DA OSTIA A CASTELPORZIANO, UN MARE DI ‘MAFIA CAPITALE’

Un Comune, quello di Roma, stravolto da ‘mafia capitale’ interviene in nome della legalità presso uno dei suoi 15 Municipi, quello di Ostia, disciolto per ‘mafia capitale’. A gestire semplici operazioni anti-abusivismo, l’Assessore alla Legalità del Comune di Roma, Alfonso Sabella, coinvolto nello scandalo delle torture a Genova durante il G8 (Sabella era il responsabile della caserma di Bolzaneto). Il luogo, lo stesso in cui, per la stagione balneare 2014, alla cooperativa “29 giugno” di Buzzi (amico dell’ex-presidente del Municipio di Ostia, Andrea Tassone, nonché braccio destro di Carminati) è stato affidato il servizio di pulizia e manutenzione della spiaggia alla modica cifra di 236.860,56 euro, senza gara. Senza parlare della grottesca questione dell’apertura dei varchi a mare. Interventi straordinari, spettacolari che dimostrano davanti alle telecamere l’incapacità amministrativa di una Giunta Comunale che dovrebbe invece ricorrere con più modestia a quanto già previsto per legge.

I ‘CHIOSCHI’ DI CASTELPORZIANO
Sono più comunemente noti come i “cancelli” di Ostia, distribuiti lungo una spiaggia di 1,6 km che nel 1967 il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat donò al Comune di Roma, parte della tenuta presidenziale di Castelporziano, perché fosse gestita come spiaggia libera, con il vincolo di «mantenervi un complesso balneare pubblico ad uso gratuito», con la presenza di «cinque punti mobili di ristoro». Fu l’allora Ente Comunale di Consumo a installare sulla spiaggia le strutture mobili, che però ben presto si trasformarono in punti vendita all’interno di strutture in muratura di proprietà del Comune, affidate in gestione a privati. Nel 1990, con il fallimento dell’Ente Comunale di Consumo, i privati divennero veri e propri
concessionari del Comune. Solo nel 2002 però il Campidoglio ha siglato una convenzione con questi ultimi, riuniti nel consorzio “Castelporziano 98”. L’accordo, valido per dodici anni e scaduto lo scorso 14 agosto, prevedeva l’obbligo di versare oneri per un totale di 43 mila euro l’anno, di tenere pulita la spiaggia, di garantirne la sorveglianza, e vietava qualunque ampliamento delle strutture.
Così non è stato: le strutture si sono ampliate in maniera abusiva ma tollerate da sempre dal Comune di Roma, tanto che solo dopo ripetute segnalazioni da parte della Procura di Roma il Municipio di Ostia è stato costretto ad emettere una determinazione dirigenziale di demolizione e sgombero delle “superfetazioni e ampliamenti esterni realizzati abusivamente dell’arenile di Castelporziano”, per una spesa di oltre 130 mila euro. Anche qui, molta negligenza da parte del Municipio di Ostia. Il 28 aprile 2013 il sequestro dei chioschi da parte della Capitaneria di Porto di Roma, le ingiunzioni di demolizione notificate solo il 19 marzo 2014, fino ad arrivare al sollecito della Procura l’11 febbraio 2015 e alla demolizione dei chioschi del 1° e 6° cancello il 14 aprile 2015. Il tutto, inserito nel caos di ricorsi al TAR (che ritardano la demolizione degli altri chioschi) e per ultimo, il colpo di scena durante la demolizione del chiosco del 6° cancello: l’arrivo del fax da parte del Consiglio di Stato in cui si comunicava ad un frettoloso Comune di Roma l’esistenza di una sospensiva di carattere tecnico. Ma ormai i danni erano stati fatti.
Tutto ciò avrebbe avuto anche un senso se il Comune di Roma avesse dato seguito alle convenzioni e ai pareri espressi ripetutamente sul piano di demolizione e riqualificazione dei punti ristoro. A marzo 2005, la Regione Lazio, il Ministero dell’Ambiente e il Comune di Roma espressero infatti parere favorevole alla ricostruzione «di cinque nuclei di 300 metri quadrati ciascuno, coerenti con le norme igienico-sanitarie ed edilizie che regolano le attività di somministrazione e di ristorazione». Ma non se ne è fatto nulla sempre per inerzia e negligenza del Comune di Roma.
Proprio su quella gestione ora, oltre a un’inchiesta penale in corso, rischia di abbattersi la scure della magistratura contabile.
La Procura della Corte dei Conti del Lazio ha inviato una decina di inviti a dedurre per dirigenti e direttori che tra il 2003 e il 2012 si sono succeduti al tredicesimo (oggi decimo) municipio capitolino, quello di Ostia. I magistrati contabili contestano un danno erariale complessivo di 300 mila euro: l’equivalente degli oneri che i concessionari dei cinque punti di ristoro previsti ai “cancelli” di Ostia non avrebbero versato nelle casse pubbliche malgrado l’accordo con il Comune di Roma per l’affidamento del servizio lo prevedesse espressamente. Oneri non pagati perché, secondo l’accusa della Corte dei Conti, nessuno dal municipio competente si sarebbe sognato di riscuoterli, tranne che in un singolo anno, il 2008.
Va ricordato infine che, prima dello scioglimento del Municipio, il direttore che ha permesso per due stagioni il mantenimento di tale situazione, era sempre quel Claudio Saccotelli, già direttore del Municipio da luglio 2002 a luglio 2008. Non ha visto niente prima, non ha visto niente dopo.

