtà della conoscenza idrogeologica del XIII Municipio da parte degli uffici del Comune.

nella foto: estratto del Piano Particolareggiato con indicazione delle sezioni stradali, dei canali, dello sbancamento degli argini (in giallo) e dell’area dove morì il giovane cingalese (in rosso)

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INFERNETTO, CENTRO COMMERCIALE ESSELUNGA: ESPOSTO IN PROCURA

Si è tenuta il 2 febbraio 2012 nell’aula del XIII Municipio una seduta della Commissione Attività Produttive incentrata sul previsto centro commerciale Esselunga all’Infernetto. Assenti gli uffici del Comune di Roma, l’Assessore Comunale all’Urbanistica, Corsini, e l’Assessore Comunale alle Attività Produttive, Bordoni. A LabUr, in qualità di consulente dell’ASCOM ConfCommercio Roma-Litorale, è spettata l’illustrazione tecnica del progetto, approdato in Regione Lazio. Tre i punti trattati: valutazioni approssimative sulle questioni del rischio idrogeologico e idrico, nonchè della viabilità e del rispetto degli standard urbanistici; irregolarità sull’iter burocratico, essendo saltata ogni forma di partecipazione e di pubblicazione; esposto presentato da LabUr alla Procura di Roma sulla regolarità del subentro come proponente di Esselunga SpA rispetto alla Lazio Consulting srl. L’esposto, che chiede una serie di accertamenti compresi eventuali delitti di pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, è riportato qui di seguito.
La Commissione ha votato all’unanimità parere contrario al progetto del centro commerciale.

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Roma, 01 febbraio 2012
ESPOSTO

