Dopo l’articolo del 28 febbraio (link), il 9 marzo è uscito un secondo articolo (link) pieno di falsità e inesattezze sul tema definito “erosione” delle spiagge di Ostia.
Chi sbandiera la difesa di un bene pubblico non può difendere il proprio interesse privato o interessi privatistici che nulla hanno a che fare con l’ambientalismo utilizzando per altro argomenti propagandistici e mistificatori e svilendo il lavoro serio di ricercatori, tecnici e associazioni che dedicano il loro tempo allo studio. Questa non è informazione.
La verità è un bene pubblico che va tutelato, attraverso il rispetto dei dati di fatto e fornendo all’opinione pubblica gli strumenti per orientarsi. Se “certi argomenti nel Municipio X non fanno molta presa sulla popolazione”, non è perché i cittadini, come si vuole in modo sibillino sostenere, sono omertosi per paura di ritorsioni. Questa narrazione mafiosa ha stancato. Come ha stancato questa contrapposizione dannosa e inutile tra balneari e sedicenti associazioni ambientaliste che in realtà mirano a gestire le spiagge e hanno referenti partitici precisi che gli danno copertura. Ed è il caso di “Mare Libero”.
C’è una responsabilità amministrativa degli enti competenti, l’unica preposta a tutelare l’interesse pubblico, l’unico vero ‘potere’ che nessuno vuole toccare per paura di ritorsioni. Siamo di fronte alla calunnia e alla diffamazione.
COSA E’ STATO DETTO
Al di là dell’impiego di immagini relative all’insabbiamento del Canale dei Pescatori che non hanno nulla a che fare con le spiagge, si esordisce parlando della “cementificazione” della spiaggia per legarla agli effetti delle mareggiate che si sono susseguite da novembre 2023. Si afferma che le strutture sono tutte abusive e che i cittadini dovranno pagare per il loro abbattimento. Si aggiunge poi che sono iniziati i lavori di ripascimento della spiaggia per 30mila euro. Falso, si tratta del dragaggio del Canale dei Pescatori.
Si afferma anche che i danni sono causati dall’erosione intervenuta a seguito della costruzione di dighe, sbarramenti e invasi sul fiume, che il Tevere non porta più la sabbia e che il mare si starebbe riprendendo quello che il fiume nei secoli ha depositato, a cui si è aggiunta una seconda causa, l’edificazione sulla spiaggia.
IN SINTESI
Ad Ostia non siamo di fronte ad un fenomeno di erosione naturale, che non esiste, ma ad un problema di mareggiate e soprattutto ad una dannosa difesa costiera.
Non c’è stato alcun criterio scientifico per ripristinare una naturale linea di costa di riferimento, ma solo interventi di modifica della linea di costa. Da anni LabUr-Laboratorio di Urbanistica ha invitato e diffidato la Regione Lazio a sospendere gli interventi che modificano la linea di costa e la spiaggia sommersa.
Gli interventi, ad esempio, tra gli stabilimenti Gambrinus e Pinetina hanno causato danni visibili dopo le mareggiate perché non erano volti a ripristinare la linea di costa storica di riferimento, ma a modificarla con effetti non prevedibili. Gli interventi pubblici operati hanno alterato la spiaggia sommersa e dunque vanificato tutti gli studi condotti, sebbene focalizzati solo sugli effetti e non sulle cause.
Un vero e proprio paradosso visto che il Governo, in riferimento al contenzioso con la UE sulle concessioni balneari, ha istituito un tavolo tecnico con lo scopo di definire con certezza la perimetrazione del demanio marittimo, delimitato dalla linea di costa (lato mare) e la dividente demaniale (lato terra) sottoposta, ancora oggi, alla verifica amministrativa da parte dell’Agenzia del Demanio, del Comune di Roma e della Regione Lazio su richiesta di LabUr.
Come fa il Comune di Roma ad adottare un Piano di Utilizzazione degli Arenili in queste condizioni?