I ‘VARCHI’ A MARE
Sul litorale romano mancano varchi, accessi carrabili e zone d’ombra sulla spiaggia. Ciascuna voce ha significato proprio anche se il Comune di Roma fa di tutto per creare confusione. A fare chiarezza è la legge 27 dicembre 2006, n. 296, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006 – Supplemento ordinario n. 244. Ci sono due precisi commi che definiscono la questione di ‘accesso’ al mare:

– il comma 251, che sostituisce il comma 1 dell’articolo 3 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, alla cui lettera e) si legge quanto segue: “obbligo per i titolari delle concessioni [demaniali marittime] di consentire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione”;
– il comma 254, che così recita: “le regioni, nel predisporre i piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, sentiti i comuni interessati, devono altresì individuare un corretto equilibrio tra le aree concesse a soggetti privati e gli arenili liberamente fruibili; devono inoltre individuare le modalità e la collocazione dei varchi necessari al fine di consentire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione”.

Dunque, una cosa è il diritto di accesso e transito “libero e gratuito” al mare, un’altra cosa è come realizzarlo all’interno di quello che si definisce Piano di Utilizzazione dell’Arenile (PUA), una sorta di piano regolatore urbanistico delle spiagge che ogni regione e comune costiero dovrebbe avere. Roma non ce l’ha e forse non ce l’avrà mai perché se c’è stata negligenza ed inerzia per i ‘chioschi’ di Castelporziano, figuriamoci per tutto quello che si è costruito sul lungomare, dalla foce del Tevere fino a Capocotta. I ‘varchi’, come oggi la propaganda mariniana e sabelliana amano chiamare, cosa sono? Passaggi pedonali per i bagnanti, passaggi carrabili per le operazioni dei mezzi di soccorso, corridoi di visibilità del mare? Il Comune di Roma non lo sa e li apre senza alcun criterio, senza alcun strumento urbanistico che li disciplini, svincolandosi di fatto da quanto previsto dalla legge: i varchi devono essere parte del PUA, altrimenti, per raggiungere il mare, basta tenere aperto il cancello del singolo stabilimento con orari e modalità definite dall’ordinanza che il sindaco emette ogni anno ad inizio della stagione balneare. In altre parole, aprire così i varchi è illegittimo e non serve a nulla perché non assolve ad alcuna funzione se non quella demagogica, favorendo gli interessi di quei balneari che continuano a tenere i propri cancelli d’ingresso interdetti al libero passaggio. Imbarazzante poi venire a scoprire che l’unico pseudo-varco ad oggi completato, il passaggio pedonale accanto allo stabilimento Battistini, è costato quasi 40mila euro, senza gara, con un affidamento diretto, per opere che forse sarebbero costate un terzo.

LE AUTORITA’ COMPETENTI
In questo clima di approssimazione normativa, troviamo davanti alle telecamere lo schieramento dei commissari PD (Orfini, quello di Roma, Esposito, quello di Ostia) che sembrano dettare la linea politica a un sindaco sempre più spaesato e un delegato del litorale, Sabella, che cerca di riscattare la sua immagine dopo esser caduto nella bufera delle torture del G8. Anche il comandante dei vigili urbani, Antonio Di Maggio, ancora non ufficializzato in sostituzione del precedente, Roberto Stefano, è un pesce fuor d’acqua ed è noto ad Ostia per aver condotto le operazioni della scandalosa demolizione parziale dell’Idroscalo, autorizzata da una finta ordinanza di protezione civile firmata da Alemanno. Del Municipio, nessuno, perché ancora nessuno si è insediato. Assente anche l’assessore all’Urbanistica, Caudo, troppo concentrato sule vicende dello stadio della Roma e non su quelle del Piano di Utilizzazione dell’Arenile. Questa è legalità amministrativa?

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“Roma è tutta Roma”, ma de che ?!

Il 16 marzo scorso l’annuncio “Roma è tutta Roma”: centinaia di progetti e lavori con tanto di partecipazione dei cittadini e mappa interattiva. Tra questi progetti 14 piazze saranno pedonalizzate con i sanpietrini rimossi dalle strade del centro destinate alla viabilità. E tra queste 14 piazze, quella di San Pier Damiani nel quartiere di Casal Bernocchi del Municipio X.

Un attento cittadino, che di partecipazione se ne intende, scrive al Presidente del Municipio “Piazza San Pier Damiani a Casal Bernocchi è già composta da sanpietrini….quello che servirebbe è pedonalizzarla per restituirla alla cittadinanza visto che ormai di fatto è un parcheggio di scambio per la vicina fermata del treno….”
Gli amministratori dunque a Piazza San Pier Damiani non hanno mai messo piede, però l’hanno inclusa nelle piazze da pedonalizzare con i sanpietrini e sorge spontanea la domanda se i sanpietrini esistenti saranno tolti per far posto a quelli del centro, e spediti poi con la Roma-Lido a Piramide, o se resteranno quelli esistenti e la piazza verrà comunque pedonalizzata secondo il progetto previsto dai cittadini da anni. Non è dato da sapere. La partecipazione dunque è iniziata col piede sbagliato.