Oggetto: Patto Territoriale di Ostia – Centro Commerciale Esselunga, località Infernetto (RM)
Il “Laboratorio di Urbanistica – LabUr”, nella persona del Presidente dr. Ing. Andrea Schiavone,
ESPONE I FATTI DI SEGUITO RIPORTATI
Il Patto Territoriale di Ostia, promosso dalla Regione Lazio con L.R. 14 del 18/05/1998, aveva l’obiettivo di valorizzare, attraverso la raccolta di proposte finanziarie, l’attuale XIII Municipio. Dei 162 progetti preliminari presentati, con la deliberazione di C.C. n° 116/07 sono stati ritenuti ammissibili sotto il profilo urbanistico 64 proposte delle quali 33 hanno confermato l’interesse a proseguire. Solo 21 progetti definitivi sono stati oggetto di istruttoria in Conferenza dei Servizi (CdS) le cui conclusioni sono state recepite con D.D. n°35/2010. Tra questi progetti definitivi, risulta la proposta ‘9D/1 – Progetto Centro Commerciale in località Infernetto’ della Esselunga SpA, presentata con prot. n.15463 del 10/07/2008. La stessa proposta era stata già presentata dalla Lazio Consulting srl (prot. n.3673 del 26/03/2002). Non sono chiari i passaggi con cui la Esselunga SpA sia potuta subentrare al di fuori della delibera di C.C. n° 116/07.
PREMESSO
– che nel ‘Programma degli interventi ritenuti ammissibili, sotto il profilo urbanistico, al patto territoriale di Ostia ‘ (delibera del Consiglio Comunale di Roma, n.116 del 18/06/2007) per la proposta 9D/1 risulta proponente la Lazio Consulting srl (prot. n.3673 del 26/03/2002) e non la Esselunga SpA e che la proposta fu ammessa con riserva;
– che la Lazio Consulting srl si è costituita il 10/03/1998, ha presentato la proposta del centro commerciale il 26/03/2002 e dal 6/04/2002 è divenuta proprietà della inglese “D Construction Ltd” (socio unico);
– che il 24/07/2002 è stata costituita la Lunghezza Immobiliare srl, di proprietà della lussemburghese Polired S.A., che ha acquistato 5 giorni dopo la Lazio Consulting srl;
– che in breve tempo è avvenuto lo scioglimento e la liquidazione di tutte le società finora citate: prima la Lazio Consulting srl (30/09/2002), poi la Lunghezza Immobiliare srl (22/12/2004) e per ultimo la Polired S.A. (7/01/2010);
– che non sono chiari i motivi per cui sia stato possibile inserire la proposta della Lazio Consulting srl nella delibera del 2007 tra quelle favorevoli seppur con riserva, essendo già la Lazio Consulting srl una società inattiva da 5 anni;
– che il terreno oggetto della proposta misura 12 ettari, all’angolo tra la via Cristoforo Colombo e via Canale della Lingua (Infernetto);
– che il 10/07/2008 la Esselunga SpA ha presentato la proposta 9D/1 alla CdS interna del Comune di Roma con prot. n.15463;
– che in data 11/07/2008 le tre particelle di cui si compone il terreno venivano assunte essere dal Comune di Roma di proprietà della IAM srl (Immobiliare Alba Mediterranea), cioè della famiglia Loconte di Ostia (prot. n.QF15620, ex-Dip.to VI, X U.O.);
– che il 25/09/2008 la IAM srl veniva ceduta all’Esselunga SpA;
– che la cessione della IAM srl all’Esselunga SpA è avvenuta a un prezzo ragguardevole, tanto da chiedersi se la motivazione di questa supervalutazione delle quote societarie sia legata o a un possibile trasferimento di terreni potenzialmente fruttiferi o a qualche operazione inerente alla futura destinazione di questi ultimi;
– che nell’atto di compravendita, oltre alla cessione di quote tra i Loconte e la Esselunga SpA, risulta anche una lunga serie di estinzioni di ‘pegni’ tra i Loconte e la Passirio srl, la cui attività è cessata il 1/12/2009 per fusione mediante incorporazione in Esselunga SpA;
– che dalle visure catastali almeno dal 30/01/2008 fino ad oggi, la proprietà del terreno non risulta essere della IAM srl ma della ‘Società Etablissement Egidia’, che risulterebbe avere sede legale nel Liechtenstein;
– che nel bilancio della IAM srl al 31/12/2010, deliberato il 4/03/2011, nulla si evince sulla effettiva proprietà di alcun terreno e che all’interno del bilancio (‘Nota Integrativa’) si afferma anche che la società non ha partecipazioni in imprese controllate e collegate e che sta solo “completando l’iter urbanistico relativo alla trasformazione dell’area nell’ambito dei patti territoriali”;
CHIEDE
1. Di accertare come mai il Comune di Roma abbia indicato nei documenti ufficiali del 4/04/2011 che la proprietaria dell’area è la IAM srl (cioè la Esselunga SpA) e non la ‘Società Etablissement Egidia’, genericamente indicata come ‘ditta’ (Elaborato C11 Bis – Planimetria Catastale e Proprietà, Comune di Roma, Dip,to Programmazione e Attuazione Urbanistica, Dir. Progr.ne e Pianificazione del Territorio, prot. n.QF8503 del 28/04/2011).
2. Quali legami esistono tra la ‘Società Etablissement Egidia’, la IAM srl, la Lazio Consulting srl e la Esselunga SpA tali da consentire alla Esselunga SpA di subentrare alla Lazio Consulting srl addirittura prima della compravendita della IAM srl.
3. Di accertare se esistano gli estremi di delitti di pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione per quanto sopra esposto, avendo anche il Comune di Roma richiesto alla Regione Lazio un finanziamento di 24.567.648,11 di euro.
CHIEDE
altresì, a norma degli artt. 90, 406 e 408 c.p.p., di essere sentito per fornire elementi di prova nonché di essere informato dell’eventuale richiesta di proroga delle indagini preliminari e/o dell’eventuale richiesta di archiviazione della presente istanza.
Con osservanza,

“Laboratorio di Urbanistica – LabUr”
dr. Ing. Andrea Schiavone Il Presidente

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OSTIA, PONTE DELLA SCAFA – IL COMUNE SMENTISCE SE STESSO: “NON SERVE”

