Il 16 marzo scorso l’annuncio “Roma è tutta Roma”: centinaia di progetti e lavori con tanto di partecipazione dei cittadini e mappa interattiva. Tra questi progetti 14 piazze saranno pedonalizzate con i sanpietrini rimossi dalle strade del centro destinate alla viabilità. E tra queste 14 piazze, quella di San Pier Damiani nel quartiere di Casal Bernocchi del Municipio X.
Un attento cittadino, che di partecipazione se ne intende, scrive al Presidente del Municipio “Piazza San Pier Damiani a Casal Bernocchi è già composta da sanpietrini….quello che servirebbe è pedonalizzarla per restituirla alla cittadinanza visto che ormai di fatto è un parcheggio di scambio per la vicina fermata del treno….”
Gli amministratori dunque a Piazza San Pier Damiani non hanno mai messo piede, però l’hanno inclusa nelle piazze da pedonalizzare con i sanpietrini e sorge spontanea la domanda se i sanpietrini esistenti saranno tolti per far posto a quelli del centro, e spediti poi con la Roma-Lido a Piramide, o se resteranno quelli esistenti e la piazza verrà comunque pedonalizzata secondo il progetto previsto dai cittadini da anni. Non è dato da sapere. La partecipazione dunque è iniziata col piede sbagliato.
L’idea di rimuovere i sanpietrini torna come un mantra, attraverso ipotesi e teorie le più infondate.
E’ dal 1585 che vengono utilizzati nella Capitale. Nel 1927 oltre la metà delle strade di Roma era lastricata in sampietrini. I sanpietrini (i “selci” estratti dalle cave poste ai piedi dei Colli Albani e delle zone vulcaniche del viterbese e dunque non quello scadente proveniente dai paesi asiatici)
reggono il peso del traffico veicolare pesante, non trasmettono ai palazzi le vibrazioni dovute al traffico veicolare pesante, non si riempiono prima di buche rispetto a quelle in asfalto e sono meno dannosi per la salute dell’asfalto.
Dunque il sanpietrino, “faccia orizzontale” della città, così come le facciate degli edifici storici, va tutelato come un bene storico ed architettonico, come già previsto dalle disposizioni della legge n. 1089 del 1939 che prevedevano, fra l’altro, la conservazione nei centri storici delle pavimentazioni originarie, ai sensi del D.L.vo n. 42 del 22 gennaio 2004 (Codice dei Beni culturali e del paesaggio).
Parlare poi, come ha fatto il Sindaco Marino, di un passaggio epocale, “da aree marginali a nuove centralità” è stupefacente. Addirittura prefigura un “assetto urbano policentrico”, centralità che “per molti anni sono state penalizzate da disattenzione”, per cui “non sono state distribuite le risorse necessarie per i servizi essenziali: manto stradale, marciapiedi, luoghi di socializzazione”, restituendo così “dignità a milioni di persone”, facendo “di ogni luogo un piccolo centro”.
La propaganda si appropria di termini urbanistici per operazioni di maquillage. Echi di microcampanilismo si avvertono nell’aria. Dopo l’applicazione del modello insediativo americano dell’espansione senza fine, spacciato a Roma per “policentrismo”, che prevedeva appunto nuove centralità, cioè una colata indecente di cemento, siamo alla mistificazione della parole.
Citare le centralità piace sempre a chi governa la Capitale. Anche ora, come ai tempi di Rutelli e Veltroni, si è sbandierato di voler portare qualità nelle anonime periferie romane attraverso le “centralità” e i servizi essenziali, che Marino indica in: manto stradale, marciapiedi, luoghi di socializzazione. Siamo all’Urbanistica cacio e pepe.
Da anni chiediamo che ci sia un progetto pubblico lungimirante, in grado realmente di riqualificare la città, di interpretare i bisogni e costruire le condizioni per rispondere a questi bisogni, nonostante i danari in cassa non siano molti, e questo non passa per lo spostamento dei sanpietrini dal centro in periferia, magari in piazze in cui esistono già. I progetti dal basso dei cittadini romani sanno fare di meglio, anche perché molti di loro conoscono chi sia stato e cosa abbia rappresentato per Roma Nicola Zabaglia.
paula de jesus per LabUr