L’idea di rimuovere i sanpietrini torna come un mantra, attraverso ipotesi e teorie le più infondate.
E’ dal 1585 che vengono utilizzati nella Capitale. Nel 1927 oltre la metà delle strade di Roma era lastricata in sampietrini. I sanpietrini (i “selci” estratti dalle cave poste ai piedi dei Colli Albani e delle zone vulcaniche del viterbese e dunque non quello scadente proveniente dai paesi asiatici)
reggono il peso del traffico veicolare pesante, non trasmettono ai palazzi le vibrazioni dovute al traffico veicolare pesante, non si riempiono prima di buche rispetto a quelle in asfalto e sono meno dannosi per la salute dell’asfalto.
Dunque il sanpietrino, “faccia orizzontale” della città, così come le facciate degli edifici storici, va tutelato come un bene storico ed architettonico, come già previsto dalle disposizioni della legge n. 1089 del 1939 che prevedevano, fra l’altro, la conservazione nei centri storici delle pavimentazioni originarie, ai sensi del D.L.vo n. 42 del 22 gennaio 2004 (Codice dei Beni culturali e del paesaggio).

Parlare poi, come ha fatto il Sindaco Marino, di un passaggio epocale, “da aree marginali a nuove centralità” è stupefacente. Addirittura prefigura un “assetto urbano policentrico”, centralità che “per molti anni sono state penalizzate da disattenzione”, per cui “non sono state distribuite le risorse necessarie per i servizi essenziali: manto stradale, marciapiedi, luoghi di socializzazione”, restituendo così “dignità a milioni di persone”, facendo “di ogni luogo un piccolo centro”.
La propaganda si appropria di termini urbanistici per operazioni di maquillage. Echi di microcampanilismo si avvertono nell’aria. Dopo l’applicazione del modello insediativo americano dell’espansione senza fine, spacciato a Roma per “policentrismo”, che prevedeva appunto nuove centralità, cioè una colata indecente di cemento, siamo alla mistificazione della parole.
Citare le centralità piace sempre a chi governa la Capitale. Anche ora, come ai tempi di Rutelli e Veltroni, si è sbandierato di voler portare qualità nelle anonime periferie romane attraverso le “centralità” e i servizi essenziali, che Marino indica in: manto stradale, marciapiedi, luoghi di socializzazione. Siamo all’Urbanistica cacio e pepe.
Da anni chiediamo che ci sia un progetto pubblico lungimirante, in grado realmente di riqualificare la città, di interpretare i bisogni e costruire le condizioni per rispondere a questi bisogni, nonostante i danari in cassa non siano molti, e questo non passa per lo spostamento dei sanpietrini dal centro in periferia, magari in piazze in cui esistono già. I progetti dal basso dei cittadini romani sanno fare di meglio, anche perché molti di loro conoscono chi sia stato e cosa abbia rappresentato per Roma Nicola Zabaglia.

paula de jesus per LabUr

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STADIO DELLA ROMA: DENUNCIATO IL COMUNE DI ROMA

Il Comune di Roma è stato denunciato. Avrebbe commesso, nell’iter procedimentale sul nuovo Stadio della Roma, gravi delitti contro la fede pubblica, in particolare quelli previsti dall’art.479 (Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici) e dall’art.480 (Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative) del codice penale. Non si tratta più dunque di un esposto, ma di una denuncia/querela che il 12 marzo scorso l’Avv. Savino Guglielmi, incaricato da LabUr, ha depositato presso il Tribunale Ordinario di Roma (Ricezione primi Atti, n.72607). Ora sarà la giustizia ordinaria a valutare se poteva il Comune di Roma procedere nella dichiarazione di pubblico interesse ai sensi della lettera a), comma 304, art.1 della legge n.147/2013, meglio conosciuta come ‘Legge sugli Stadi’. Il termine dei 90 giorni, entro cui doveva il Comune esprimere il pubblico interesse, non è stato rispettato, sia nel caso della delibera di Assemblea Capitolina n.132 del 22 dicembre 2014, sia nel caso della dichiarazione a mezzo stampa della Giunta Capitolina in data 5 settembre 2014. La proposta di realizzare il nuovo Stadio della Roma in località Tor di Valle è stata infatti presentata dalla Eurnova s.r.l. al Comune di Roma in data 29 maggio 2014 con protocollo n.82424. A nulla è valsa l’ostruzione del Comune di Roma di non far pubblicare presso l’Albo Pretorio la delibera. Dopo numerose richieste di Accesso Civico da parte di LabUr e la conseguente pubblicazione, si è finalmente potuto procedere per vie legali contro quella che a tutti gli effetti è una pura e semplice speculazione edilizia.


