Per Ostia è l’estate della resa dei ‘conti’ sotto il profilo economico del demanio marittimo. Oggi tratteremo il caso del litorale di Ostia Ponente, dove il Comune di Roma, in 91 anni, avrebbe prodotto un danno erariale di oltre 47 milioni di euro per mancato incasso degli oneri concessori provenienti dagli stabilimenti balneari.
Una storia che si aggiunge alle altre che LabUr ha denunciato e che hanno prodotto la regolarizzazione, ad esempio, della spiaggia di Castelporziano e del complesso Maresole oltre che l’apertura sulla c.d. dividente demaniale del lido di Castelfusano (per Capocotta si attende la pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato e per il Porto di Ostia l’espressione di parere dell’Autorità Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati).
Quella di Ostia Ponente è una storia tutta da raccontare, che coinvolge le amministrazioni succedutesi dal 1932 fino ad oggi, ree di aver causato per negligenza e inerzia un enorme danno alle casse del Comune di Roma.
Il fulcro della questione sono le vicende dell’Ente Autonomo per lo Sviluppo Marittimo e Industriale di Roma (S.M.I.R.), che, sciolto nel 1922, avrebbe dovuto realizzare le infrastrutture per congiungere Roma al mare e dotare la città di un porto commerciale.
Tutto ha origine dalla legge n.502 dell’11 luglio 1907 (Provvedimenti per la città di Roma) e più precisamente dall’articolo 5 dell’allegata convenzione tra lo Stato e il Comune di Roma, con la quale il Demanio concedeva alla Capitale l’uso perpetuo della fascia litoranea tra il Canale dei Pescatori e la sponda sinistra del Tevere (la c.d. Ostia Ponente). In seguito, con la sdemanializzazione del 25 gennaio 1923, tutta la suddetta area, che era già stata trasferita nel 1920 all’Ente S.M.I.R., venne destinata alla “costruzione del nuovo sobborgo marino di Ostia Nuova ed in applicazione del piano regolatore della nuova città marina“.
Per ultimo, con Regio Decreto n.845 del 18 marzo 1923, avvenne la soppressione dell’Ente S.M.I.R. e con successivo Regio Decreto n.3116 del 31 dicembre 1923, tutte le aree già appartenenti all’Ente S.M.I.R. tornarono in proprietà dello Stato.
Solo dopo quasi un decennio di contenziosi con la Società Elettro Ferroviaria Italiana, alla quale era stato affidato il completamento e l’esercizio della ferrovia Roma – Ostia Lido, si giunse alla Deliberazione del Governatorato di Roma n.7002 del 31 dicembre 1932, di cui parte integrante è la definitiva convenzione (ancora vigente) con lo Stato per il “trapasso al Governatorato (cioè il Comune di Roma) dei beni del soppresso Ente S.M.I.R.”.
In essa, articolo 5, si legge: “… le concessioni di tratti di arenili a terzi, sempre nell’ambito della spiaggia anzidetta, saranno assentite dall’Amministrazione della Marina Mercantile, sentito il Governatorato, al quale per il suaccennato periodo [70 anni, nda] andranno devoluti i relativi canoni, salvo versamento all’Erario, per ogni singola concessione, del canone annuo fisso di 1 lira a titolo di riconoscimento della demanialità dell’area concessa”.
Dunque, dal 1932 fino al 2002 è certo che gli oneri concessori degli stabilimenti balneari dovevano essere incassati dal Comune di Roma e non dallo Stato. Resta da stabilire se tale convenzione si sia automaticamente rinnovata, non essendoci stato alcun successivo atto amministrativo a riguardo. L’orientamento giuridico prevede, in questi casi, la vigenza della precedente convenzione non essendo stato espresso dall’Agenzia del Demanio alcun parere contrario. In tal caso, nulla si doveva alla Regione Lazio come imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo, a decorrere dal 1 gennaio 2014 (il 15% del canone).
Dunque, calcolando un periodo di 91 anni, attualizzando e considerando una media di 20.000 euro/anno per un numero di 26 concessioni ad Ostia Ponente, si arriva ad un importo (per difetto) non incassato dal Comune di Roma di oltre 47 milioni di euro.
Non solo, ma il complesso e dimenticato groviglio di atti amministrativi emessi dopo lo scioglimento dello S.M.I.R. impone una verifica sull’appartenenza o no al demanio marittimo di una gran parte delle aree oggi occupate dagli stabilimenti balneari per via della sdemanializzazione di cui sopra.
Inoltre, la devoluzione dei canoni delle concessioni demaniali marittime dallo Stato direttamente al Comune di Roma e la diretta consegna delle aree, annullerebbe la competenza regionale e di conseguenza l’applicazione sul litorale di Ostia Ponente del Piano di Utilizzazione degli Arenili (P.U.A.), strumento di pianificazione turistica della Regione Lazio ma non del Comune di Roma.
Tutto ciò costituirà a breve un dettagliato esposto verso la Corte dei Conti, non solo per il danno emergente subito dal
Comune di Roma (mancato incasso), ma anche per il danno d’immagine conseguente.
In numerose sentenze infatti la Corte dei Conti ha chiarito che la lesione dell’immagine causa un deterioramento del rapporto di fiducia tra la cittadinanza e l’istituzione pubblica, la quale viene percepita come entità non affidabile, talvolta finanche nemica, finita nelle mani di soggetti dediti a perseguire soltanto illeciti interessi particolari e non a difendere gli interessi collettivi finalizzati al buon andamento della funzione amministrativa e della sua gestione in maniera efficace, efficiente ed economica.
Mai come in questo momento, dove i fondi europei vengono dirottati sul lungomare di Ostia, favorendo purtroppo anche infiltrazioni criminali, occorre la massima trasparenza amministrativa e la corretta applicazione della normativa. Anche a costo di ‘riesumare’ atti di 91 anni fa, ancora vigente.