Da una parte i lavori del nuovo Ponte della Scafa fermi per mancanza di soldi, dall’altra 6,3 milioni di euro buttati via per un progetto, finanziato dall’Unione Europea, che doveva definire un modello di mobilità sostenibile dell’intero quadrante a sud-ovest di Roma ma che non ha preso in considerazione proprio il nuovo Ponte della Scafa. Questa la follia della giunta di Alemanno.
Cominciamo dal progetto del nuovo Ponte della Scafa, un progetto che dovrà esser rimodulato a seguito dei ritrovamenti archeologici (2 navi romane, un molo e reperti vari) e che risulta essere ancora aggiudicato in modalità provvisoria a causa dei contenziosi sorti sugli espropri da eseguire. Questa la triste realtà dell’appalto del nuovo Ponte della Scafa, aggiudicato il 23 dicembre 2010 per 25.566.591 euro, con un ribasso del 18,9% sull’importo a base d’asta (31.524.773,12 euro). Dietro l’aggiudicataria, il costituendo R.T.I. Consorzio Stabile SINERCOS, con il Consorzio Stabile CO.I.R.ES. e la I.A.B. S.p.A., nomi come Eugenio Batelli, presidente dell’Acer (Associazione dei Costruttori Edili Romani) e Alessandro Cremonesi, figlio di Giancarlo, presidente di Acea e della Camera di Commercio. In sostanza, non ci sono i soldi nè per continuare i sondaggi archeologici, nè per gli espropri e tantomeno per i lavori, visto che l’appalto è finanziato parte con mutuo, parte con contributo della Regione Lazio, parte con contributo dello Stato, parte con linea di credito, parte con entrate Bucalossi e parte con avanzo di amministrazione. Un ponte che si poteva raddoppiare, invece di farne uno nuovo, spendendo un quinto dell’importo oggi previsto. Un ponte che non è la sola causa del traffico mattutino e serale verso e da l’Aeroporto di Fiumicino. Un ponte che diventa ‘strozzatura’ per le inconcepibili immissioni alle sue estremità dalle strade laterali e che invece potrebbe essere fluidificato in maniera molto semplice. Un ponte voluto per servire ai futuri porti di Ostia (ampliamento, 600 posti barca) e di Fiumicino (1.400 posti barca).
In tutto questo, nel 2010, si è inserito un progetto per l’analisi e l’evoluzione della domanda di trasporto e dei possibili scenari infrastrutturali del quadrante sud-ovest del Comune di Roma, in funzione dell’Aeroporto “Leonardo da Vinci” all’orizzonte temporale della candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020. Un progetto coordinato da un gruppo di lavoro costituito dall’ANAS (Direzione Centrale Progettazione, Servizio Pianificazione Trasportistica), dall’AEROPORTI DI ROMA S.p.A. (Direzione Infrastrutture), da RFI S.p.A. (Direzione Commerciale ed Esercizio Rete) e dal Comune di Roma (Roma Servizi per la Mobilità s.r.l., Pianificazione, Progettazione ed Innovazione della Mobilità). Lo studio e il progetto sono stati completati a fine 2011 e dovrebbero essere consegnati alla UE per marzo 2012. Le attività dello studio si quantificano in circa 6,3 milioni di euro, di cui 3,15 finanziate nel Programma TEN-T/EA (Trans European Network-Transport / Executive Agency, Decisione 2008-IT-91409-S), gli altri 3,15 dagli ‘action promoters’. Peccato che del progetto non si sappia più nulla e che addirittura il sito web ad esso dedicato risulti non più consultabile. Insomma, più di 6 milioni di euro sprecati per dire che il Ponte della Scafa non serve alla mobilità locale, spostandosi l’asse sul sistema ad alta capacità Acilia-Fiumicino.
I dati che da esso si ricavano, sono i seguenti.
Nell’ora di punta del mattino giungono in aeroporto 11.800 persone, calcolati su ogni via di collegamento all’aeroporto (treno, autostrada, etc.): 8.500 addetti (72%) e 3.300 passeggeri (28%). Di questi, dall’indagine effettuata presso l’aeroporto, si evince che dal XIII Municipio, cioè dal Ponte della Scafa, giungono solo 275 addetti (Infernetto 34, Aciia 68, Ostia 173). Possono questi creare traffico? O qualcuno ci racconterà che il blocco sul Ponte della Scafa è dovuto al fatto che tutti gli abitanti del XIII Municipio prendono l’aereo ogni mattina? Altro dato interessante è che da qui al 2020 l’incremento previsto sarà del 56%, pari a 13.200 addetti e 4.600 passeggeri, ancora non tale da giustificare il nuovo Ponte della Scafa. Aggiungiamo anche che il target per la ripartizione modale per la modalità pubblico (treno, cotral, corridoio provinciale e sistema TPL ad alta capacità), confermato dalle analisi modellistiche condotte, è del 50%. Di quali macchine sul Ponte della Scafa stiamo dunque parlando? Oltre ai futuri porti, oltre all’aeroporto Leonardo Da Vinci, il vero problema sono in realtà le nuove funzioni terziarie/direzionali della Nuova Fiera di Roma, del Polo Terziario “Parco dei Medici” e di Commercity, dell’interporto della Cargo City dell’aeroporto e quelle miste residenziali/commerciali, tra le quali “Parco Leonardo”, e molte altre ancora, ivi incluso l’aumento esponenziale delle dimensioni dei centri abitati dell’area. E’ di questi giorni, per esempio, l’ipotesi di declassare l’attuale rischio idrogeologico R4 (il massimo) sull’Isola Sacra per consentire maggiore espansione edilizia.
Allora, due conclusioni, che emergono dallo studio di sopra. Primo, il nuovo Ponte della Scafa servirà per giustificare con la sua realizzazione la speculazione edilizia dei prossimi anni nel Comune di Fiumicino, fino ad oggi cavalcata dall’attuale sindaco Mario Canapini e già impostata, fino a Maccarese, dal prossimo probabile sindaco, Esterino Montino. Secondo, il traffico mattutino e serale sul Ponte della Scafa non è dovuto all’aeroporto ma alla scellerata edificazione degli ultimi anni avvenuta nel Comune di Fiumicino e alla mancata realizzazione di un adeguato trasporto pubblico locale. Come risolvere allora il problema attuale del traffico sul Ponte della Scafa? Con soluzioni semplici: raddoppio del ponte attuale, sistemazione degli svincoli in testa al ponte, mano nel portafoglio del Comune di Fiumicino per imporre una risoluzione alla pessima viabilità locale, a partire dall’incrocio con via Trincea delle Frasche. Solo dopo questi interventi si potrà parlare di nuove edificazioni e di nuovi porti. Fino ad allora, si stanno solo buttando via soldi pubblici.