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TUTTE CASE E CHIESE … E POMPE DI BENZINA

Strade con negozi chiusi, rotaie senza treni, pompe di benzina senza auto attorno, locali senza avventori, teatri senza pubblico, sale di attesa deserte. Solitudine, luoghi solitari, persone che sembrano non poter comunicare fra loro, vuoto, abbandono, estraneità, separazione. Edward Hopper, pittore di culto del 900, ha dipinto così l’America degli anni ’40 e ’50.
Europa, 2015. Nelle periferie urbane della Capitale d’Italia si costruiscono quartieri, che sono in realtà delle vere e proprie cittadine di oltre 40.000 abitanti, sprovviste di quasi tutto, tranne che di case, chiese e ora anche di pompe di benzina. E’ il caso ad esempio del quartiere denominato Infernetto, dove manca quasi tutto (scuole, marciapiedi, biblioteca, cinema, un circolo giovanile, una sala riunione, strutture di servizio sociale, presidi sanitari, posto di polizia). L’unica piazza è ovviamente quella della nuova chiesa di San Tommaso, una delle tre chiese del quartiere, che offre a pagamento i propri spazi per le riunioni dei cittadini. D’altronde gli enti religiosi hanno ottenuto qualche anno fa l’ennesimo privilegio, cioè la possibilità di edificare, nei dintorni di chiese e luoghi di culto, anche uffici, case e centri commerciali, in deroga al piano regolatore.
Dopo le case, dopo le chiese, è la volta delle pompe di benzina. In una delle uniche 3 uscite del popoloso quartiere, quella di W. Ferrari, nascerà la terza pompa di benzina all’angolo con la C. Colombo. Evidentemente non bastavano le due della Esso e tutte le altre presenti sulla Colombo. Dirimpetto ecco spuntare la terza, la conferma che la visione di chi amministra la città è come sempre autocentrica.
Il perfetto automobilista risparmierà pochi centesimi al litro mentre è in fila all’incrocio e molto probabilmente il perfetto automobilista, già stressato di prima mattina, attuerà la scelta furbetta di imboccare la scorciatoia che offre la pompa di benzina per bypassare il traffico e bruciare il pieno di benzina a prezzo scontato lungo il tragitto di 40 km, tra andata e ritorno da casa a lavoro. D’altronde cosa dovrebbe fare il perfetto automobilista? Quasi tutto è lontano da casa e dunque il pieno a buon prezzo conviene, peccato poi bruciare non solo la benzina, ma anche il risparmio della liberalizzazione per raggiungere magari il fine settimana i centri commerciali che distano ad almeno 20km di distanza. E intanto la pompa di benzina ha bruciato anche lei, non benzina, ma suolo. Perché non vale solo per le case e le chiese, ma anche per le pompe di benzina ed in particolare quella che presto sorgerà sui prati pronti di Bindi, i prati più belli d’Italia, presenti negli stadi della serie A più importanti e nei campi da golf.

Se Hopper ci ha fornito una lettura del rapporto tra l’uomo e i luoghi, noi oggi rileviamo tristemente che prosegue inarrestabile la demenza autocentrica e la concentrazione di asfalto. Le pedonalizzazioni vengono trasferite a 15km dalle migliaia di case, proliferano case, chiese e pompe di benzina, in assenza di un trasporto pubblico degno di questo nome con corsie dedicate, di car-sharing , car-pooling e byke-sharing. Cioè, abitare la geografia del nulla.
E se il pulsante dell’ispirazione di Hopper era lo sguardo di profonda e assorta aspettativa, un lento ma profondo ritmo di ascolto e di tensione, a noi non ci rimane che ascoltare la voce dell’uomo del bangladesh che ci chiede “quanto metto?” e mentre ci fa il pieno possiamo sempre sgranocchiare e berci qualcosa al distributore automatico. All inclusive.


paula de jesus per LabUr

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LO STADIO DELLA ROMA E IL “NIGHTMARE BREAKFAST”

A Milano, presso la Camera di Commercio Statunitense in Italia, durante un Power Breakfast, James Pallotta, conosciuto negli Stati Uniti come il maestro dei fondi di investimento, ha detto chiaramente che cerca finanziatori e li cerca dovunque, tra gli autotrasportatori e tra gli intrattenitori, tra i consulenti finanziari e tra i gestori di carte di credito. Purché siano giganteschi. Gli servono soprattutto per finanziare la costruzione dello stadio con il contorno di opere pubbliche e aree commerciali. Un’impresa da almeno 700 milioni di euro, forse anche un miliardo. E chi c’era ad ascoltarlo a parte il Console Americano? I vertici di Coca- Cola Italia, Ibm Italia, Carlsberg Italia, Walt Disney Italia, Brooks Brothers, United Venture, Ups Italia, Dhl Express Italy, Banca Popolare di Milano, Italtel, American Express, Amway Italia. Tutto questo mentre in Tribunale si teneva la nuova udienza per il fallimento della Sais, che ha venduto l’area del futuro impianto di Parnasi, lo Stadio della Roma a Tor di Valle ancora in tribunale.
Più che un Power Breakfast, è stato un Nightmare Breakfast perché l’operazione rischia di saltare e chissà se Pallota glielo ha detto ai Big presenti a Milano. Nel frattempo però si è già votato in Consiglio Comunale l’interesse pubblico dell’opera per accedere alla procedura semplificata che la legge sugli stadi consente, in assenza di proposta e contro ogni principio di cautela.
Poi si passerà a discutere del progetto, delle varianti al Piano Regolatore, degli espropri, delle finte opere pubbliche. Insomma, per ora il nulla di fatto. Il Comune ha riconosciuto che la proposta (non il progetto) di Parnasi ha un interesse pubblico (molto discutibile). Ora si dovrà discutere delle opere di pubblica utilità con i conseguenti espropri.