L’obiettivo di un’amministrazione è di avere una “spiaggia stabile” e per ottenerla servono soluzioni che possono comprendere il ripascimento sommerso, programmi di manutenzione ordinaria, rivisitazione delle opere antropiche, utilizzo trasparente della sabbia dragata, conoscenza dei fondali dopo i ripascimenti.
I FATTI
Se è evidente che i venti dominanti ad Ostia spaziano da SE a SO (da Scirocco a Libeccio), provocando forti mareggiate, non è corretto affermare che la costa soffra del mancato apporto di sabbia dovuto alle opere di sbarramento del Tevere. LabUr ha visionato un archivio fotografico di oltre 6.000 foto scattate sul litorale romano negli ultimi 100 anni, dunque anche prima della costruzione della diga di Corbara (1959) o delle traverse come quella ENEL di Castel Giubileo, in cui si vede chiaramente che la costa ha sempre sofferto solo del fenomeno delle mareggiate. Ci sono foto scattate nel primo dopoguerra delle spiagge di ponente, dunque oltre 50 anni prima che si costruisse il Porto di Roma ad Ostia, in cui il mare sbatte sulle c.d. case Armellini. Le opere di sbarramento sul Tevere hanno sicuramente diminuito l’apporto di sabbia ma questo non va però commisurato con gli avanzamenti della linea di costa soprattutto in presenza di particolari eventi, come ad esempio quello della violenta rotta del Tevere del 1557, collegato ad un pesante disboscamento delle terre a monte e al conseguente maggior apporto di materiale per effetto del dilavamento spondale.
Esistono invece fenomeni localizzati di erosione, non naturali ma ‘indotti’, cioè dovuti all’attività antropica. Uno di questi riguarda le sottili spiagge pubbliche di Ostia Ponente alle quali il Porto di Roma ad Ostia ha sbarrato di fatto un regolare apporto di materiale a cui si sopperisce, ogni anno, con un ‘cannoneggiamento’ della sabbia prelevata dal fondale dell’imbocco del Porto, anch’esso sempre insabbiato per cattiva progettazione.
Stesso problema per il litorale prossimo alla foce del Canale dei Pescatori, dove la sabbia, per la pessima progettazione e realizzazione dei due moli, erode la costa e ostruisce il canale.
Dunque, per l’effetto combinato dei venti dominanti e delle correnti, tutte le opere trasversali alla costa finiscono per creare da un lato un deposito di sabbia e dall’altro un fenomeno erosivo non naturale. Succede anche per il Pontile di Ostia, in forma minore solo per la presenza di piloni e non di strutture immerse continue.
Un discorso a parte lo merita invece la “barriera soffolta” che va da Ostia Ponente fino al Canale dei Pescatori, una struttura modulare in cemento armato, posata e accostata sul fondale marino, parallela al litorale e a distanza di almeno cento metri da esso, realizzata allo scopo di dissipare l’energia del moto ondoso (le mareggiate), favorire lo scorrimento della sabbia verso la riva e contrastare il suo ritorno.
Situazione completamente differente a Castel Porziano e Capocotta dove non c’è mai stato bisogno di fare opere di ‘difesa’ perché il mare, generalmente, nel suo effetto combinato con il vento, “prende e restituisce” la sabbia, conservando la spiaggia emersa e sommersa. Un fenomeno naturale che non accade più laddove è stato ‘costruito’ sull’arenile: primo, perché ci sono gli ostacoli delle strutture fisiche, secondo, perché è diminuita la profondità dell’arenile.
Si evince allora che le opere di difesa ad Ostia sono servite da sempre non per conservare la costa naturale, ma per difendere dalle mareggiate le imprese turistiche e commerciali sorte sull’arenile (fa eccezione la scogliera a difesa dell’abitato dell’Idroscalo di Ostia). Ne più ne meno di come avviene a Venezia con il MOSE: si difende la città, non la laguna.
Questo teatrino inutile quanto dannoso per l’interesse pubblico e collettivo durerà fino a quando non si studierà e si definirà la naturale e storica geomorfologia costiera, riferendosi non solo alla spiaggia emersa (dalla battigia alle dune) ma anche a quella sommersa (il cui limite è distinguibile dalla linea di frangimento delle onde e le cui barre, o ‘secche’, costituiscono una vera e propria “riserva di sabbia”).