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Infernetto, Esselunga: quali prospettive di lavoro?

Il progetto del centro commerciale Esselunga è all’interno dei c.d. Patti Territoriali di Ostia-Fiumicino, nati con l’obiettivo di dare impulso allo “sviluppo di un territorio che sappia valorizzare, tutelando, il ricco patrimonio storico e ambientale professionale ed umano, riqualificando e rilanciando i motori dell’economia locale e la vocazione naturale dell’area incentrata sullo sviluppo di un turismo sostenibile”.

A prescindere dal fatto che si tratta di una mega struttura di 100 mila mc in area a rischio idrogeologico (che ha visto la morte di un uomo dopo gli allagamenti del 20 ottobre scorso), rimane un mistero come possa rientrare nel quadro del Patto Territoriale questo centro commerciale. Per altro, rimangono anche poco chiari i benefici in termini occupazionali e di ricchezza diffusa, uno dei requisiti del Patto Territoriale.

Ricordiamo a tutti coloro che appoggiano il progetto del centro commerciale Esselunga all’Infernetto, in nome dell’occupazione, che da 3 mesi è in atto un presidio permanente da parte delle tre cooperative dei reparti di macelleria e ortofrutta contro la Safra, il consorzio che gestisce le tre cooperative in servizio ai magazzini di Limito di Pioltello, il cuore pulsante dell’intero sistema Esselunga. La battaglia riguarda le condizioni di lavoro definite “disumane”, in cui gli operai vengono “vessati ed intimiditi”. “Spostare 1.400 scatole in sei ore vuol dire avere 15 secondi per ognuna. Basta una pausa in bagno più lunga del solito e manchi l’obiettivo. Il capo ti punisce. “Domani non presentarti al lavoro”, ordina. E quel giorno rimani senza paga”. Questo raccontano gli operai. A questo si aggiungerebbe lo sfruttamento di manodopera a basso costo che spesso non conosce nemmeno la lingua italiana, disponibile “a spostare 18 bancali in un’ora” e non sono mancati gli incidenti sul lavoro. L’azienda, denunciano i Cobas, ha “comportamenti antisindacali costringendo a firmare un impegno a non scioperare”. Quello che si svolge, secondo i Sindacati, nella dura realtà dei magazzini di Pioltello è un altro film, completamente diverso da “Il Mago di Esselunga” girato da Giuseppe Tornatore e distribuito in questi giorni nel XIII Municipio. Denunciano che siamo di fronte ad un film che narra di come le finte cooperative che operano in Esselunga organizzano centinaia di lavoratori immigrati secondo un sistema di interposizione illecita di manodopera. Un mondo fatto di condizioni di lavoro miserevoli, di fatiche, di sfruttamento, di ricatti, di umiliazioni e maltrattamenti continui, di diritti negati, di contratti sistematicamente violati, di ritmi di lavoro insopportabili (imposti nel totale disprezzo delle norme sulla salute e sicurezza), di salari che si riducono ad ogni rinnovo di appalto e di contratto.