Che cosa sta accadendo in Tribunale?
Come ci informa RomaPost, si tratta della seconda udienza relativa al fallimento della Sais, società di Gaetano e Antonio Papalia, che ha venduto alla Eurnova di Luca Parnasi gran parte dell’area dove dovrebbe sorgere il nuovo stadio della Roma a Tor di Valle. L’udienza assume un’importanza particolare perché il fallimento della Sais, in base all’articolo 67 della legge fallimentare, potrebbe portare come estrema conseguenza anche all’annullamento della vendita (per 42 milioni) a Parnasi del terreno di Tor di Valle, con effetti disastrosi per il progetto del nuovo stadio giallorosso, che salterebbe o, nella migliore delle ipotesi, accumulerebbe ritardi di anni. Altra eventualità è lo scioglimento del contratto, anch’essa dannosa per l’operazione, prevista dall’articolo 72 della legge fallimentare.
Richieste dei creditori per una somma di 18 più 35 milioni. La prima udienza, il 10 dicembre scorso, è stata fermata da un’eccezione pregiudiziale presentata dai legali di Anna Maria Papalia, che oltre a essere uno degli azionisti proprietari della Sais, è anche tra i due maggiori creditori (l’altro è Equitalia, che chiede 9 milioni di euro). I creditori privilegiati, tra i quali ci sono la Banca di Credito Cooperativo e la Cassa di Risparmio di Rieti, chiedono 18 milioni di euro alla Sais mentre i creditori chirografari ne vorrebbero 35. Di contro il curatore fallimentare ha proposto 14 milioni per i creditori privilegiati e soltanto un milione e mezzo per gli altri creditori della società dei Papalia. La decisione finale spetterà al giudice Umberto Gentili. Sono 69 in totale i soggetti che chiedono soldi alla Sais. Il magistrato dovrà anche valutare se il prezzo di vendita di 42 milioni per Tor di Valle sia congruo e se le garanzie di Parnasi, che finora non hanno convinto (mancano le fideiussioni bancarie), tutelino i creditori della Sais. In caso di annullamento della cessione a Parnasi, il terreno sarà venduto all’asta fallimentare. Sulla vicenda della vendita e del fallimento sta indagando da alcuni mesi anche la procura di Roma.

paula de jesus per USARoma1.0

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IL “MALORE ATTIVO” DEL PONTE DELLA SCAFA

Già nel novembre 2013 il nuovo Ponte della Scafa veniva definito l’ultimo grande pasticcio della Capitale guidata da Alemanno. Gli uffici del Comune furono infatti chiamati ad esprimere un parere nel contenzioso di fronte al TAR del Lazio-Roma, bocciando i progetti dell’aggiudicataria e della seconda classificata nella gara d’appalto, contraddicendo se stessi a distanza di due anni. La commissione (composta da soli 3 membri anziché 5) aveva infatti assegnato l’opera al consorzio Sinercos (capofila la Italia Costruzioni di Claudio Navarra) il cui progetto però non rispettava (così come quello della seconda classificata, la ICS Grandi Lavori di Claudio Salini) le prescrizioni inserite nel bando avendo stravolto il progetto iniziale del Prof. Remo Calzona e adottato dal Dipartimento Sviluppo Infrastrutture. Le irregolarità erano diverse, la più preoccupante il fatto che l’opera mettesse “i piedi in acqua” (cantiere realizzato nell’alveo del Tevere, direttamente sul sedime fluviale all’interno degli argini, contravvenendo gli avvertimenti dell’Autorità di bacino e dell’Ardis che avevano espressamente messo in guardia sui pericoli legati alle piene del Tevere). La questione era che quello progettato era sì un ponte, ma non il ponte del bando di gara.

Tralasciando che la situazione presso il TAR del Lazio si fosse poi complicata con vicende di cronaca giudiziaria legate a Claudio Salini, il Consiglio di Stato, Sez. V, nell’udienza pubblica del 29 aprile 2014, ha pronunciato la decisione n.4578 (poi depositata in segreteria il 9 settembre 2014) per la riforma della sentenza sempre del TAR del Lazio–Roma, Sez. II, n. 10491 del 5 dicembre 2013, concernente l’affidamento dell’appalto per la progettazione e l’esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione del nuovo “Ponte della Scafa” (e relativa viabilità di collegamento), sentenza con la quale, in pratica, si rimetteva in discussione tutto il progetto.