Nell’ultimo anno abbiamo assistito ad un esempio lampante, a chiunque sia in buona fede, di quanto sopra descritto. Il chiosco-bar dello stabilimento V-Lounge. autorizzato sull’arenile, è terminato in acqua dopo la perdita di oltre 40 metri di spiaggia, per poi tornare di recente (dopo l’ennesima mareggiata) ‘sulla sabbia’ come un’oasi nel deserto.
Analogamente rimane, a futura memoria, la scritta “vietato tuffarsi” sul marmo della balaustra del Pontile di Ostia, dove oggi c’è però sotto la sabbia.
Ricordiamo infine che continuare a ripetere lo slogan terroristico che la “moderna cementificazione delle spiagge” ha distrutto l’arenile di Ostia è un falso storico: Ostia nasce così, con un lungomare che porta la città a ridosso del mare, con grandi stabilimenti balneari come quello “Roma” costruito nel 1922 e che non si è curato della conservazione delle dune costiere, cioè dell’aspetto ambientale. E’ stata una scelta fatta dai tempi del Piano Regolatore del 1908. Affermare quindi che eliminando gli stabilimenti il mare tornerà al suo aspetto naturale, è un falso. E’ un po’ come chiedere all’imperatore Tito di prendersi la responsabilità del prosciugamento dello stagno esistente prima del Colosseo quando invece a costruirlo fu il padre Vespasiano per cancellare un elemento fondamentale della Domus Aurea di Nerone. Ad Ostia caso mai dovremmo affrontare il problema della subsidenza, cioè del ‘peso della città’, quello tipizzato nella Venezia che affonda.
Cento anni se ci fosse stato un corretto distacco della città dal mare ci troveremmo in una situazione simile a quella oggi visibile presso Castel Porziano e Capocotta, dove la litoranea ha lasciato inalterata la natura.
In questa devastazione centenaria, ormai insanabile non per la presenza degli stabilimenti ma per la nascita di una città edificata troppo a ridosso del mare, nessuno chiede conto almeno della mancata manutenzione ordinaria delle opere in mare costate milioni di euro e dello studio della necessaria compensazione dei danni da esse arrecati alla costa. L’unica ‘manutenzione’ si è tradotta in ripascimenti stagionali, cioè sabbia gettata in mare per garantire l’esercizio estivo delle imprese turistiche. Sabbia erroneamente non recuperata da dietro la barriera soffolta ma da cave marine non sempre adeguate in termini di granulometria del materiale estratto.
Il falso problema di una erosione naturale (tra le altre cose, improbabile per una costa bassa) è diventato la foglia di fico, una moda del momento che conviene a tutti per deresponsabilizzarsi e fare becera propaganda contro gli stabilimenti balneari avviati a un nuovo regime concessorio. L’unica erosione che esiste, riscontrata, è quella indotta da una errata attività antropica nel realizzare opere di difesa costiera per tutelare le industrie del mare.
Non sono gli stabilimenti, ma le opere di difesa sbagliate a causare il fenomeno.
Il resto è solo mareggiata… e propaganda di basso profilo.
I RIFIUTI SULLE SPIAGGE E I BALNEARI
Le sedicenti “associazione ambientaliste” come “Mare Libero” ignorano anche il codice civile. Invece di preoccuparsi della pessima gestione amministrativa delle spiagge libere (che sono oltre il 50% dell’arenile romano), dove i servizi igienici sono costituiti da fatiscenti e inquinanti fosse biologiche, ignorano che gli interventi e le manutenzioni straordinarie sono a carico del proprietario e non del locatario. Cabine e strutture regolarmente insistenti su aree demaniali, su cui si paga la concessione, sono finite in mare per incuria della difesa della costa.
Se dentro casa, in cui sono affittuario, mi cade il soffitto e mi si rovinano i mobili, non pagherò per il loro recupero, smaltimento e sostituzione
Citofonare ai “padroni di casa”, lo Stato.