Altro che mago, qui viene solo il magone!

paula de jesus per LabUr

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INFERNETTO, PARCO DI PLINIO: IL COMUNE RINUNCIA ALL’EMERGENZA ABITATIVA

Assente quasi tutto il PD, presente tutto il PdL, il 16 gennaio passa in Campidoglio l’ennesimo sfregio urbanistico per il quartiere Infernetto. Il Comune di Roma ha infatti deliberato di alienare alla ridicola somma di 389.108,52 euro il proprio diritto di cubatura relativo all’ATO I10 Riserva Verde, meglio conosciuto in zona come ‘Parco di Plinio’. In pratica 541,6 mq, pari a 1.733 mc, verranno posti a base d’asta a soli 224,49 euro/mq che, aggiunti ai circa 1.200 euro/mq per la costruzione e paragonati agli oltre 4 mila euro/mq di prezzo di vendita nella zona, frutteranno all’acquirente un guadagno totale di oltre 2.500 euro/mq e una perdita di centinaia di migliaia di euro per il Comune.

Ma vediamo bene il diabolico meccanismo. Il 2 aprile 2008 viene sottoscritta una convenzione urbanistica (‘Parco di Plinio’, località Infernetto) tra il Comune di Roma e due società, la SPQR 2000T srl e la Zio Sam srl, per costruire 27.049 mc (8.452,8125 mq). All’interno della convenzione viene compresa anche parte della compensazione edificatoria del Comprensorio E1 Monti della Caccia, un’area sulla Pontina alle spalle della tenuta di Castelporziano, a ridosso di Trigoria. Lì non si può più costruire e le cubature vengono spostate all’Infernetto. In pratica, oltre ai 27.049 mc previsti arrivano altri 5.029 mc di cemento. Ma non basta. Si aggiunge il 15% delle cubature provenienti dai Monti della Caccia e il 10% della convenzione, ottenendo così altri 1.733 mc da cedere al Comune di Roma per l’emergenza abitativa (affitti a canone concordato per un periodo di 8 anni). In totale ci sono dunque 33.811 mc, corrispondenti a 10.566 mq, suddivisi in più comparti edilizi. In uno di questi, lo Z6, si concentra tutta la cubatura derivante dalla compensazione edificatoria dei Monti della Caccia e dalle quote per l’emergenza abitativa, la prima di proprietà dei costruttori, la seconda del Comune di Roma. Non solo, ma poiché questa cubatura eccedente deve essere posizionata senza alterare la distribuzione degli altri edifici, si finisce per progettare lo Z6 sopra i resti di un acquedotto romano che solo l’intervento della Presidenza della Repubblica, sollecitato dai cittadini, riesce a salvare. Si arriva dunque ad oggi, con tutti gli edifici terminati o in fase di completamento, meno lo Z6. Centinaia di unità immobiliari vendute dai privati ma di quelle per l’emergenza abitativa neanche l’ombra.

Il 16 gennaio 2012, con la delibera nr.4 dell’Assemblea Capitolina, il Comune di Roma decide di mettere all’asta le sue cubature, ancora non realizzate (senza precisare quando lo farà), rinunciando anche alla loro destinazione per l’emergenza abitativa “in attesa degli indirizzi da parte del Comune in merito al loro utilizzo”. Queste le motivazioni di tale scelta: impossibilità di realizzare le cubature su aree di proprietà comunale, in un edificio autonomo o nel comparto Z6 per “difficoltà nella partecipazione economica e gestionale diretta all’edificazione dell’immobile”. Il Comune ha anche scartato l’ipotesi di permutare il proprio diritto edificatorio con abitazioni di pari valore da destinare all’edilizia economica e popolare e all’emergenza abitativa, “in quanto la proprietà da destinare ad emergenza abitativa in una palazzina residenziale di nuova costruzione implicherebbe alti oneri condominiali”.

Eppure tutta la convenzione urbanistica era nata per reperire, concedendo maggiori cubature ai costruttori, alloggi per l’emergenza abitativa, ciascuno mediamente di 62 mq. Inoltre tutti sapevano che questi alloggi dovevano essere realizzati nell’edificio Z6. Perché allora questa marcia indietro? Perché il Comune rimanda a data da destinarsi un proprio diritto, svendendo i suoi mc? L’impressione è che per salvare l’acquedotto romano si dovranno sacrificare alcune cubature del piano terra, che verrà realizzato come un piano “pilotis”. Dunque l’operazione di spostare altrove le cubature destinate all’emergenza abitativa consentirà di non intaccare gli interessi dei costruttori, rimanendo inalterate le loro cubature. Ma questa non è urbanistica: sono affari edilizi.

Dr. Ing. Andrea Schiavone – Presidente

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