Ebbene, la decisione del Consiglio di Stato, che tocca anche punti tecnicamente sensibili, focalizzandosi sulla distinzione tra migliorie, varianti, varianti migliorative, totale variante, è giunta a dire che la serie di incoerenze e difformità rispetto al capitolato d’appalto del progetto della Sinercos non modificano la “concezione strutturale globale dell’opera, la concezione estetica e l’inserimento nel contesto paesistico”. Tradotto, un ponte è un ponte.
Perché dunque non hanno indetto sin dall’inizio una gara con procedura aperta per l’appalto di progettazione visto che le prescrizioni sono solo quelle generiche, sopracitate dal Consiglio di Stato?
La decisione del Consiglio di Stato ricorda quella tristemente nota di Gerardo D’Ambrosio in cui citava il “malore attivo”, lo stesso che evidentemente colpisce il Ponte della Scafa. Qualcuno presenta un progetto di un ponte differente dal capitolato, che dovrebbe dunque morire, per altro un ponte che lui non avrebbe disegnato se avesse potuto liberamente scegliere quale ponte fare, ma alla fine qualcuno dice che il suo ponte va bene perché è un ponte.
Alcune certezze. Si sono spesi tempo e soldi pubblici per qualcosa che non sarà “un segno moderno ad una cultura ingegneristica millenaria”, come disse nel 2011 il Prof. Remo Calzona , né tanto meno l’opera viaria più maestosa degli ultimi decenni che collegherà Ostia a Fiumicino. Solo il “malore attivo” di un ponte, quello della Scafa, che costerà oltre 32 milioni di euro e che non risolverà alcun problema di viabilità e mobilità dell’area.


paula de jesus per LabUr

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OSTIA: L’EROSIONE QUESTA SCONOSCIUTA

L’erosione è un termine abusato sul litorale romano. Una grande confusione tra arenile, linea di costa, spiaggia emersa e sommersa. Milioni di euro buttati via da oltre 50 anni per non risolvere il problema ma per farne fonte di guadagno, spesso illecito ed illegale. Quattro appuntamenti, cadenzati, per spiegare cosa sta accadendo e per fornire informazioni che nessuno racconta. Si parte dal Pontile della vittoria, davanti a Piazza dei Ravennati, fino alla spiaggia antistante la ex-colonia marina Vittorio Emanuele III. Gli altri tre appuntamenti riguarderanno le aree del Porto di Ostia, del Canale dei Pescatori e delle spiagge di Ostia levante.

appuntamento: Pontile della Vittoria, davanti a Piazza dei Ravennati (map)
orario: domenica 11 gennaio 2015, dalle ore 10:00 alle ore 12.00
prenotazione: info@labur.eu
costo: 5 euro, gratis under 18
percorso: consigliato abbigliamento sportivo

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MUNICIPIO X, TASSONE: RECORD DI IRREGOLARITA’

(foto del 17 dicembre 2014)

Qualcuno aveva definito l’attuale giunta del X Municipio “la miglior amministrazione mai vista“. Forse era solo un problema di collirio, perché oltre alle imbarazzanti intercettazioni telefoniche raccolte dalle indagini su ‘Mafia Capitale’ (in cui compare più volte il nome del presidente del X Municipio, Andrea Tassone), esiste una serie di irregolarità amministrative impressionanti. Tutti hanno rivolto l’attenzione al problema dell’affidamento delle spiagge, al pessimo rifacimento dei manti stradali, all’assenza di decoro urbano, al finanziamento di discutibili iniziative culturali, alla mancanza di politiche sociali, al verde pubblico ‘ingiallito’, alla mai realizzata bonifica di aree inquinate (come l’autodemolitore di San Giorgio di Acilia). In realtà l’elenco è molto più lungo, urbanistico e collegato ad appalti non trasparenti. Un esempio su tutti è il seguente poker di illeciti e di cantieri fermi nell’entroterra di Ostia:

1) parcheggio sequestrato, dopo il nostro esposto, dalla Procura di Roma all’Infernetto, in via Bocenago, voluto a tutti i costi dal direttore dell’Ufficio Tecnico. Ing. Paolo Cafaggi e dall’assessore all’Urbanistica, Giacomina Di Salvo, a favore di un supermercato e in sostituzione di una scuola;
2) realizzazione di un nuovo Impianto di Riduzione Intermedia della pressione gas (I.R.I.), richiesto per il raddoppio della via di Acilia, con il cantiere abbandonato ad occupare la sede stradale e privo delle autorizzazioni necessarie;
3) parcheggio abbandonato da 2 mesi sulla via Ostiense, all’altezza della stazione di Casalbernocchi della Roma-Lido, realizzato con i soldi previsti dalla Legge 396/90 (Roma Capitale, codice C3.3.1.1) destinati a Piazza Capelvenere ad Acilia, ma deviati tramite il meccanismo del riutilizzo dei ribassi d’asta per un importo di 350mila euro;
4) parco giochi di Centro Giano, dove abita Tassone, costato oltre 70mila euro ed affidato il 10 marzo 2014, con revoca del precedente appalto, ad un imprenditore al quale la Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Roma, il 4 novembre 2014, ha applicato la misura degli arresti domiciliari, assieme ad altre 8 persone, specificando “l’aggravante del metodo mafioso“, analoga storia delle indagini di ‘Mafia Capitale’.

Eppure il 21 gennaio 2014 l’assessore al Bilancio del X Municipio, Andrea Storri, aveva dichiarato davanti alle telecamere, dopo gli arresti per mafia di Luglio 2013, di voler rendicontare il modo con cui il Municipio spende i soldi pubblici, tramite pubblicazione delle gare di appalto sul sito internet del Municipio stesso, indicando tutto, ma proprio tutto, sulle ditte e sui soldi spesi, garantendo inoltre massima trasparenza delle procedure negoziali in corso considerato che è l’amministrazione a scegliere chi invitare.
Ebbene, da quanto finora visto, non solo non c’è alcuno stralcio di pubblicazione degli appalti su internet, ma se qualche informazione è pervenuta alla cittadinanza circa le ditte aggiudicatrici degli appalti, è solo merito della Procura a seguito delle indagini condotte. Forse allora non era questione di collirio ma proprio di una trave nell’occhio.

paula de jesus per LabUr

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STADIO DELLA ROMA: EQUITALIA, COMUNE E MILIONI DI IVA IN FUMO

Milioni di IVA che forse non entreranno mai all’erario. Il Comune di Roma ed Equitalia Sud che avallano la speculazione di Parnasi a Tor di Valle, confusa con lo stadio della Roma. Un copione inquietante che si recita proprio mentre il Comune di Roma di fatto è commissariato (indagini della Procura, della GdF, dei Carabinieri e del MEF) e che vede Marino affrettarsi per far votare in aula l’interesse pubblico su un milione di metri cubi costruiti intorno a uno stadio. Favoriti gli interessi di Parnasi (promotore dell’iniziativa) e delle banche interessate all’operazione (Unicredit e il gruppo francese BNP Paribas), ma non quelli dell’erario.
Questa operazione si legge all’interno del contratto di compravendita con cui Parnasi acquisisce dalla SAIS l’area di Tor di Valle, un’operazione oggetto di indagini giudiziarie per presunta bancarotta fraudolenta, ancora in corso.
In sostanza, la SAIS deve ad Equitalia 21 milioni di euro, Parnasi compra da SAIS l’area per costruire il nuovo stadio a 42 milioni di euro, includendo il debito verso Equitalia. Parnasi si impegna a pagare per conto SAIS i 21 milioni di euro dovuti ad Equitalia nel seguente modo: 600 mila euro come acconto già versato, 4.690.263,35 euro come accollo dei mutui in essere, 1.915.371,54 euro per una rata scadente il 15 luglio 2013 e ben 13.794.365,11 euro in 53 rate dal primo settembre 2013 al primo gennaio 2018.
E qui la furba operazione: Parnasi e SAIS si accordano sul fatto che Parnasi, a seguito delle fatture emesse da SAIS, non verserà l’IVA sul debito Equitalia all’erario ma alla SAIS stessa “mediante accredito dell’integrale relativa somma dovuta a titolo di IVA sul conto corrente intestato alla SAIS in essere presso il Credito Bergamasco” dell’agenzia del Torrino a Roma in via della Grande Muraglia 88. Nel caso di ritardato versamento dell’importo dell’IVA da parte di Parnasi alla SAIS, è previsto il semplice rimborso da parte di Parnasi degli interessi e delle multe richieste dall’erario alla SAIS.
Tutto molto anomalo, considerato che le norme prevedono che trascorso un anno dall’emissione delle fatture, l’IVA dovrà essere versata dalla SAIS anche se non incassata, mentre Parnasi la potrà portare in detrazione o chiederne il rimborso all’erario fin dal momento dell’emissione delle fatture, anche se non avrà corrisposto il relativo importo alla SAIS.
Si tratta di milioni di euro di IVA che andavano versati dalla SAIS all’erario alla prima denuncia IVA utile. Il problema è che non solo la SAIS è fallita ma anche che la SAIS non ha più alcuna alcuna proprietà cosicchè l’erario si può scordare i milioni di euro di IVA da incassare, mentre Parnasi avrà l’ulteriore beneficio di milioni di euro in detrazione. A rimetterci, dunque, i cittadini.
Tutta questa operazione si sta compiendo grazie all’interesse pubblico che Marino vuole dichiarare per lo stadio della Roma, un falso ideologico che verrà denunciato non appena sarà pubblicata all’albo pretorio la delibera che Marino (e Caudo, assessore all’Urbanistica) ad oggi hanno ben evitato di fare.
L’intreccio dell’atto di compravendita è complesso ma un punto è chiaro: l’operazione è possibile grazie al consenso di Equitalia Sud in quanto Parnasi ha acquistato i beni in qualità di terzo acquirente di beni ipotecati proprio a favore di Equitalia Sud. In un periodo di difficoltà della Capitale, che deve ancora approvare in Assemblea Capitolina entro dicembre il bilancio previsionale 2015-2017 per non entrare in esercizio provvisorio, alla città serviva sicuramente altro e non una nuova operazione speculativa dalle troppe ombre. Sulla Capitale ce ne sonon già abbastanza.

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STADIO DELLA ROMA: CHI NE DECIDE IL PUBBLICO INTERESSE? LA GIUNTA O L’ASSEMBLEA CAPITOLINA?

Oltre al falso ideologico contenuto nella deliberazione di Giunta Capitolina n.83 del 4 settembre 2014 che andremo a denunciare, il guazzabuglio amministrativo che sta accompagnando il progetto del nuovo Stadio della Roma si arrichisce di un nuovo episodio, discusso ieri sera sia con l’Assessore all’Urbanistica, Giovanni Caudo, che con il presidente della Commissione Urbanistica, Antonio Stampete: è la Giunta o l’Assemblea Capitolina che dichiara per conto del Comune di Roma il pubblico interesse per il nuovo stadio? Omissione di atti d’ufficio o decadenza dei termini? Procediamo per punti.

Nella Legge di Stabilità 2014 (n.147 del 27 dicembre 2013), diventata per pochi comma la cosiddetta Legge sugli Stadi, l’articolo 1, comma 304, lettera a), recita: “il Comune, previa conferenza di servizi preliminare convocata su istanza dell’interessato in ordine allo studio di fattibilità, ove ne valuti positivamente la rispondenza, dichiara, entro il termine di novanta giorni dalla presentazione dello studio medesimo, il pubblico interesse della proposta“, dove per proposta, nel nostro caso, intendiamo il nuovo Stadio della Roma.
La ‘dichiarazione’ del Comune deve intendersi invece come una ‘deliberazione’, cioè un provvedimento amministrativo con il quale l’organo collegiale rappresentativo del Comune stesso (Giunta o Assemblea) esprime la propria volontà a far realizzare la proposta dell’interessato. Dunque, applicando la legge allo Stadio della Roma, non si capisce se la dichiarazione di pubblico interesse sia di spettanza della Giunta o dell’Assemblea Capitolina. Resta certo che lo studio di fattibilità è stato depositato in Comune il 29 maggio 2014 e che la deliberazione di Giunta n.83 del 4 settembre (quella fino a oggi da tutti riconosciuta come la ‘dichiarazione’) non è mai stata pubblicata all’Albo Pretorio del Comune di Roma.

Ricordiamo che il Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali (TUEL, D.Lgs n. 267/2000) all’art. 124, rubricato “Pubblicazione delle deliberazioni”, prevede che tutte le deliberazioni del Comune debbano essere pubblicate mediante affissione all’Albo Pretorio (oggi diventato on-line). L’articolo 134, comma 3, stabilisce che le deliberazioni diventano esecutive dopo il decimo giorno dalla loro pubblicazione. Nell’art. 134, comma 4, dispone però che, nel caso di urgenza, le deliberazioni dell’Assemblea e della Giunta possano essere dichiarate immediatamente eseguibili con il voto espresso dalla maggioranza dei componenti, senza pubblicazione.
Inoltre, ricordiamo che la pubblicazione delle deliberazioni comunali all’Albo Pretorio ha anche funzione strumentale di conoscenza legale dell’atto, tale da rendere possibile la presentazione di eventuali reclami ed opposizioni o ricorsi all’organo di controllo, all’Amministrazione stessa e all’Autorità Giudiziaria.

Ora, sia l’Assessore all’Urbanistica, Caudo, che il presidente della Commissione Urbanistica, Stampete, concordano sostanzialmente su due fatti: 1) la deliberazione n.83 è una ‘proposta’ della Giunta che fino a quando non verrà approvata dall’Assemblea Capitolina non può essere pubblicata perché non ha il valore esecutivo di un provvedimento; 2) la ‘dichiarazione’ di pubblico interesse spetta all’Assemblea Capitolina, ma, aggiunge Caudo, basta la manifestazione d’interesse già espressa dalla Giunta tramite una proposta di deliberazione per avviare l’iter amministrativo previsto dalla Legge sugli Stadi.

La confusione regna dunque sovrana e si alimenta dalla frase dove si legge che il Comune deve ‘dichiarare’ entro 90 giorni il pubblico interesse. Che il Comune lo debba ‘dichiarare’ tramite una effettiva deliberazione e non tramite una ‘proposta’ di deliberazione, non ce ne voglia Caudo, è evidente, altrimenti non si capisce con quale atto amministrativo un Comune ‘dichiari’ un provvedimento. Se si tratta della deliberazione di Giunta, siamo davanti a una omissione di atti d’ufficio da parte del Comune di Roma, perchè la deliberazione n.83 non è mai stata pubblicata, impedendo, per esempio, qualsiasi ricorso al TAR e l’eventuale ottenimento di sospensiva della deliberazione stessa. Se si tratta invece della deliberazione (futura) di Assemblea Capitolina, siamo davanti alla decadenza dei termini previsti dalla Legge sugli Stadi (i 90 giorni sono scaduti il 27 agosto, data che la deliberazione di Giunta ha superato di 9 giorni).

In attesa di ascoltare cosa accadrà in aula Giulio Cesare il 13 novembre, abbiamo per adesso la dimostrazione pratica che l’attuale Giunta Capitolina non sta lavorando per la città in termini di trasparenza e regolarità amministrativa ma solo per consentire a Parnasi una delle più bieche speculazioni degli ultimi 15 anni.

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